In una recente pronuncia la Suprema Corte fa il punto in tema di reati culturalmente orientati

di Luisa Ingrosso - Il dirompente flusso migratorio e la globalizzazione hanno portato all'attenzione degli interpreti la categoria dei cosiddetti "reati culturalmente orientati" (o culturalmente motivati) ovvero quei fatti che costituiscono reato nell'ordinamento italiano ma che al contempo sono espressione di principi, valori e consuetudini riconosciuti dal gruppo etnico cui appartiene il reo.

Ma in che modo valutare l'incidenza della matrice culturale sulla sussistenza o consistenza del reato? A tale quesito risponde la Terza Sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza in commento (Cass. Pen., sez. III, n. 29613/2018, sotto allegata).

Il caso

Due genitori di origine albanese sono stati tratti in giudizio per rispondere dei seguenti reati: il padre, degli artt. 81, 609 bis e 609 ter ult. co., c.p. poiché in più occasioni abusando della sua autorità, del divario di età e della condizione di immaturità del figlio minore lo costringeva con violenza a compiere e subire atti sessuali (palpeggiamenti nelle parti intime e rapporti orali); la madre, degli artt. 40, 81, 609 bis e 609 ter ult. co., c.p. poiché nonostante l'obbligo giuridico di evitare i gravi abusi perpetrati ai danni del figlio, non interveniva pur essendone a conoscenza (N.B.: solo per completezza espositiva si segnala che la donna è stata imputata anche per il reato di cui all'art. 612 c.p. a seguito delle minacce rivolte all' ex insegnate del figlio che aveva segnalato gli abusi subiti dal minore).

In entrambi i gradi di giudizio gli imputati venivano assolti.

Nello specifico, il giudice di prime cure escludeva il configurarsi del reato ritenendo insussistente il dolo dell'agente sulla base di una riconosciuta scriminante culturale. Benché non residuasse alcun dubbio circa la sussistenza dell'elemento materiale del reato (pienamente provato dai risultati delle indagini, dalle acquisizioni dibattimentali e dai dati delle intercettazioni ambientali), il Tribunale è giunto all'assoluzione degli imputati nella convinzione che mancasse un elemento aggiuntivo rispetto alla materialità del fatto. Tale assenza non poteva portare a pensare che la condotta degli agenti, nati e cresciuti in un diverso contesto culturale, fosse accompagnata dalla coscienza del carattere oggettivamente sessuale secondo la nostra cultura.

Diversamente, la Corte territoriale escludeva il delitto ritenendo che i fatti anche sul piano materiale si traducessero in meri gesti di affetto e di orgoglio paterno nei confronti del figlio maschio, assolutamente privi di qualsiasi implicazione di carattere sessuale e indicati come rispondenti a tradizioni di zone rurali interne dell'Albania. Il giudice di seconde cure ha ritenuto, infatti, che il reato fosse da escludere mancando nei fatti sia la condotta rilevante penalmente sia il dolo, sempre alla luce della tradizione culturale di appartenenza dell'imputato.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il procuratore generale della Repubblica chiedendone l'annullamento (ricorso del tutto ammissibile poiché le sentenze di primo e secondo grado, pur conformi nell'assoluzione degli imputati e nella formula prescelta per i reati sessuali - "il fatto non costituisce reato" - hanno argomentato in modo sensibilmente diverso, escludendo la configurazione di una c.d. doppia conforme). Nei cinque motivi di impugnazione formulati, la parte ricorrente lamentava contraddittorietà della sentenza e vizio di motivazione, nonché plurime violazioni di legge (in riferimento agli artt. 5, 609 bis, 609 ter e 612 c.p.).

Le direttive tracciate dalla Cassazione

Gli Ermellini, inquadrata la categoria dei reati culturalmente orientati e descritto l'approccio a tale fenomeno di legislatore, dottrina e giurisprudenza, hanno indicato le premesse dalle quali poter interpretare le fattispecie in parola. In primo luogo, non potrà mai prescindersi dall'attento bilanciamento tra il diritto inviolabile del soggetto agente a non rinnegare le proprie tradizioni ed i valori offesi o posti in pericolo dalla sua condotta. In secondo luogo, sarà necessaria la valutazione della natura della norma culturale in adesione alla quale è stato commesso il reato (se di matrice religiosa o giuridica) e del carattere vincolante della regola (se rispettata in modo diffuso da tutti i membri del gruppo culturale o desueta e poco diffusa). Infine, assumerà rilievo il grado di inserimento dell'immigrato nella cultura e nel tessuto sociale del Paese d'arrivo o il suo grado di perdurante adesione alla cultura d'origine, indipendentemente dal tempo di permanenza nel nuovo paese.

Applicando le descritte direttrici al caso di specie, la Corte ha disatteso la memoria degli imputati con cui si contestavano i motivi di gravame ed ha ritenuto fondato il ricorso del procuratore generale.

Ed invero: la presunta tradizione culturale affermata dalla difesa emergeva dalle mere dichiarazioni difensive degli imputati e dei loro congiunti e da una documentazione non ufficiale; la sedicente norma culturale in adesione alla quale è stato commesso il reato sarebbe stata in contrasto anche con le prescrizioni del codice penale albanese (artt. 100 e seg.) e sarebbe risultata smentita persino in Albania (risultando al più limitata alle sole zone rurali come mera carezza beneaugurale); gli imputati erano ben integrati nel tessuto sociale ove vivevano e lavoravano da anni.

Reati culturalmente orientati: le conclusioni della Cassazione

Annullando la sentenza impugnata con rinvio, la Cassazione ha offerto lo spunto per un'unica considerazione conclusiva in tema di reati culturalmente orientati: se da un lato è fondamentale che l'interpretazione delle norme penali risenta del momento storico e culturale di riferimento, dell'integrazione dei migranti nella compagine sociale e del conseguente multiculturalismo, dall'altro non potrà giammai pretendersi che il sistema penale abdichi, in ragione del rispetto di altre tradizioni culturali, religiose o sociali alla punizione di fatti che colpiscano o mettano in pericolo beni di maggiore rilevanza tutelati dal nostro ordinamento.

Cass. pen., Sez. III, n. 29613/2018

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