La domanda di regresso promossa dall'Inail nei confronti del datore di lavoro non può essere preclusa dalla sentenza di assoluzione penale dell'imprenditore.
di Gianfranco Apollonio - La domanda di regresso promossa dall'Inail nei confronti del datore di lavoro non può essere preclusa dalla sentenza di assoluzione penale dell'imprenditore. E' quanto affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 27102/2018 (sotto allegata).

Il caso

La Corte di appello di Venezia, in accoglimento del gravame proposto dall'Inail, riformava la sentenza di primo grado con cui il Tribunale aveva respinto la domanda di regresso azionata dal suddetto Istituto verso una ditta responsabile di un grave infortunio lavorativo occorso ad un proprio dipendente, destinatario, per tale motivo, di una rendita erogata dall'Ente appellante.

A sostegno della suddetta decisione, la non corretta applicazione, da parte del giudice di primo grado, della regola di riparto dell'onere della prova in tema di azione di regresso.

In particolare, la sentenza penale di assoluzione del datore di lavoro (per il reato di lesioni colpose) non avrebbe dovuto impedire l'applicazione del principio correlato all'art. 2087 c.c., e del relativo riparto probatorio; ovvero, da un lato, l'allegazione e la prova, da parte dell'Istituto assicuratore, dell'esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno e del relativo nesso causale, e dall'altro la prova, da parte del datore di lavoro, dell'avvenuto adempimento al proprio obbligo di sicurezza, tra cui, nel caso in specie, quello di aver vigilato circa l'effettivo uso degli strumenti di cautela da parte del dipendente.

Nel corso dell'istruttoria era emerso, infatti, che il lavoratore si era procurato delle ustioni mentre caricava un forno di fusione senza indossare le dovute protezioni (messe a disposizione dalla ditta) e che non era stata fornita alcuna prova circa una efficace vigilanza del datore sul rispetto delle misure di protezione da parte del lavoratore; né, tantomeno, poteva definirsi abnorme, ai fini di una eventuale esimente di responsabilità datoriale, la condotta assunta dall'infortunato.

La decisione della Corte

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, nel rigettare il ricorso proposto dal datore, conferma le valutazioni fattuali espresse nella sentenza d'appello ed i principi come ivi richiamati in tema di onere probatorio ex art. 2087 c.c. dovendosi ritenere accertata la responsabilità del ricorrente, non avendo, questi, né provato il carattere abnorme della condotta del lavoratore (rientrante nel normale processo produttivo, come emerso dall'istruttoria), né di aver in concreto preteso l'osservanza delle misure antinfortunistiche idonee ad evitare l'infortunio.

Il suddetto accertamento integra, altresì, in via astratta, gli estremi del reato di lesioni colpose a carico del legale rappresentante della ditta che non è terzo rispetto alla nozione del datore di lavoro in virtù del principio di immedesimazione organica tra persona giuridica e legale rappresentante.

Ciò detto - prosegue la Corte di legittimità - nessuna rilevanza può essere attribuita, ai fini dell'azione di regresso, all'assoluzione datoriale in ambito penale.

Infatti, a seguito della declaratoria di incostituzionalità (Corte Costituzionale n. 102/1981) degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124/65 nella parte in cui precludono in sede civile l'azione di regresso dell'Inail nei confronti del datore di lavoro, in presenza di una sentenza assolutoria di quest'ultimo in sede penale, nonostante l'Istituto assicuratore non sia stato posto in grado di parteciparvi, costituisce oramai principio consolidato quello dell'autonomia del giudizio di regresso rispetto a quello condotto in sede penale.

Ad ulteriore conforto del suddetto approdo esegetico, il Consesso richiama la pronuncia n. 16874 del 2004 con cui si è affermato che in base all'art. 295 c.p.c. il giudizio instaurato dall'Inail per il regresso nei confronti del datore di lavoro non è soggetto a sospensione necessaria in attesa del procedimento penale a carico del datore di lavoro per i medesimi fatti, giacché in applicazione dell'art. 654 c.p.p. l'efficacia dell'emananda sentenza penale di assoluzione o di condanna non potrà mai fare stato nei confronti dell'Inail, che non è parte del giudizio penale e che non era legittimato a costituirsi, trattandosi non della proposizione dell'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, ma dell'azione di regresso, diversa da quelle considerate dall'art. 74 c.p.p.

Peraltro - proseguono gli Ermellini - in tale contesto, ai fini del sorgere del credito dell'Inail nei confronti della persona civilmente obbligata, è necessario che il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio, ma l'accertamento giudiziale, sempre che si renda necessario in mancanza di adempimento spontaneo del soggetto debitore o di bonario componimento della lite, può avvenire sia in sede penale che in sede civile (così Cass. n.2138/2015; Cass. n. 11986/2010).

In definitiva, la sentenza impugnata va confermata essendosi ivi correttamente proceduto ad un autonomo accertamento dell'astratta configurabilità della fattispecie di reato corrispondente alla condotta datoriale di violazione dell'obbligo di sicurezza imposto dall'art. 2087 c.c.




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