Una recentissima ordinanza di rimessione in tema di contratti d'investimento, rinvia alla Cassazione a Sezioni Unite la questione della legittimità della nullità selettiva

di Luisa Ingrosso - La nullità selettiva è contraria a buona fede? Questa la domanda da sottoporre alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ad avviso della Prima Sezione civile (ordinanza n. 23927/2018).

Il caso

Un risparmiatore conveniva in giudizio la propria banca e chiedeva dichiararsi la nullità dei contratti di investimento stipulati con la medesima per difetto della forma scritta del contratto quadro, ex art 23 del d.lgs n.58 del 1998. L'istituto di credito avanzava domanda riconvenzionale volta ad ottenere, a fronte del contratto nullo, la restituzione di tutti i titoli compravenduti ancora in disponibilità dell'investitore (ex artt. 2033 c.c.), nonché la compensazione tra il credito dell'attore e quello dell'istituto bancario.

Il giudice di prime cure accoglieva sia la pretesa attorea (limitatamente ad alcuni ordini di acquisto, stante il difetto di legittimazione attiva in relazione ad altri) sia la domanda riconvenzionale e, operata la compensazione tra gli opposti crediti, condannava il risparmiatore a pagare la differenza all'istituto di credito.

La Corte d'appello, in riforma della sentenza di primo grado, si limitava a dichiarare la parziale compensazione tra i due crediti e revocava la condanna dell'attore al pagamento del residuo.

Il risparmiatore ha dunque proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, il secondo dei quali, di carattere preliminare, è stato funditus analizzato dal giudice remittente. Secondo il ricorrente, il giudice di seconde cure avrebbe errato nell'accogliere la domanda riconvenzionale della convenuta poiché ai sensi degli artt. 99 e 100 c.p.c. l'investitore ben poteva limitare la nullità ai soli contratti di acquisto di prodotti finanziari attuativi del contratto quadro nullo per difetto di forma, dai quali si sentiva pregiudicato, lasciando gli altri fuori dal giudizio.

Il contrasto interpretativo sulla nullità selettiva

L'eccezione di nullità limitata ad alcuni soli ordini di acquisto, c.d. nullità selettiva, ha recentemente impegnato la giurisprudenza ma la sua interpretazione non è uniforme. Da un lato si è ritenuto che, trattandosi di una nullità di protezione, possa essere eccepita dall'investitore anche limitatamente ad alcuni ordini d'acquisto (Cass. 27/04/2016 n. 8395); dall'altro, l'uso selettivo della nullità è stato considerato abusivo.

Ed in questo caso, come proteggere l'intermediario da un uso opportunistico e distorto della normativa a protezione del cliente?

Alcune pronunce hanno individuato nell' exceptio doli generalis un valido strumento a tutela dell'intermediario quante volte il cliente abusi del proprio diritto. Più di recente, però, si è affermato non essere opponibile nè l'eccezione di dolo generale nè l'intervenuta sanatoria del negozio nullo (per rinuncia a valersi della nullità o per convalida) in quanto tutele prospettabili solo in relazione ad un contratto esistente (Cass. 24/04/2018 n. 10116).

Aspettando le Sezioni Unite

A fronte di quanto esposto, la Prima Sezione ha quindi rimesso la causa all'esame del Primo Presidente per valutare la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Com'è noto, il massimo consesso era stato già interrogato sul punto ma, risolvendo una questione a monte, non si era puntualmente pronunciato (con le sentenze n. 898 e 1200/2018 le Sezioni Unite, infatti, hanno solo escluso la nullità del contratto quadro c.d. monofirma qualora il consenso dell'intermediario possa desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti).

Ci si aspetta, pertanto, che almeno questa volta non venga sprecata l'occasione per definire i contorni della nullità selettiva, istituto che potrebbe essere piegato ad esercizi abusivi contrari a buona fede e le cui ricadute pratiche potrebbero essere dirompenti nel mondo dei contratti d'investimento finanziari.

Cassazione testo ordinanza n. 23927/2018

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