Una articolata sentenza dibatte in mezzo ad alcuni equivoci fondamentali aspetti relativi alla manipolazione dei figli e al loro ascolto

di Marino Maglietta - La sentenza 13274 della Corte di Cassazione è stata salutata con entusiasmo da quanti da tempo vorrebbero che fosse abolita ogni sanzione nei confronti di chi manipola i figli allo scopo di indurre in essi il rifiuto dell'altro genitore; a volte, purtroppo riuscendoci.

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Alienazione parentale: le tesi negazioniste

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Traspare in questo gruppo di opinione il convincimento - anche se non sempre espresso esplicitamente - che se c'è rifiuto questo è conseguenza di abuso o maltrattamento; sistematicamente. Gli argomenti tipicamente utilizzati dai negazionisti attengono alla personalità - indubbiamente discutibile - di chi ha introdotto i relativi concetti (l'americano Richard Gardner) nonché ad altre tesi dal medesimo sostenute su altre questioni. Altro centrale spunto è costituito dal termine con cui a suo tempo venne definita la fenomenologia: "Parental Alienation Syndrome", PAS. Poiché a livello accademico è stato (prevalentemente e provvisoriamente) considerato improprio parlare di "Sindrome", ovvero di patologia, molti, anche assai titolati e con largo seguito, se ne sono fatti forti per concludere che "non ha senso discutere di qualcosa che non esiste"; evidentemente confondendo il comportamento, oggettivo e innegabile, con il termine con il quale può essere definito, del tutto opinabile e modificabile.

Adesso la Cassazione sembra dare ragione a tale folto gruppo nel momento in cui scrive "«La Corte d'appello ha dato risalto alla diagnosi di sindrome da alienazione parentale formulata dai consulenti tecnici», mentre «qualora la consulenza tecnica presenti devianze dalla scienza medica ufficiale come avviene nell'ipotesi in cui sia formulata la diagnosi di sussistenza della PAS, non essendovi certezze nell'ambito scientifico al riguardo il Giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche (Cass. n. 11440/1997) oppure avvalendosi di idonei esperti, è comunque tenuto a verificarne il fondamento (Cass. 1652/2012.». E in effetti il provvedimento che la Corte assume conferma l'interpretazione di una bocciatura della "PAS" e del ragionare attorno ad essa. Ma una più attenta lettura induce a pensare che la questione sia notevolmente più complessa.

Anzitutto, quanto la stessa Cassazione riporta del provvedimento della CA in nessun passaggio classifica la vicenda come rappresentativa di una "sindrome", avendo solo affermato che: "il comportamento materno aveva inciso nella diagnosi di alienazione parentale del figlio nei confronti del padre, avendo la R., come rilevato dal Tribunale, attuato "un progetto di esclusione del genitore alienato, mediante la sostituzione del padre biologico di I. con il nonno materno". Naturalmente è indubbio che AP (Alienazione Parentale) è solo un nome diverso dato alla stessa cosa. Solo che questa non è un'obiezione, visto che la scienza non ha mai negato la fenomenologia - con tutte le sue drammatiche conseguenze - ma ha solo contestato la sua classificazione. Se ne trova evidenza nel Manifesto Psicoforense, firmato da 64 esperti nazionali della materia, dove si legge nel sottotitolo: "La comunità scientifica risponde a chi nega il diritto-dovere di sanzionare le manipolazioni. "Pas" un disturbo della relazione genitori-figlio non una malattia individuale." E nella sequenza dei vari argomenti si afferma: "10. Si può discutere se a questo fenomeno sia opportuno dare un nome specifico … 11. Come per il maltrattamento, riteniamo che negare il fenomeno del rifiuto immotivato e persistente di un genitore significhi commettere un errore grossolano e fuorviante".

Quindi, visto che "sindrome" e "PAS" non sono termini utilizzati dalla Corte di Appello e/o dai periti incaricati, tutta la tesi si smonta. Né questa posizione è prevalente solo nella comunità scientifica italiana. Uno studio internazionale di recentissima pubblicazione (J.J. Harman, E.Kruk, D.A. Hines, "Parental alienating behaviors: An unacknowledged form of family violence; USA e Canada, dicembre 2018) sostiene che "Despite affecting millions of families around the world, parental alienation has been largely unacknowledged or denied by legal and health professionals as a form of family violence. … The result of this review highlights how the societal denial of parental alienation has been like the historical social and political denial or other forms of abuse in many parts of the world (e.g., child abuse a century ago".

I contraddittori posizionamenti della Cassazione sulla PAS

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L'aspetto più curioso, tuttavia, può essere visto negli stessi precedenti che la Suprema Corte cita e sottolinea con enfasi. In particolare, dopo aver fatto riferimento al sopra riportato provvedimento del 2012 rinvia alla più recente pronuncia n. 6919 del 2016, nella quale si legge che "questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto, con riguardo ad un'ipotesi di alienazione parentale: "in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena". Dopo di che rammenta che "Nella specie, i giudici di merito hanno motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte del figlio ed hanno dato rilevo ad alcuni comportamenti della madre, ritenuti come unicamente volti all'allontanamento fisico e morale del figlio minore dall'altro genitore". Appunto.

