Una proposta di lettura della "Magna Charta" dei diritti umani - commentata in alcuni dei suoi articoli - in un'epoca dai tratti spesso disumani

L'articolo 30, che è l'ultimo, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, recita: "Nessuna disposizione della presente Dichiarazione può essere interpretata nel senso di implicare che uno Stato, un gruppo o una persona abbiano il diritto di esercitare un'attività o compiere degli atti miranti alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati". È interessante mettere in relazione alcune enunciazioni della Dichiarazione con qualcuna delle problematiche più vive del XXI secolo.

Art. 1 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza"."Non ci sono i cattivi inguaribili, dentro l'uomo corazzato dalla sicurezza batte un cuore fanciullo che va svegliato, dentro l'uomo che è sicuro della sua cultura c'è l'analfabeta che può salvarlo" (dal pensiero dell'"educatore delle coscienze", padre Ernesto Balducci, espresso anche nel suo scritto "Gli ultimi tempi"). Per questo si è tutti bisognosi e responsabili di coeducazione e di rieducazione. Aiutarsi a crescere, correggersi a vicenda, sostenersi è essere profondamente uomini, rivelare la vera natura umana: "Esistono persone, ed è un dato antropologico nuovo, che entrano in una fase d'indecisione attorno ai vent'anni e non ne escono per molto tempo. Essendo fallita la fase d'identificazione della propria direzione, si può arrivare ai quarant'anni senza aver fatto alcuna scelta definitiva. È un'area di parcheggio di cui molti non trovano l'uscita e le persone in questo stallo non riescono, per esempio, a sposarsi o ad identificarsi, ossia a prendere una via univoca. Spesso sono condizionati da una cultura circostante di fatto largamente ambigua" (don Fabio Rosini).

Art. 3 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona".Il bioeticista Paolo Marino Cattorini spiega: "La vita fisica non deve essere prolungata a ogni costo, ma va vissuta lungo il percorso biografico più carico di senso umano". Pensiero affine a quello della psicologa e psicoterapeuta Paola Versari: "L'essere umano contemporaneo sta attraversando una crisi spirituale che, prima ancora che economica, sociale o politica, è crisi spirituale, umana e antropologica. Egli, sedotto dal falso ideale della «bella vita», che serve solo a nascondere il vuoto interiore, ha perso di vista la possibilità, insita in ciascuno, di realizzarsi attraverso una «vita bella», una vita cioè che abbia uno scopo, una direzione; una vita libera, perché priva di risposte prestabilite; una vita pienamente vissuta e non «reagita»"[1]. Da individuo a persona, da essere vivente ad essere umano, da solo a solidale: da "bella vita" a "vita bella".

Art. 16 par. 1 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: "Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all'atto del suo scioglimento".La disposizione dell'art. 3, "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona",deve essere rispettata anche nella vita matrimoniale, per cui ancheil divorzio (o la fine di una convivenza more uxorio) dovrebbe portare il miglioramento delle condizioni di vita di entrambi, come è stato all'inizio della vita in coppia, e non accanimento contro una parte, che troppo spesso è l'uomo, come sottolinea lo scrittore lucano Gaetano Cappelli in un suo romanzo: "Se infatti una moglie decide di lasciare il marito, non necessariamente per colpa del coniuge ma per un qualsiasi motivo, diciamo che si è innamorata di un altro o più semplicemente è stanca di trovarselo tra i piedi, nonostante sia lei, in termini legali, la responsabile della rottura di un contratto - cos'altro è un matrimonio? - sarà comunque l'incolpevole marito a essere penalizzato dovendole lasciare casa, figli e una parte sostanziosa dello stipendio di cui magari usufruirà il nuovo compagno della ex, per tornarsene dai genitori, ammesso che vogliano o possano ospitarlo, altrimenti riducendosi in miseria. Più di qualcuno degli homeless che girovagano per le strade delle nostre grandi città è un disgraziato che non ha retto economicamente la situazione".

