I marchi geografici oltre che contenerere al loro interno un riferimento ad una indicazione geografica sono sinonomo di garanzia e qualità del prodotto che rappresentano. Ma come si integrano con le denominazioni geografiche di matrice comunitaria?

di Marco Miglietta - Ai sensi della disciplina applicabile in materia di denominazioni geografiche, a seguito della registrazione di una denominazione geografica come DOP o IGP non è possibile effettuare la registrazione di un marchio analogo in quanto la precedente denominazione è causa di rifiuto o, in caso di registrazione, di nullità del successivo marchio.

La normativa sulla denominazione geografica, pertanto, sembra attribuire una vera e propria prevalenza della denominazione sul marchio e non solo semplicemente sulla base di una mera regola di precedenza temporale in quanto la registrazione della denominazione preclude la registrazione di marchi analoghi ma la registrazione anteriore di marchi analoghi non preclude la successiva registrazione della denominazione.

Marchio Dop o Igp: la prevalenza della tutela dei consumatori

Infatti qualora la DOP o l'IGP sia stata registrata prima del marchio, la richiesta di registrazione di quest'ultimo viene respinta ai sensi dell'art. 4, comma 4, lett. c della Direttiva CE 2008/95 e l'art. 7 lett. j e k del Regolamento CE 40/94 per carenza assoluta dei presupposti di registrazione, ove la domanda di registrazione sia presentata successivamente alla data di presentazione della domanda della denominazione geografica.

Si assiste invece ad una prevalenza nell'ottica della tutela dei consumatori se è registrato un marchio precedentemente alla domanda della registrazione di una denominazione e questo avendo acquistato rilevanza e la fama nel pubblico impedisce la registrazione della denominazione il cui suo uso sarebbe tale da indurre in errore il consumatore.

In tal senso la denominazione geografica "soccombe" rispetto alla fama e alla reputazione acquisita di un marchio analogo a tutela dei consumatori .

E' invece strettamente legata alla normativa sul marchio e alla capacità distintiva delle stesso mutevole nel tempo a causa di cambiamenti nella percezione dei consumatori la norma dettata dall'art. 14 del Regolamento n. 510/ 2006, ove la sopravvivenza del marchio precedentemente registrato e corrispondente alla denominazione geografica successivamente registrata, non solo implica la compressione del diritto di esclusiva dello stesso a causa della registrazione della denominazione geografica ma deve essere compatibile con le direttive sul marchio d'impresa e sul marchio comunitario.

Infatti il marchio corrispondente alle denominazioni registrate depositato, registrato o, nei casi in cui ciò sia previsto dalla normativa pertinente, acquisito con l'uso in buona fede sul territorio comunitario, anteriormente alla data di protezione della denominazione d'origine o dell'indicazione geografica nel paese d'origine, o precedentemente al 10 gennaio 1996, può proseguire, nonostante la registrazione di una denominazione d'origine o di un'indicazione geografica, qualora non incorra nella nullità o decadenza per i motivi previsti dalla prima direttiva CE 89/104 sul ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri in materia di marchi d'impresa o dal regolamento CE n. 40/94 del consiglio, del 20 dicembre 1993 sul marchio comunitario.

Una volta che venga registrata una denominazione analoga al marchio anteriore, questo continua a poter essere liberamente utilizzato facendo salve le ragioni dell'imprenditore titolare, salve le ipotesi di nullità e di decadenza sancite dalle direttive suddette.

Ossia il marchio, pur se analogo alla denominazione, segue il suo corso e rimane disciplinato dalla normativa specificamente prevista dal legislatore sui marchi d'impresa e sul marchio comunitario; in questa ipotesi siamo fuori dall'applicazione della normativa di cui al regolamento 510 del 2006 sulle DOP e sulle IGP ma sicuramente la protezione accordata alla denominazione geografica analoga attraverso la registrazione come DOP o IGP influenza sia il carattere di decettività del marchio potendo concretizzare la sua decadenza sia l'uso dello stesso nell'ambito dell'applicazione della normativa sulle pratiche sleali scorrette.

In giurisprudenza un caso di coesistenza tra denominazione protetta e marchio molto interessante è quello del Consorzio di tutela della denominazione di origine protetta dell'olio extravergine d'oliva "Chianti classico" contro l'"azienda olearia del Chianti", responsabile dell'illecita commercializzazione di olio, in confezioni contrassegnate dal marchio contenente il toponimo Chianti senza che il prodotto derivi da olive coltivate in quella zona geografica.

Nella controversia esaminata dal Consiglio di Stato emergeva che l'azienda olearia del Chianti titolare di un marchio regolarmente registrato e lecito si era limitata ad utilizzare il proprio marchio, contenente il riferimento geografico alla zona del Chianti e su tale denominazione aveva fondato il proprio successo commerciale, senza fornire indicazioni false in etichetta né aveva vantato la provenienza delle olive d o dell'olio dalla regione dl Chianti.

L'etichetta però non presentava alcuna formazione in merito alla provenienza dell'oliva né dell'olio facendo intendere con il proprio marchio al consumatore una provenienza errata dell'olio ed attuando così una pubblicità ingannevole.

Il Consiglio di Stato, pur ritenendo lecito il marchio in questione in quanto registrato anteriormente alla creazione del marchio del Chianti classico DOP e della costituzione del consorzio di tutela, lo considerata tale da indurre ad attribuire all'olio una precisa origine geografica mentre in realtà non proviene da essa. Pertanto il messaggio pubblicitario contenuto nel marchio o nell'etichetta in assenza di altre informazioni ha come conseguenza il trarre in errore il consumatore in merito alla provenienza della materia prima e costituisce pubblicità ingannevole.

Affinché il marchio registrato non induca il consumatore in errore e quindi non sia ingannevole bisognerebbe comunicare al consumatore, con adeguate informazioni contenute in etichetta, l'effettiva origine del prodotto; così l'Autorità Garante per le Comunicazioni ha affermato sul caso in questione che i messaggi rappresentati dalle etichette dei prodotti che riportano il toponimo del prodotto azienda olearia del Chianti, ed alcuni elementi grafici ed espressivi, utilizzati come la rappresentazione di figure dedite alla spremitura delle olive, in assenza di precise indicazioni dell'origine geografica del prodotto "sono idonei a creare nei consumatori falsi affidamenti circa le effettive caratteristiche di provenienza del prodotto ingenerando al tempo stesso confusione nei consumatori con l'olio "Chianti classico Dop" e pregiudicandone dunque il comportamento economico.

Il potenziale pregiudizio per i concorrenti è poi in re ipsa, in quanto essi non potrebbero non risentire dello sviamento di clientela provocato dall'errore in cui dovessero incorrere i destinatari al momento di orientare le proprie scelte".

Il canone interpretativo utilizzato implica che la presenza di simboli, raffigurazioni sull'etichetta del prodotto, e quindi la presentazione dello stesso, qualora rinvii ad un territorio determinato e sia unita ad un marchio che si ricollega ad una determinata zona geografica, o perché in sé contiene una indicazione geografico o perché capace di rinviare ad un territorio geografico in quanto avente una valenza geografica in sé, ha come conseguenza l'ingannevolezza del messaggio qualora il prodotto non provenga effettivamente da quel luogo.

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Note bibliografiche

•Nicoletta Amadei in Relazione presentata in occasione del Salone della PROPRIETA' INDUSTRIALE 2013

•www.agcm.it

•M. Libertini, Indicazioni geografiche e segni distintivi, in Riv. dir. comm., 1997

Marco Miglietta

marcomiglietta90@gmail.com


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