La realizzazione di manufatti per superare le barriere architettoniche è soggetta al rispetto delle sole distanze legali codicistiche

di Enrico Pattumelli - No all'interpretazione estensiva dell'art. 873 c.c. in caso di manufatti confinanti con altre proprietà. E' quanto affermato dalla Cassazione con la recente ordinanza n. n. 25835/2018 (sotto allegata).

La vicenda

Il Tribunale di Messina condannava un soggetto a demolire un ascensore e annesse balconate poiché realizzate ad una distanza illegale dal confine con la proprietà dei vicini.

La Corte d'appello dichiarava il ricorso inammissibile per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento ex artt. 348 bis e ter c.p.c.

Si giungeva così a sottoporre la questione alla Corte di Cassazione.

Le norme di riferimento

L'art. 873 c.c. disciplina le distanze nelle costruzioni prevedendo che le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Si aggiunge altresì che nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.

La medesima distanza legale di tre metri è richiesta anche dall'art. 907 c.c. per la realizzazione di vedute rispetto le costruzioni già esistenti, e viceversa.

L'art. 3 della Legge 13/1989, oggi art. 79 DPR 380/2001, è una disposizione volta a favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati.

Il primo comma della succitata norma prevede che le opere condominiali possano essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi e ciò vale anche per i cortili e le chiostrine interni a fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati.

Il comma successivo stabilisce che è fatto salvo l'obbligo di rispettare le distanze di cui agli artt. 873 e 907 c.c. nell'ipotesi in cui fra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o area di proprietà o di uso comune.

La questione di diritto

La questione sottoposta alla Corte di Cassazione attiene la corretta interpretazione del secondo comma del succitato articolo 3 Legge 13/1989.

Ci si domanda se, al di fuori dei rapporti condominiali, il richiamo alle distanze previste dall'art. 873 c.c. deve intendersi limitato alla sola distanza di tre metri indicata nel primo capoverso o si riferisca anche alle eventuali maggiori distanze previste nei regolamenti locali come richiamato nel secondo capoverso.

In altri termini ci si interroga se si debba protendere per un'applicazione restrittiva o estensiva della norma codicistica.

La decisione del giudice di prime cure

Alla questione appena esposta, il giudice di primo grado opta per un'interpretazione estensiva.

Si è affermato che, per le opere non condominiali, il rinvio alle distanze di cui all'art. 873 c.c. debba essere inteso in senso ampio, includendovi anche le eventuali maggiori distanze previste dai regolamenti locali.

Si perviene ad una tale decisione senza approfondire e discernere sia sulla disciplina, maggiormente di favore in ambito condominiale, sia sull'assenza di un'espressa previsione in tal senso dallo stesso art. 3 Legge cit.

La posizione della Cassazione

La Corte di Cassazione con l'ordinanza in commento, non condivide quanto sostenuto dai giudici di merito e perviene ad una differente conclusione.

Il richiamo alle distanze di cui all'art. 873 c.c. contenuto al secondo comma dell'art. 3 della Legge 13/1989 deve intendersi riferito alla sola distanza di tre metri indicato nella prima parte della norma e non anche alle eventuali maggiori distanze previste dai regolamenti locali così come richiamate nella seconda parte della norma medesima.

Un'interpretazione restrittiva è da considerarsi corretta dal momento che risulta essere più aderente al dato normativo.

Se il legislatore del 1989 avesse voluto estendere la portata applicativa della norma anche alle eventuali, ulteriori e maggiori distanze regolamentari, lo avrebbe previsto espressamente.

A tal proposito, infatti, sarebbe stato sufficiente aggiungere il solo inciso "o ai regolamenti edilizi".

Il legislatore del 1989 ha quindi proceduto con una visione statica della disposizione, per evitare il più possibile una disparità di trattamento rispetto alle opere da realizzare all'interno di edifici condominiali ove, invece, una tale deroga è stata espressamente prevista.

L'accoglimento del ricorso comporta quindi la cassazione della sentenza impugnata, rinviando ad altra sezione della Corte d'appello per decidere nel merito sulla scorta del principio di diritto così enunciato e per regolare le spese del giudizio di legittimità.

Cassazione testo ordinanza n. 25835 del 2018

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