Art. 16 par. 2 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: "Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi".Convincere e convincersi (dal latino "cum" e "vincere"): letteralmente "superare, legare a sé con, per mezzo, insieme": è anche questo il significato del consenso necessario per il matrimonio. Sposarsi solo perché si è raggiunta una certa età o mettendo in conto già un'eventuale separazione o altre riserve mentali e congetture esclude "il libero e pieno consenso", significa minare anticipatamente le basi del matrimonio. Anche perché sono cambiate consuetudini e convenzioni, come scrive la giornalista Luisa Santinello: "Pensare che solo settant'anni fa bastavano un baule pieno di lenzuola ricamate e un servizio di piatti buono per realizzare un matrimonio e mettere su famiglia… anche all'epoca la situazione economica non era fiorente, ma si era convinti che, dinanzi alle difficoltà, l'unione facesse la forza".

Anche se non è previsto né dal diritto civile né dal diritto canonico, è fondamentale la reciprocità dell'amore per "il libero e pieno consenso", quell'adesione all'altrui volontà, all'altrui sentimento, necessaria per giungere al matrimonio e per superare ogni quotidiana difficoltà, anche per l'eventuale "mutuo dissenso" in caso di separazione e divorzio: "Un amore a senso unico non ha senso. Il segreto per un matrimonio felice? Sposa qualcuno che condivida questo unico motivo di sposarsi: morire al tuo fianco, non dopo cinquant'anni, ma ogni giorno, smantellando il suo muro di ego e il tuo" (il salesiano Bruno Ferrero).

Il teologo Bert Daelemans dettaglia: "«Non è il vostro amore a sostenere il matrimonio, ma d'ora innanzi è il matrimonio che sostiene il vostro amore». Queste parole semplici del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer […] comprende ciò che Bonhoeffer chiama, con sincero realismo, «il trionfo umano», che, a sua volta, implica lotta, processo, pazienza, mediocrità e disillusione. […] Se la vita matrimoniale trascura questo principio, cresce il pericolo che il progetto comune vada in pezzi alla prima difficoltà. Se il progetto comune ha solo l'amore come base, non è difficile immaginare che cosa facciano gli sposi «quando non c'è più l'amore». […] Ogni nascita è più di un avvenimento puntuale: è un processo graduale. Darsi e riceversi vicendevolmente non è un avvenimento che si verifica una volta sola: è un cammino. […] In questo senso si pongono le preziose riflessioni del teologo spagnolo Dionisio Borobio: «L'amore matrimoniale è un amore sacrificato, un amore che può sussistere soltanto se è disposto alla rinuncia, all'offerta di se stesso, al mutuo perdono»". "Consenso", dal latino "cum", con, e "sentire", sentire, pensare, ritenere": presuppone, pertanto, anche la consapevolezza di quello che si intende e si sente come amore. "Libero e pieno" significa anche privo di condizioni e condizionamenti.Per stare insieme ci vuole fede nell'altro, fiducia dell'altro, fedeltà verso l'altro.

Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, consulenti e formatori, affermano: "[…] l'amore ha bisogno di parole. Anzi, di dichiarazioni. È così che il gesto diventa inequivocabile. […] Dare parola all'amore anche nei gesti più ordinari è una riserva che nutre la coppia. Non c'è nessun amore che permanga «spontaneamente», come spontaneamente è nato, come pensano certi ingenui innamorati che fanno dello spontaneismo il loro criterio di verità. L'amore si nutre di parole buone che accompagnano i gesti, proprio quelli ordinari (oltre che quelli dell'intimità, s'intende!). Insomma: «Le dichiarazioni d'amore non finiscono mai»". Il "libero e pieno consenso" è basato anche sulla consapevolezza ("sapere insieme"), non quella consapevolezza che l'amore finisce o che in caso di difficoltà vi è la possibilità di separazione/divorzio, perché in tal caso il consenso è già falsato o minato. Il consenso libero e pieno, invece, è fondato sulla consapevolezza che l'amore si forma e trasforma in continuazione e che bisogna uniformarsi in tal senso: comunione e comunicazione, che nella quotidianità devono avere consolidamento e non appiattimento. Altrimenti ci si allontana e si prendono strade diverse, proprio come nel significato etimologico di "divorzio", "volto in diversa parte".

La consapevolezza della dialettica dell'amore è e deve essere alla base del libero e pieno consenso dei futuri coniugi e successivamente della famiglia, come argomenta il filosofo Vittorio Possenti: "La dialettica dell'amore è aperta, libera, e pertanto il futuro non è prefissato, qualcosa di altamente diverso dalla ripetizione dell'identico. L'amore fonda la novità e apre possibilità nuove non incluse nel già dato e nel già noto; dunque sveglia l'essere umano, mentre il determinismo tende ad addormentarlo"[2].