Rileggendo i motivi (1, 2, 4, 6 e 7) accolti dalla Suprema Corte, che tutti vertono sulla "contestata decisione di sottrarre un bambino all'ambiente materno, con il quale il rapporto - indipendentemente dalla ritenuta condotta "alienante" - non presentava altre controindicazioni, per collocarlo, per un semestre, non potendo stabilire un immediato inserimento nell'ambiente familiare paterno, a causa della forte avversione manifestata al riguardo dal minore, in una struttura educativa terza", visto che il problema è il rifiuto, se questo è stato indotto da qualcuno non si vede come il giudice di merito avrebbe potuto ragionare e provvedere considerando tale fatto un dettaglio pressoché irrilevante e fare a meno di proteggere il figlio da quei condizionamenti con provvedimento diverso dal togliere potere al soggetto condizionante. A meno che non si ritenga che l'allontanamento (temporaneo!) dal genitore collocatario sia intollerabile, mentre quello permanente e consolidato dal non collocatario sia solo un difettuccio, una mera "controindicazione", del tutto trascurabile se non ci sono altri appunti da muovere. Ovviamente non considerando che allontanare la fonte di un danno, la causa di un malessere, è il più ovvio e il più efficace strumento per soccorrere chi lo subisce.

Un altro caso di "maternal preference"?

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Il vero motivo, quindi, per la bocciatura della decisione di Appello sembra risiedere nel trasparente orientamento ideologico della Suprema Corte che si muove a sostegno della madre, con la quale esplicitamente simpatizza perfino nel suo scontro con le istituzioni, ritenendola danneggiata da una presunta ostilità dei Servizi Sociali. In altre parole, la Suprema Corte interviene nella polemica tra i Servizi e una delle parti, che aveva ufficialmente proclamato di non voler collaborare, schierandosi senza alcun concreto riscontro al fianco della parte: "…emerge altresì dagli atti che la signora R., la quale ha sicuramente delle difficoltà psicologiche e caratteriali, è profondamente legata al figlio", (certamente, visto che il problema è la manipolazione); e concludendo: "Emerge altresì un rapporto conflittuale tra la stessa R. ed i consulenti tecnici nominati in primo grado, i quali sono stati con lei rigidi e severi, non offrendole il necessario sostegno (calibrato sulla situazione psicologica della medesima)." Concetto ribadito poco oltre, come sostanzialmente fondante: "La sentenza di appello non sviluppa adeguate e convincenti argomentazioni sull'inidoneità della madre all'affidamento, in una situazione di forte criticità dei rapporti tra la R. ed i Servizi sociali; in un tale contesto, la rinnovata richiesta di una consulenza tecnica è stata dalla corte territoriale respinta, stante la sufficienza della relazione svolta dai consulenti tecnici nominati e l'atteggiamento non collaborativo tenuto dalla R. La decisione impugnata non spiega dunque per quale ragione l'affidamento in via esclusiva al padre, previo collocamento temporaneo dello stesso in una comunità o casa - famiglia, costituirebbe l'unico strumento utile ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed ad assicurare al medesimo assistenza e stabilità affettiva".

Ora, se si riflette sul fatto che le consulenze tecniche psicologiche erano già state addirittura due, è evidente che la Cassazione - Corte di Legittimità - articola e motiva la propria decisione con valutazioni essenzialmente di merito che - è pressoché superfluo osservarlo - a parti invertite sarebbero state giudicate "non ammissibili".

Valenza e obbligatorietà dell'ascolto e aspetti "monodirezionali"

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D'altra parte, per rafforzare la propria decisione la Corte depreca che non fosse stato nuovamente sentito il figlio. " il minore I. ha compiuto 13 anni nel corso del giudizio di primo grado (ed oggi ha 15 anni) ed è stato sentito dai consulenti tecnici nominati, su delega del Tribunale, in particolare da un neuropsichiatra infantile.". A tale scopo si dilunga sull'obbligatorietà dell'ascolto, finendo per appellarsi all'art. 337-octies c.c. ("il mancato ascolto non sorretto da una espressa motivazione sulla contrarietà all'interesse del minore, sulla sua superfluità o sulla assenza di discernimento del soggetto interessato è fonte di nullità della sentenza"), che tuttavia non pare coerente con ciò che la Corte intende dedurne, visto che il condizionamento subito - dal giudice di merito assunto esistente - realizza per quel figlio esattamente la condizione di ascolto deviato e fuorviante, per gravi limiti alla facoltà di discernimento. La richiesta della ricorrente null'altro, difatti, intendeva ottenere che la conferma di quella stessa anomala condizione psicologica del figlio che stava alla base de procedimento. Così che il problema si sarebbe morso la coda.

Si può dunque concludere che la decisione 13274/2019 sembra poggiare su una logica giuridica e pratica che lascia perplessi. E sicuramente non appare giustificato l'entusiasmo di chi sulla base di tale sentenza nega che i figli possano essere indotti a rifiutare uno dei genitori senza altra spiegazione che l'avversione dell'altro e il suo desiderio di vendetta o di ripartenza da zero, prescindendo dai diritti della prole.

Di non minore interesse è osservare come l'ascolto dei figli venga sempre invocato quando uno di essi vuole limitare i contatti con il "genitore non collocatario" ma, curiosamente, il problema del diritto del minore ad autodeterminarsi non viene mai posto nella situazione inversa: quando cioè - ben più frequentemente - non riuscendo a comprendere lo squilibrio nella frequentazione ("perché non posso vederti tanto quanto vedo …?") un figlio vorrebbe ampliare tale contatto, andando contro le preferenze monogenitoriali del sistema legale. Ovvero manifesti le stesse aspirazioni paritetiche che attraverso la loro associazione "Figli con i figli", questi hanno espresso recentemente in audizione in Senato. In definitiva, pare che la sensibilità verso l'interesse e i diritti dei minorenni sia a senso unico, come una sorta di carità pelosa.


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