Clausola salvo buon fine dell'affare nella mediazione immobiliare, condizione sospensiva lecita?

Avv. Emanuela Foligno - Il compenso al mediatore, come noto, spetta per il solo fatto della avvenuta intermediazione. Le vicende successive alla conclusione dell'affare non hanno incidenza alcuna sul diritto alla provvigione.

L'autonomia negoziale consente, come noto, alle parti di derogare alla disciplina codicistica e stabilire che la corresponsione della provvigione possa essere subordinata al buon fine dell'affare tenendo comunque sempre in considerazione il principio di buona fede che deve sussistere in tutte le fasi contrattuali.

Egualmente è consentito alle parti prevedere che la provvigione venga corrisposta indipendentemente dalla conclusione del contratto di vendita, o, viceversa, al momento della sottoscrizione del contratto definitivo di vendita.

Clausola salvo buon fine

La Suprema Corte si è occupata di una clausola particolare inserita in un contratto di conferimento dell'incarico ad un Agente immobiliare. Con tale clausola si prevedeva che in mancanza di "buon esito" dell'affare la provvigione non sarebbe stata dovuta.

In prime cure e in sede di Appello tale clausola è stata considerata condizione sospensiva subordinante la sussistenza al diritto al compenso del mediatore all'esito dell'effettiva compravendita immobiliare e poiché, nel caso concreto, le parti non avevano sottoscritto il contratto definitivo di compravendita, la condizione, a detta dei Giudici territoriali, non si era verificata e l'Agente, pertanto, non aveva diritto alla provvigione.

Gli Ermellini hanno censurato la decisione della Corte d'Appello perché contraria ai principi di buona fede e correttezza, principi che, ribadisce la Corte, costituiscono parte integrante dell'ordinamento giuridico.

La Corte ha considerato che l'interpretazione della pattuizione contenuta nell'incarico di mediazione con la quale si condiziona il pagamento della provvigione al buon esito dell'affare, contrasta con i principi di buona fede e correttezza perché consente comportamenti elusivi delle parti volti a togliere effetto al contratto di incarico.

E' stato ritenuto, quindi, che l'espressione "il compenso non sarà dovuto in caso di mancata vendita" debba essere intesa come vendita in senso economico quale mancata conclusione dell'affare.

La Corte parte dal presupposto che clausole così formulate debbano essere interpretate alla luce del canone generale di buona fede che deve presiedere all'esecuzione del contratto, alla sua formazione e alla sua interpretazione complessiva.

Pertanto la dicitura "conclusione dell'affare" viene identificata con la conclusione del contratto preliminare, mentre, ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione sono indifferenti le vicende successive, ivi compresa l'eventualità che le parti non concludano il contratto definitivo.

In definitiva il compenso al Mediatore spetta per il solo fatto della prestazione dell'opera intermediatrice e, quindi, in dipendenza del raggiunto accordo tra i contraenti circa la costituzione di un rapporto giuridico per effetto dell'intervento del Mediatore stesso.

Non di recente la Suprema Corte (5348/2009) ha trattato la validità di una pattuizione secondo cui quando l'incarico non è scaduto, il diritto al compenso dell'agenzia matura con la stipula di un semplice contratto preliminare, mentre quando il mandato è scaduto, occorre la vendita definitiva per pretendere il compenso provvigionale.

In tale caso le parti, sempre nell'esercizio della loro autonomia negoziale, hanno liberamente voluto e disciplinato due distinte situazioni da cui derivano conseguenze giuridiche differenti.

Così se il preliminare viene stipulato dopo la scadenza dell'incarico, e in seguito risolto, non dovrebbe essere corrisposto nessun compenso al Mediatore.

Tuttavia tale interpretazione letterale della predetta clausola volta a negare il compenso all'agente immobiliare in caso di mancata vendita dopo la scadenza del mandato, non può essere seguita.

La Cassazione ha ritenuto che il comportamento del venditore e dell'acquirente siano stati contrari a buona fede poiché gli stessi si sono avvantaggiati dell'attività del mediatore (li aveva messi in contatto e aveva fatto visionare l'immobile) e hanno utilizzato una clausola contrattuale lecita ma in modo che la stessa togliesse effetto all'incarico del mediatore, stipulando il preliminare dopo la scadenza del mandato d'agenzia.

Ciò che si concreta, pertanto, è una elusione del diritto.

Difatti in tale ipotesi negare la provvigione all'intermediario si palesa in contrasto con il principio di buna fede e correttezza che costituisce un autonomo dovere giuridico tale da poter modificare o integrare il contenuto di un accordo contrattuale tra mediatore e i suoi clienti, indipendentemente dalle pattuizioni contenute nel contratto concluso dalle parti.

In definitiva, argomenta la Corte, essendo la buona fede una clausola generale sempre applicabile indipendentemente dalla volontà delle parti essa può modificare e/o integrare le clausole contrattuali e disapplicare quella che avrebbe reso elusivo il comportamento di una di esse.

Così facendo riprende vigore la disciplina del contratto di mediazione e con essa il diritto del mediatore alla provvigione al momento della stipula del preliminare di vendita restando a lui estranee le vicende intercorse tra le parti in un momento succesivo.



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