"Coppia" significa etimologicamente "legame, congiunzione", pertanto comporta accettazione, accoglienza, abbraccio dell'altro sul presupposto della "conoscenza" e della "consapevolezza", anche e soprattutto delle differenze, da quelle di origine a quelle caratteriali. Molti matrimoni non si dovrebbero contrarre perché basati su un'apparente conoscenza, una superficiale consapevolezza e un consenso condizionato e parziale."Cosa è mio marito per me? È la mia parte maschile! Cosa sono io moglie per lui? La sua parte femminile. È il dono che mi è stato consegnato con tutta la sua storia: se non amo la sua storia e non ci entro con tutta me stessa non potrò mai decidere di AMARE. Se non generiamo il Noi della coppia non saremo generatori di figli nel vero senso della parola" (da "Elogio della differenza" di Cristina Righi).

Sposarsi per compiacere le aspettative altrui, per non infrangere i sogni della cerimonia nuziale e del ricevimento, perché si porta avanti da tempo una relazione sentimentale, per il timore di esprimere quello che si prova veramente o gli eventuali dubbi è una delle peggiori premesse perché vengono a mancare il consenso libero e incondizionato e la consapevolezza di quello cui si va incontro. Un matrimonio fallimentare o fallito non è solo un fatto personale, in quanto comporta elevati costi relazionali, sociali ed economici. Il matrimonio è un "dramma" (etimologicamente "azione, lavoro"), perché esige sentimento, coinvolgimento, impegno. Un matrimonio va in crisi se viene a mancare qualcuno di questi elementi o perché non c'è mai stato qualcuno di questi elementi. In molti matrimoni viene a mancare la libera scelta nel momento della celebrazione, perché uno dei due o nessuno dei due sa o vuole veramente quello che sta facendo.

Lo psicoterapeuta Edoardo Vian sostiene: "Il punto focale è la gratificazione. Se qualcuno pensa che la vita di coppia sia una gratificazione preventiva e costante si sbaglia. E se convolo a nozze con questa aspettativa per poi scoprire che non è così, è facile si insinui il dubbio della fregatura, di aver mancato il partner giusto: avrei sbagliato campanello, la mia "anima gemella" stava al numero successivo…". Sposarsi ed essere sposati non è aspettarsi qualcosa dall'altro, ma aspettarsi l'un l'altro; il consenso va rinnovato e trovato di volta in volta. Il consenso deve essere scevro da compromessi, convincimenti o convenienze e deve (o dovrebbe) rimanere e permanere in tal modo.

Art. 16 par. 3 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: "La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato".Esplicative le parole del sociologo Francesco Belletti: "La natura e il significato della famiglia vanno dunque oltre la dimensione privatistica per rivestire il compito di soggetto sociale, in quanto i suoi scopi e le sue funzioni, a partire dalla funzione generativa, educativa e di cura, sono essenzialmente al servizio del bene comune. Si tratta di una vera e propria "eccedenza generativa", vale a dire di una capacità della famiglia di far nascere non solo legami e capacità solidaristiche interne, ma di produrre anche orientamento pro-sociale, solidarietà verso gli altri, una crescita del "capitale sociale" da cui trae beneficio l'intera collettività. Si può parlare anche, a ragione, di un deciso "valore aggiunto" della famiglia per la società tutta".

Si legge ancora: "[…] avviare una sperimentazione operativa di interventi "family-centered", caratterizzati da:

- empowerment e promozione delle famiglie,

- processi partecipativi,

- costruzione di reti integrate (pubblico privato, formale informale, fornitori di servizi - utenti-destinatari),

- una sperimentazione che sia, se ritenuta valida a seguito di adeguato monitoraggio e valutazione partecipata, stabilizzata e messa a sistema.

