Il nuovo art. 13 d.lgs. 74/2000: si applica la retroattività in bonam partem nel caso di integrale pagamento degli importi dovuti, laddove sia già intervenuta l'apertura del dibattimento di primo grado?

Avv. Cristiana Cangelosi - Il diritto penale italiano richiama il principio di retroattività della legge più favorevole al reo sancito a livello di legge ordinaria dall'art. 2 c.p.: più precisamente, il comma 2 contempla l'ipotesi dell'abolitio criminis; il comma 4 disciplina la successione di legge penale mitigatrice del trattamento sanzionatorio, con la differenza che solamente nel primo caso viene travolto anche l'eventuale giudicato.

Problematiche connesse agli artt. 13 e 13 bis D. Lgs. 74/2000 alla luce della riforma del 2015

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In giurisprudenza ci si è chiesti se, in merito ai reati tributari, la causa di non punibilità di cui all'art. 13 D.Lgs. 74/2000, potesse, in base al principio di retroattività della lex mitior, retroagire ed applicarsi a quei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative ed interessi, nel caso di integrale pagamento degli importi dovuti, laddove sia nel frattempo già intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

Il D.Lgs. 74/2000 disciplina i reati in materia d'imposte sui redditi e sul valore aggiunto ed è stata recentemente oggetto di modifiche da parte del D.Lgs. 158/2015 che, tra le numerose novità, ha previsto, riformulando l'art. 13 d.lgs. 74/2000, che i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, co. 1, non siano punibili qualora l'imputato estingua i debiti tributari sottostanti, comprensivi di sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

Il secondo comma del medesimo articolo disciplina, invece, per quanto riguarda i reati di cui agli artt. 4 e 5, la non punibilità degli stessi se interviene l'adempimento del debito tributario come stabilito al primo comma, subordinato in questo caso alla circostanza che intervenga il ravvedimento operoso o che venga presentata la dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo.

Il legislatore ha altresì introdotto, al terzo comma, la possibilità di concedere all'imputato, ove il debito tributario sia in fase di estinzione mediante piano di rateizzazione, un termine di tre mesi - prorogabile una sola volta per un ulteriore trimestre - ai fini del pagamento del debito residuo.

La mancanza di una disciplina transitoria che si occupasse dei profili intertemporali delle norma in esame ha posto il delicato problema di come affrontare la questione suddetta, anche se certamente di necessario ausilio è il richiamo alla disciplina della successione di leggi penali nel tempo.

A tal proposito, è doveroso distinguere, di volta in volta, tra norme di carattere sostanziale che incidono sulla punibilità del reo, per le quali troveranno applicazione i principi ex art. 2 c.p.; e norme di carattere processuale, per cui sarà il principio del tempus regit actum a rilevare, con l'applicazione, per le diverse fasi di cui consta il processo, della legge vigente al tempo di ognuna di esse, indipendentemente dal loro carattere più o meno favorevole nei confronti del reo, con il solo limite degli atti processuali già compiuti che conserveranno piena validità.

Nel 2017, la Corte di Cassazione interviene sul punto.

Il caso

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Nel caso sottoposto alla Corte, l'imputato, condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. 74/2000, lamentava in sede di legittimità la violazione del principio di retroattività della lex mitior di cui all'art. 7 CEDU, in considerazione della mancata concessione da parte dei giudici di merito, dopo il predetto "sbarramento processuale", del termine trimestrale di cui all'art. 13, 3 co., d.lgs. 74/2000 per estinguere il debito tributario mediante il piano di rateizzazione previamente ottenuto e del quale il ricorrente aveva già corrisposto la prima rata.

A detta della Corte, l'art. 13 avrebbe natura "parzialmente processuale", in quanto da un lato norma tesa a stabilire un limite di scadenza all'interno del processo, per l'appunto quello della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, entro il quale l'adempimento del debito tributario dovrebbe intervenire, altrimenti non potendo operare la causa di non punibilità prevista; dall'altro, però anche sostanziale, in quanto comportante la non punibilità del reo in presenza delle condizioni enucleate nella disposizione suddetta.

