Una recentissima decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite stabilisce i criteri per la legale dosimetria della pena in ipotesi di continuazione fra reati puniti con sanzioni eterogenee.

di Luisa Ingrosso - Il trattamento sanzionatorio del reato continuato è da sempre argomento foriero di contrasti interpretativi ed ha costantemente impegnato la giurisprudenza costituzionale e di legittimità. Tra i tanti, è risalente il dibattito sull'ammissibilità della continuazione fra reati puniti con pene disomogenee e sulla corretta individuazione della sanzione da infliggere in queste ipotesi.

Proprio tali questioni sono state rimesse alle Sezioni Unite lo scorso marzo ed il massimo consesso, con la sentenza in commento (Cass. S.U. 40983/2018 sotto allegata), ha risolto le incertezze interpretative dando conto dei precedenti arresti sul tema e modificandone alcuni assunti di partenza.

Il caso

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La Corte d'appello di Caltanissetta, in sede di rinvio, confermava la sentenza di primo grado con la quale Tizio e Caia erano stati condannati alla pena di mesi due e giorni quindici di arresto e 15.000 euro di ammenda per aver realizzato in zona sismica un fabbricato in sopraelevazione di un preesistente immobile in assenza dei prescritti titoli abilitativi (artt. 81 e 110 c.p., 44 let.b, 93,94 e 95 d.p.r. 380/2001). Gli imputati ricorrevano in cassazione e denunciavano la violazione del principio di legalità della pena giacché l'aumento inflitto per il reato satellite risultava superiore alla pena prevista per esso, con la conseguenza di vanificare l'effetto mitigatore dell'art. 81 c.p.

Il reato continuato e le precedenti decisioni della Cassazione e della Consulta

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Com'è noto, in forza dell'art. 81 co.2 c.p., chi con più azioni o omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo. L'odierna disciplina del reato continuato è il frutto dell'intervento legislativo del 1974 (ad opera del D.L. 99/1974) con il quale l'istituto in parola è stato previsto anche per fattispecie eterogenee. Proprio l'estensione del cumulo giuridico a tali ipotesi ha dato vita, sin da subito, ad un profondo contrasto interpretativo.

Secondo un primo orientamento della giurisprudenza di legittimità, avallato anche dalla Corte Costituzionale, la continuazione sarebbe istituto applicabile anche a reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee o di specie diversa; negare questo, infatti, vorrebbe dire andare contro il testo della norma ed il volere del legislatore.

Per individuare la pena legale da infliggere in tale ipotesi, questo filone interpretativo ricorre al criterio della pena unica progressiva per moltiplicazione sull'assunto che l'omologazione sanzionatoria fra pene diverse, sia per genere che per specie, sia la conseguenza della perdita di autonomia dei reati meno gravi. Pertanto, se per la violazione più grave è prevista la pena detentiva (in particolare la reclusione), la determinazione della pena complessiva deve essere effettuata mediante aumento della reclusione, pur quando la pena prevista per il reato satellite sia pecuniaria (Cass. S.U. 25939/2013). Sempre in seno a tale orientamento si è sviluppato il principio per il quale la pena legale è quella che risulta dall'applicazione di diverse norme che incidono sul trattamento sanzionatorio e non solo quella prevista dalla singola disposizione incriminatrice (vedi Cass. S.U. 5690/1981, Cass. S.U. 6300/1984, Corte Cost. 312/1988, Cass. S.U. 4901/1992).

Secondo altro indirizzo interpretativo, invece, gli assunti ed i criteri descritti colliderebbero con due principi fondamentali del nostro ordinamento: la legalità della pena ed il favor rei. Ed invero, se si ammettesse l'applicabilità dell'art. 81 co. 2 c.p. a reati puniti con pene eterogenee, l'aumento previsto per il reato più grave e la conversione delle pene per i reati satellite in pene più severe comporterebbero l'irrogazione di una sanzione complessivamente più afflittiva di quella astrattamente applicabile con il mero cumulo materiale, il tutto a danno dell'imputato. Dunque, fra reati puniti con pene disomogenee non dovrebbe aversi continuazione.

A fronte di tutto quanto esposto, la IV Sezione ha rimesso alle Sezioni Unite le seguenti questioni: "se sia configurabile la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee; se, nel caso in cui il reato più grave sia punito con la pena detentiva e quello satellite esclusivamente con la pena pecuniaria, l'aumento di pena per quest'ultimo debba conservare il genere di pena per esso prevista".

Continuazione tra reati e pene eterogenee: le conclusioni delle Sezioni Unite

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Il massimo consesso ha composto il contrasto affermando i seguenti principi di diritto:

- con riferimento alla prima questione ha statuito che: "La continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee". Una diversa soluzione, infatti, non sarebbe ammessa né dall'interpretazione testuale dell'art. 81 c.p. né dalla ratio legis della disposizione in parola (applicare un trattamento sanzionatorio più mite per l'autore che abbia ceduto ai motivi a delinquere una sola volta, in forza di un unico disegno criminoso);

- in ordine al secondo quesito, la Corte ha affermato che: "Nei casi di reati puniti con pene eterogenee (detentive e pecuniarie) posti in continuazione, l'aumento di pena per il reato satellite va comunque effettuato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena previsto per il reato satellite, nel senso che l'aumento della pena detentiva per il reato più grave andrà ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell'art. 135 c.p.". Ed invero, secondo il Collegio non possono perdersi di vista i due limiti all'aumento di pena da infliggersi ai sensi dell'art. 81 c.p.: un limite interno, consistente nel triplo della pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave; un limite esterno, previsto dal terzo comma della medesima disposizione, in forza del quale la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma del cumulo materiale. Proprio tale ultimo limite sarebbe violato se si aumentasse, sub specie di pena detentiva, la pena detentiva prevista per il reato più grave a fronte di un reato satellite punito con la sola pena pecuniaria. Pertanto, affinché la pena del reato continuato sia legale occorre rispettare il genere della pena pecuniaria previsto per il reato satellite. Per fare ciò la Corte ritiene che fra il criterio per addizione (consistente nell'affiancare alla pena detentiva inflitta per la violazione più grave una quota della pena pecuniaria prevista pe il reato meno grave) e quello per moltiplicazione (comportante l'aumento della pena base) sia quest'ultimo quello più rispondente al dato testuale dell'art. 81 oltre che alla struttura unitaria quoad poenam del reato continuato.

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