Una qualità diventa fondamentale, per politiche familiari realmente sussidiarie; occorre un approccio promozionale nei confronti della famiglia, proposto come criterio essenziale per la progettazione e la realizzazione di politiche sociali innovative e non assistenziali, capaci cioè di generare cittadinanza attiva (o responsabilità sociale) nelle persone e nelle famiglie. Secondo tale prospettiva, in effetti, le risposte che il sistema politico e sociale deve attivare di fronte ai bisogni delle famiglie non devono porsi nell'ottica primaria o peggio esclusiva di "risolvere i problemi", ma devono in primo luogo cercare di "rimettere in moto" il sistema famiglia, considerandolo non come destinatario passivo di prestazioni, ma come partner attivo di un percorso di aiuto in cui sia il portatore di bisogno (la famiglia, da sola o meglio associata) sia il prestatore di aiuto (servizi, enti locali, governo centrale, ecc.) progettano e realizzano insieme percorsi di uscita dalle condizioni di mancanza e di bisogno"[3]. In tal modo la famiglia è e torna ad essere quello che è.

Art. 19 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: "Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, compreso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee, attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere".Se in passato le lotte per i diritti umani vertevano innanzitutto sulla vita e sulla sopravvivenza, ora si discute pure su altro come la questione di genere, teoria di genere, studi di genere. Purché non si faccia il gioco di lobby e non si trascenda in estremismi che hanno e sanno poco di diritti umani. La filosofa e teologa Lucia Vantini dichiara: "In estrema analisi, e senza negare la complessità del tema, il compito specifico assunto dalle teorie di genere possiamo dire sia quello di sollevare alcune domande coraggiose che raggiungono le profondità più intime di ogni esistenza"[4]. "Ognuno ha il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai benefici che ne derivano" (art. 27 par. 1 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani). L'autrice Vantini aggiunge: "Ciò che la categoria di genere fa emergere va ascoltato, ma occorre discernere, fare delle distinzioni, recuperare il contesto, assumere un atteggiamento disponibile alla formazione e al confronto aperto. Il tutto senza mai perdere di vista che mentre si spendono tante energie e ci si accanisce nella definizione della cosiddetta «natura umana», si finisce per sorvolare su ciò che, davvero, ci disumanizza". Non bisogna dimenticare che: "Ognuno ha doveri nei confronti della comunità, solo nella quale è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità" (art. 29 par. 1 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).

Art. 26 par. 2 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: "L'istruzione deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace".Ciò che dovrebbe costituire e contraddistinguere gli esseri umani è l'istruzione, quel binomio di insegnamento e educazione - di cui si parla nell'ultimo capoverso del Preambolo -, fondamento della civiltà umana e dell'unica famiglia umana. "La scuola di don Lorenzo indicava ai ragazzi sempre obiettivi nobili e alti per cui studiare. Non si lasciava mai nessuno indietro. Se un ragazzo si fermava veniva preso per mano e portato al livello degli altri per riprendere il cammino insieme. Purtroppo la scuola di Stato indica obiettivi molto più individualistici. I ragazzi hanno dentro corde straordinarie: se riusciamo a far vibrare quelle giuste si impegnano straordinariamente, se invece si toccano quelle sbagliate mandano tutto al diavolo e si perdono. Tocca in primo luogo alla scuola e alla famiglia far vibrare le corde giuste, oggi poi che sono moltiplicati i cattivi maestri: droga, violenza e, se mal usati, Internet e telefonini. E lo Stato anziché aiutare i bravi maestri, e ce ne sono tanti, ha spesso prodotto riforme lontane dalla lezione di Lettera a una Professoressa mentre, con qualche ipocrisia, emana francobolli per ricordare Barbiana. Purtroppo la scuola è ancora selettiva e la dispersione altissima. Continua a colpire le nuove e tante Barbiana del mondo che hanno solo cambiato luogo e colore della pelle" (Michele Gesualdi, ex-allievo di don Lorenzo Milani). Si ricordi che l'istruzione ha nobili intenti e nobilita le menti.

[1]P. Versari in "Dalla «bella vita» a una vita bella. Colmare i vuoti di senso alla scuola di Viktor E. Frankl", Edizioni Ares, 2015

[2]V. Possenti in"I volti dell'amore", Marietti Editore, 2015, p. 11

[3]Da una relazione a cura di Francesco Belletti, direttore Cisf - Centro Internazionale Studi Famiglia - Milano, 21 giugno 2017

[4]L. Vantini in "Genere", EMP, 2015


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