Per rispondere correttamente alla domanda, si dovrebbe preliminarmente risolvere il sempre vivace dibattito sulla natura umana tra "innatisti" e "scatole vuote"

di Angelo Casella - Avvocati si nasce o si diventa? Per rispondere correttamente alla domanda, si dovrebbe preliminarmente risolvere il sempre vivace dibattito sulla natura umana che, per taluni (i c.d. "innatisti"), è caratterizzata da strutture innate e immodificabili, mentre, per altri, non è che una "scatola vuota" (Goodman ed altri).

Il dibattito

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La discussione è appesantita da interessi politici di fondo che sarebbero favorevoli ad alcune teorie a scapito di altre.

Troviamo infatti, tra gli innatisti, alcuni per i quali l'egoismo rappresenterebbe il fondamento costitutivo della natura umana, con una predominante propensione a preoccuparsi unicamente di sé stessi e dei propri interessi, suggerendo, altresì, che le diseguaglianze sono "innate".
Tale posizione palesemente favorirebbe e giustificherebbe un certo tipo di assetto economico-sociale: il c.d. Liberismo, che pone il profitto individuale come finalità primaria.
Inoltre, per costoro, la natura umana conserverebbe una certa "modificabilità", per cui sarebbe lecita e giustificata la diffusa pratica della manipolazione delle masse con la macchina della propaganda.
All'opposto, troviamo tutta la scuola marxista, per la quale - notoriamente - non esiste una natura umana "prestampata", bensì una entità plasmata da "rapporti sociali storicamente determinati" (Gramsci).

La teoria innatista

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La teoria innatista lascia comunque irrisolta, e fumosa, la sua base concettuale di partenza. Non è possibile infatti spiegare in quale momento temporale dell'ampio arco evolutivo darwiniano si innesterebbe questa "innatezza". Inoltre, tale teoria non spiega le sensibili differenze che si riscontrano tra gli esseri umani e tra i diversi modelli sociali da loro creati.
Troviamo infatti collettività caratterizzate da un prevalente equilibrio, da una marcata coesione e da una condivisione radicata di valori, e ne rintracciamo esempi nel bacino amazzonico e nell'Africa centrale. In altre, invece, si evidenziano squilibri, anche accentuati. Nel primo caso rileviamo altresì che le diseguaglianze sono inesistenti o scarsamente marcate.

D'altronde, vi è chi all'opposto sostiene (D.Hume, A. Smith, ed altri) che, nelle caratteristiche innate della natura umana, è preminente una solida empatia: "provare molto per gli altri e poco per sé stessi".

Da parte nostra, dobbiamo rilevare che certe diseguaglianze, come essere nano o guercio, sono sicuramente "innate". Ma non ci sembra possibile andare oltre. Soprattutto, rileviamo che questo dibattito manca di una definizione condivisa del suo concetto di base, la "natura umana", che rimane una entità alquanto vaga. Evidente che disquisire delle qualità di qualcosa che non si è definito appare alquanto velleitario.
Allo stato, appare lecita solo qualche approssimazione, tra cui l'affermazione per la quale l'uomo è "plasmabile" e che le sue connotazioni caratteriali sono il frutto del contesto nel quale egli cresce e si sviluppa.
E' anzi convinzione radicata degli studiosi che per la formazione delle attitudini di base, sono fondamentali i primi anni di vita e le esperienze vissute in quel periodo.

Le qualità proprie di un giurista

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Ora, quali le qualità che possono dirsi proprie specificamente di un giurista? Ne possiamo senz'altro individuare diverse, ma riteniamo che una in particolare possa ritenersi fondamentale e identificativa: si tratta della capacità di individuare rapidamente il nocciolo dei problemi e - in parallelo - gli elementi essenziali di un concetto (o norma di legge).
In effetti, tale capacità costituisce lo strumento di base della logica che, a dispetto degli arzigogoli di Kant sul tema, non è l'arte di elaborare concetti astratti, ma una qualità che si coltiva con l'osservazione pratica.
Una abilità che rappresenta un vero schema mentale e che si acquista solo nei primi anni di vita, nel momento della formazione delle qualità di base della personalità. Una impronta che deriva da un modello educativo-formativo orientato a sviluppare nel bambino una percezione della realtà autonoma e indipendente.
La percezione della realtà, del mondo circostante, quando è strettamente personale e non mediata dal concorso di altri, innesta infatti una elaborazione interiore che crea un rapporto diretto dal quale nasce una responsabilità soggettiva che comporta un approfondimento cognitivo, una comprensione penetrante, che è altrimenti inibita dalla influenza del giudizio degli adulti.


Nei limiti dunque sopra tracciati a proposito della "natura umana", possiamo in effetti concludere che avvocati (e giuristi in genere) "si nasce" e non si diventa.

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