Il caporalato è un reato previsto dall'art. 603-bis c.p., che punisce con il carcere fino a 6 anni l'intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro

Cos'è il caporalato

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Il caporalato è un fenomeno nato nel dopoguerra e che, stando ai dati ufficiali, colpisce sia il Nord che il Sud d'Italia. Lo sfruttamento del lavoro dei migranti e delle fasce più povere viene disciplinato per la prima volta nel 2011, ma è con la legge n. 199/2016, che introduce il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, che si interviene in maniera più decisa. La legge ha avuto il pregio di far emergere ancora di più questo illecito vergognoso, ma le misure messe in atto non sono riuscite a risolvere definitivamente questo fenomeno, ancora così radicato. Da qui l'adozione del piano triennale 2020-2022 per contrastare lo sfruttamento lavorativo in agricoltura e il caporalato.

Il termine caporalato discende dal termine caporale, ossia colui che per conto dei proprietari agricoli reperisce manodopera a basso costo. Il caporale infatti è un intermediario il cui guadagno è rappresentato da un compenso corrisposto sia dal committente che dal lavoratore.

Come funziona il caporalato

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Il caporalato è un'attività che si concentra nelle mani della criminalità organizzata, con lo scopo di sfruttare il lavoro dei braccianti, anche se non mancano fenomeni simili nell'edilizia, nel commercio e nella ristorazione. Queste le condizioni a cui devono sottostare i lavoratori:

  • stipendi" decisamente inferiori ai minimi salariali,
  • zero contributi e nessuna assicurazione in caso di infortunio;
  • orari di lavoro massacranti che possono raggiungere le 12 ore giornaliere.

Le numerose inchieste giornalistiche di questi anni hanno evidenziato la trasversalità del fenomeno.

A chi pensa che le vittime del caporalato siano solo i migranti di colore si sbaglia. Moltissimi anche i cittadini dell'est europeo e del sud Italia, tra i quali tante donne, impiegate soprattutto nella raccolta della frutta. Le Regioni maggiormente interessate sono la Puglia e la Calabria, anche se non mancano i caporali neppure in Emilia, Toscana, Lombardia e Piemonte.

Reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

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Per contrastare il fenomeno del caporalato nel 2011 viene emanato il D.L. n. 138 (convertito con modificazioni dalla legge n. 148 del 14/09/2011), che introduce nel codice penale l'art. 603-bis intitolato "Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro" in seguito riformato dalla legge n. 199/2016.

Cosa prevede l'art. 603 bis del codice penale?

Esso punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chi:

"1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno."

Chi ricorre a violenze e minacce è punito con la pena della reclusione da cinque a otto anni e con una multa da 1.000 a 2.000 euro, sempre per ogni lavoratore reclutato. L'articolo precisa che si ha sfruttamento del lavoro in presenza di una o più delle seguenti condizioni:

1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

Rappresentano aggravanti specifiche del reato d'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro:

  • l'impiego di più 3 lavoratori;
  • il fatto che uno o più lavoratori siano minorenni;
  • esporre i dipendenti sfruttati in situazioni di grave pericolo, in relazione al tipo di prestazioni e alle condizioni lavorative.

Confisca dei beni e pene accessorie

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L'art. 603 bis 2 c.p. prevede poi che, in caso di condanna o di patteggiamento per i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, oltre ai diritti risarcitori e restitutori che possono essere vantati dalle persone offese, è sempre obbligatorio procedere alla confisca dei beni che sono serviti o sono stati destinati alla commissione del reato o che ne costituiscono il prezzo, prodotto o il profitto, a meno che non appartengano a una persona estranea al reato. Nel caso in cui non sia possibile disporre la confisca dei beni suddetti di cui il responsabile, anche per interposta persona, ha la disponibilità, si devono confiscare beni di valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto del reato.

Il successivo art. 603 ter c.p. prevede inoltre che la condanna per il reato di cui all'art. 603 bis comporta l'applicazione delle seguenti pene accessorie:

  • l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese,
  • il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi sub-contratti;
  • l'esclusione per un periodo di 2 anni (5 in caso di recidiva art 99 comma 2 n. 1, 2 e 3) da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell'Unione europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento.

Controllo giudiziario e rimozione condizioni di sfruttamento

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Se sussistono le condizioni per procedere al sequestro, il giudice può disporre al posto di questa misura, il controllo giudiziario dell'azienda in cui cui e' stato commesso il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro se l'interruzione dell'attività può avere riflessi negativi sull'occupazione e sul valore economico dell'azienda.

Il Giudice nomina inoltre uno o più amministratori giudiziari che devono affiancare l'imprenditore per garantire il rispetto delle regole, impedire la reiterazione del reato di sfruttamento e regolarizzare i lavoratori.

Misure per favorire il lavoro regolare

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La legge del 2016 tenta inoltre di incentivare la regolarità del lavoro agricolo:

  • ampliando il novero dei soggetti coinvolti nell'intermediazione dei lavoratori che, tramite convenzioni, possono aderire alla Rete del lavoro agricolo di qualità;
  • incrementando i controlli periodici sull'andamento del mercato del lavoro agricolo;
  • promuovendo politiche attive del lavoro e di contrasto al lavoro nero;
  • incentivando con varie misure il trasporto regolare dei lavoratori agricoli.

Piani di intervento anche per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori agricoli stagionali e obiettivi di riallineamento retributivo nel settore agricolo.

Piano triennale per contrastare il caporalato

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Il 20 febbraio 2020 la lotta al caporalato e allo sfruttamento del lavoro del settore agricolo ha fatto un ulteriore passo in avanti grazie all'approvazione del Piano Triennale 2020-2022. Il piano si fonda su quattro assi strategici: prevenzione, vigilanza e contrasto, protezione e assistenza, reintegrazione socio lavorativa. Per ogni asse sono previste 10 azioni d'intervento, alcune di natura preventiva, altre invece di tipo assistenziale per proteggere le vittime del caporalato e aiutarle nella fase del reinserimento lavorativo. Un progetto a cui hanno partecipato i rappresentanti dei datori di lavoro, i lavoratori agricoli e le istituzioni centrali e periferiche, che si dovranno impegnare per raggiungere gli obiettivi fissati nel piano.

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Foto: 123rf.com
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