La norma, pertanto, retroagisce soltanto in parte, nella "quota" sostanziale, mentre con riguardo alla porzione processuale opera lo sbarramento del tempus regit actum.

L'orientamento giurisprudenziale contrastante

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In netto contrasto con quanto sostenuto nel 2017, un diverso orientamento giurisprudenziale si era espresso positivamente in merito alla possibilità che la causa di non punibilità ex art. 13 D.Lgs.74/2000 potesse essere applicata ai procedimenti ancora in corso al momento di entrata in vigore della riforma del 2015, laddove fosse intervenuto il pagamento dell'importo dovuto in relazione al debito tributario sorto, anche se fosse stato già dichiarato aperto il dibattimento di primo grado, con l'unico limite del giudicato. Con la possibilità, altresì, di concedere all'imputato il termine di tre mesi di cui al comma 3 dell'art. 13 cit. anche ove sia superata tale preclusione processuale.

Dopo la modifica legislativa apportata nel 2015, l'interesse a provvedere al pagamento è diverso e più intenso, poiché dall'applicazione della norma dipende l'an della punibilità e non più soltanto il quantum della pena.

Dal tenore letterale della disposizione, è possibile valorizzare la ratio sottesa all'introduzione dell'art. 13 cit., rinvenibile nella scelta politico-criminale di concedere al contribuente l'opportunità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta, a fronte di una condotta reintegrativa ex post del bene giuridico leso.

La sentenza in esame sancisce la natura sostanziale della causa di non punibilità - ancorché rispondente a esigenze deflattive processuali - in quanto avente efficacia estintiva e non più solo attenuante, il legislatore avendo ritenuto eccessivo reprimere, seppur diminuendo la pena, condotte a fronte delle quali era intervenuto un comportamento riparatore da parte dell'autore del reato.

Sotto il profilo sistematico, va inoltre osservato che l'obiettivo principale della riforma del 2015 era, tra l'altro, quello di sottrarre dall'area del penalmente rilevante condotte caratterizzate da un disvalore meno intenso rispetto alla risposta sanzionatoria penalistica.

Appare pertanto ragionevole ricondurre il nuovo art. 13 d.lgs. 74/2000 nell'ambito di applicazione del principio di retroattività in mitius di cui all'art. 2, c. 4, c.p.

Diversamente opinando, si rileverebbe un contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto opererebbe un diverso trattamento sanzionatorio tra coloro che all'entrata in vigore della riforma avevano visto già trascorso il termine di scadenza stabilito entro cui adempiere il loro debito, così potendo avere la possibilità di farlo entro la pronuncia definitiva, e coloro che, invece, non essendo ancora scaduti i termini in questione, debbano doverosamente farlo entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Con grave compromissione anche della finalità rieducativa della pena ex art. 27 Cost, co. 3.


Cass., sez. III, n. 37083 del 2018

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A dirimere il contrasto giurisprudenziale creatosi, è intervenuta una recentissima sentenza (Cass., sez. III, n. 37083/2018) che dà adito all'ultimo di tali orientamenti, richiamando sostanzialmente i medesimi argomenti posti a fondamento della pronuncia sulla cui scia si innesta e respingendo le controverse argomentazioni spese dalla stessa sezione nell'aprile del 2017.

Tale decisione garantisce così agli imputati per i quali sia stato già aperto il dibattimento di poter usufruire dell'intervenuta capacità estintiva del reato derivante dal pagamento del debito tributario, superando quella disparità di trattamento cui si sarebbe giunti optando per il contrapposto orientamento interpretativo.

D'altra parte, si giunge a un'applicazione indiscriminata della norma di favore ai procedimenti pendenti, senza alcuno "sbarramento processuale" neppure in Cassazione - come accade peraltro per l'istituto ex art. 162 ter c.p. -, il che frustra inevitabilmente gli scopi di deflazione e di efficienza processuale sottesi all'introduzione dell'istituto.


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