La recinzione del cortile privato, in assenza di titolo contrario, se serve solo a delimitare tale proprietà non può considerarsi condominiale

Avv. Paolo Accoti - L'art. 1117 Cc, pur nella nuova formulazione, espressamente prevede come oggetto di proprietà comune dei singoli proprietari, a prescindere dall'eventuale godimento periodico del bene e, fatta salva la diversa proprietà risultante dal "titolo" (ad esempio, dal contratto

di acquisto), <<tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate; 2.le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune; le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche>>.

A ciò si aggiunga come: <<in tema di condominio, l'art. 1117 cod. civ. contiene un'elencazione solo esemplificativa e non tassativa dei beni che si presumono comuni poiché sono tali anche quelli aventi un'oggettiva e concreta destinazione al servizio comune, salvo che risulti diversamente dal titolo, mentre, al contrario, tale presunzione non opera con riguardo a beni che, per le proprie caratteristiche strutturali, devono ritenersi destinati oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari>> (Cass. n. 1680/2015).

Pertanto, al fine di stabilire se un dato bene o impianto possa ritenersi comune ad ogni singolo proprietario, occorre far riferimento al suo dato strutturale rispetto all'edificio e, pertanto, al suo rapporto di dipendenza con il complesso immobiliare, oltre che all'attitudine funzionale (anche solo potenziale) del medesimo bene, e ciò a prescindere dall'utilità particolare che può trarre dallo stesso il singolo condomino.

Ecco che allora, il muro di recinzione che delimita il giardino di proprietà esclusiva, quand'anche inserito nella struttura dell'intero immobile in condominio, in assenza di titolo contrario, non può ritenersi bene comune, in considerazione del fatto che tale bene per sua natura è destinato a svolgere funzione di contenimento del giardino e, pertanto, edificato a tutela degli interessi del singolo proprietario.

Conseguentemente, le spese di manutenzione dello stesso sono poste esclusivamente a carico del condomino proprietario.

Questi i principi ribaditi dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 22155, depositata in data 12 settembre 2018.

La vicenda giudiziaria

Una condomina, proprietaria dell'abitazione - con annesso giardino - sita al piano terra dell'edificio condominiale, ritenendo il muretto di recinzione del suddetto giardino di proprietà comune tra i condòmini, chiedeva al Tribunale di Palermo di accertare la condominialità del muro di cinta e, pertanto, di porre a carico di tutti i condòmini le spese necessarie alla riparazione dello stesso.

Il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda, tuttavia, la Corte d'Appello del capoluogo siciliano, nel frattempo adita dal condominio, riformava la sentenza di primo grado affermando la proprietà privata del muro perimetrale, in relazione alla funzione effettivamente svolta dallo stesso e in assenza di titolo contrario.

Propone ricorso per cassazione la condomina soccombente, eccependo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1123, 1137 e 1102 Cc.

L'ordinanza della Corte di Cassazione

Il Giudice di legittimità ritiene che la Corte di merito abbia deciso in conformità alla consolidata interpretazione giurisprudenziale in materia.

A tal proposito ricorda come <<in tema di condominio negli edifici, un muro di recinzione e delimitazione di un giardino di proprietà esclusiva (come nella specie), che pur risulti inserito nella struttura del complesso immobiliare, non può di per sé ritenersi incluso fra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., con le relative conseguenze in ordine all'onere delle spese di riparazione, atteso che tale bene, per sua natura destinato a svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, può essere compreso fra le indicate cose condominiali solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione al necessario uso comune, ovvero ove sussista un titolo negoziale (quale il regolamento condominiale, di natura contrattuale, o l'atto costitutivo del condominio e, quindi, il primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto) che consideri espressamente detto manufatto di proprietà comune, così convenzionalmente assimilandolo ai muri maestri ed alle facciate (Cass. Sez. 2, 19/01/1985, n. 145; Cass. Sez. 2, 11/08/1990, n. 8198; Cass. Sez. 2, 03/06/2015, n. 11444).>>.

Ciò posto, la Corte d'Appello di Palermo, con ragionamento incensurabile in sede di legittimità, ha chiarito che il muro di recinzione del giardino, per caratteristiche strutturali, risulta utilizzato in modo esclusivo dall'immobile di proprietà privata della condomina, evenienza che fa venir meno la presunzione di condominialità prevista dall'art. 1117 Cc, in assenza di valido titolo che, al contrario, ne stabilisca la proprietà comune.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto, con tutte le conseguenze di legge, ivi compreso il pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Cass. civ., 12.09.2018, n. 22155
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