Per l'affidamento condiviso, la Cassazione nega possibilità equilibrate di frequentazione invocando l'ovvio ma fuori luogo "interesse del minore"

di Marino Maglietta - Ancora una volta, con l'ordinanza 24937 del 7/10/2019 la Suprema Corte (S.C.) respinge la richiesta di un genitore che aveva proposto per sua figlia due pernottamenti infrasettimanali nelle settimane in cui non gli competeva il weekend e due pomeriggi, uno con pernotto ed uno fino alle 21, nelle altre in cui l'avrebbe voluta presso di sé tutti i pomeriggi fino alle 16, weekend a parte. Il regime, stabilito in primo grado e confermato dalla Corte d'Appello, consentiva invece nell'arco di quattro settimane quattro giorni (i due weekend brevi alternati) e due pomeriggi in tutto con pernottamento come presenza nelle settimane senza w.e. Regime che anche la S.C. conferma.

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Naturalmente, la questione posta così potrebbe sembrare di merito e quindi fuori competenza della S.C., ma in realtà la discussione verte sul fatto che misure del genere siano compatibili o no con un affidamento condiviso e in questo modo rientra nei giudizi di legittimità.

Affido condiviso e "dosaggio" del diritto di visita

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La S.C. aderisce alle conclusioni della C.A. (il modello proposto "sarebbe estremamente articolato e frammentario, disfunzionale rispetto alla esigenze di stabilità e serenità che devono connotare la quotidianità del minore"), ma è chiaro che, proprio perché si discutono le misure sotto il profilo del principio, distaccandosi dal caso specifico, non si può fare a meno di considerare quali argomenti sorreggono la decisione della S.C. E la scoperta è deludente.

La fondamentale affermazione di carattere generale è che "la regola dell'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l'altro genitore (vedi Cass. n. 22219/18; n. 18131/2913).". Dopo di che la S.C. afferma - giustamente - che tocca al giudice del merito quantificare la frequentazione e che l'intervento di legittimità è pensabile solo se questi non abbia utilizzato a fondamento della sua decisione il criterio "dell'esclusivo interesse del minore". Osserva poi che nel caso di specie il criterio è stato rispettato, vista la motivazione sopra riportata, che la S.C. pedissequamente ripete. Si compiace, in aggiunta, del calendario stabilito dal giudice del merito perché " in presenza di una esasperata conflittualità tra i genitori, ha provveduto a stabilire in maniera rigida tempi e modalità di frequentazione fra il padre e la discendente per sedare il continuo contrasto esistente fra i genitori".

Una preliminare osservazione, in merito a questa ultima citazione, è che la rigidità delle prescrizioni nulla ha a che vedere con il dosaggio delle presenze per cui, anzi, visto che la preoccupazione principale è per la litigiosità, questa non può essere che acuita da scelte discriminatorie, non certo contenuta. Quindi anche sotto questo profilo conveniva stabilire una frequentazione equilibrata.

Comunque, tornando all'oggetto principale del ricorso, al di là del fatto che la terminologia adoperata ("regime di visita") non appare coerente con un istituto che prevede due genitori affidatari di identica dignità giuridica; sorvolando sulla distrazione di chi ha redatto l'ordinanza, che utilizza sia "il" che "la" ricorrente, al maschile come al femminile; sorvolando sulla ulteriore, più pesante, distrazione, per cui a sostegno della C.A. si rimanda a un precedente non identificabile ("argomentazione che soddisfa "il minimo costituzionale" richiesto dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo i principi della sentenza del Supremo Collegio n. 8053/2014"; quando invece la 8053/2014 tratta problematiche fiscali): al di là di tutto questo, ciò che non convince sono proprio le considerazioni di legittimità.

Compatibilità affido condiviso e tempi non uguali

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Cominciamo con il dire che è pacifico che l'affidamento condiviso sia compatibile con tempi non uguali: basti pensare non solo al classico esempio dell'allattamento, ma a professioni o distanze abitative che non lo permettano. Il problema nasce dal tipo di utilizzazione della disparità: come eccezione - in deroga al principio di diritto del figlio di chiedere uguale partecipazione e cura a entrambi i genitori - o come regola, ovvero punto di partenza. Quindi, in un certo senso il merito sconfina nella legittimità e va guardato in concreto. Non è pensabile - a parere di chi scrive - che l'esistenza "a priori" di un genitore collocatario, ovvero porre la discriminazione come assunto iniziale sia compatibile con l'istituto dell'affidamento condiviso. Nel caso di specie - guardiamolo, per capire meglio - si può convenire, secondo buonsenso, sulla inidoneità del regime richiesto. Ma quello stabilito appare altrettanto non appropriato. In sostanza non è la quantità del tempo con il padre a creare un potenziale disagio, ma il modo in cui il tempo viene organizzato, che ben poteva essere gestito diversamente. Accorpando gli incontri, ad es., si ottiene la voluta stabilità, ma non si rende evanescente la figura paterna. Criticare la frammentarietà d'accordo, ma senza mettergli in alternativa regole da affidamento esclusivo dei più restrittivi (sei momenti di incontro in 28 giorni).

"L'interesse del minore"

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Possibile che di questo la S.C. non si sia accorta? Possibile, se si approfondiscono i precedenti citati. Questi sono due; ma solo apparentemente possono sommarsi alla decisione che ci occupa quali autonomi giudizi, perché il secondo riporta - copia e incolla - le stesse affermazioni che troviamo nel 24937, e a sua volta si basa sulla sentenza 18131/2013, alla quale quindi diventa indispensabile attingere. Ma in quel caso la differenza dei tempi di frequentazione si fonda sulla distanza tra le abitazioni e la professione del padre, non sul presunto disorientamento dei figli provocato da una paritetica presenza; ovvero su circostanze per le quali la deroga è assolutamente pacifica e non intacca, vista la impossibilità materiale di fare diversamente, il principio della bigenitorialità.

In altre parole: l'ordinanza 24937/2019 utilizza un criterio di per sé giusto - l'interesse del minore - come involontario grimaldello per privarlo di suoi indisponibili diritti in un contesto che nulla aveva di obbligatorio, nulla che non permettesse di contemperare l'uno e gli altri.


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