La malattia professionale è una patologia contratta nell'esercizio e a causa dell'attività lavorativa che può aggravarsi a causa del protrarsi dell'esposizione al rischio

Malattia professionale: nesso con attività lavorativa

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La malattia professionale è una patologia contratta nell'esercizio e a causa dell'attività lavorativa. Mentre la causa degli infortuni sul lavoro è per lo più istantanea e con effetto immediato, nella malattia professionale la causa è solitamente prolungata nel tempo e attiene all'esposizione del lavoratore ai rischi legati alle mansioni da lui svolte e all'ambiente in cui opera.

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La principale normativa di riferimento in materia è contenuta nel DPR 1124/65, Testo Unico sull'Assicurazione per gli Infortuni sul lavoro e Malattie professionali, poi parzialmente modificato dal d.lgs. 38/2000.

Al fine di organizzare in modo lineare ed esaustivo la disciplina della materia, il legislatore ha predisposto delle tabelle in cui si individuano varie categorie di malattie. Qualora il lavoratore dimostri il manifestarsi di una di esse, opera la presunzione legale che l'insorgere della stessa sia dovuto all'esercizio dell'attività lavorativa da lui svolta.

In tali casi, pertanto, la malattia è qualificata come professionale e il diritto alle prestazioni indennitarie sorge automaticamente.

Diversamente, se il lavoratore lamenta l'insorgere di una malattia che non rientri tra quelle elencate in tabella, sarà suo onere quello di dimostrare la sussistenza del nesso eziologico tra patologia e attività lavorativa, ai fini del riconoscimento delle prestazioni indennitarie.

Aggravamento della malattia professionale: l'art. 137 TU

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L'entità della malattia può variare nel tempo, in miglioramento o in peggioramento. Per tale motivo, è in facoltà del lavoratore richiedere l'aggiornamento delle prestazioni dovute, in conseguenza dell'aggravamento delle sue condizioni di salute derivato dalla medesima malattia professionale.

Sebbene il testo dell'art.137 TU faccia riferimento all'attitudine al lavoro, come parametro per valutare le condizioni del richiedente, l'art. 13 del d.lgs. n. 38/2000 ha introdotto il concetto di danno biologico come riferimento per la quantificazione dell'indennizzo. Adesso, pertanto, occorre riferirsi al concetto di menomazione dell'integrità psicofisica e non più a quello di capacità di produzione del reddito.

Al fine del riconoscimento dell'aggravamento, l'interessato deve inoltrare apposita domanda all'ente previdenziale, per ottenere una nuova valutazione sull'entità della patologia e la conseguente revisione delle prestazioni dovute. La richiesta dev'essere corredata da un certificato medico attestante l'aggravamento.

Effetti della domanda e provvedimenti dell'ente

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In conseguenza della richiesta, l'INAIL può disporre le opportune visite mediche sulla persona del lavoratore. Se questi rifiuta di sottoporvisi, l'ente ha facoltà di sospendere il pagamento della rendita.

Il provvedimento di accoglimento o rigetto va adottato entro il termine di 90 giorni dal ricevimento della domanda. In caso di rigetto, il lavoratore può inoltrare reclamo ai sensi dell'art. 104 del TU e, successivamente, adire l'autorità giudiziaria.

I termini per la richiesta di verifica dell'aggravamento

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La richiesta di verifica dell'aggravamento può essere inoltrata una volta trascorsi 6 mesi dalla scadenza del periodo di inabilità temporanea assoluta oppure, se la patologia non ha comportato l'assenza dal lavoro, trascorso un anno dall'insorgere della stessa.

È possibile presentare successivamente ulteriori domande di revisione, ad intervalli non inferiori di un anno l'una dall'altra. In base all'art. 137 del Testo Unico, l'ultima domanda di aggiornamento può essere presentata entro 15 anni dalla decorrenza della rendita.

Aggravamento connesso al protrarsi dell'esposizione al rischio

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Sebbene l'art. 137 TU faccia riferimento al solo caso in cui il lavoratore sia titolare di rendita, una lettura organica del quadro normativo, comprensiva del d.lgs. 38/2000, consente di affermare che la disciplina dell'aggravamento è applicabile anche a quei lavoratori a cui, in origine, la malattia è stata riconosciuta ma non indennizzata, o indennizzata solo in capitale, in virtù del basso grado di menomazione.

È quanto chiarito, peraltro, dall'INAIL con la circolare n. 32/2015: tale provvedimento, giunto dopo il tortuoso percorso interpretativo degli ultimi anni, sancisce che l'aggravamento denunciato oltre il termine di 15 anni va considerato come denuncia di nuova malattia, a condizione che il peggioramento sia riconducibile al protrarsi dell'esposizione del lavoratore allo stesso rischio morbigeno, anche in azienda diversa da quella in cui si è inizialmente manifestata la malattia.


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