Se il provvedimento che regola il diritto di visita è eccessivamente generico la condotta dell'imputato va valutata considerando gli eventuali abusi dell'ex

di Valeria Zeppilli - In materia di affido condiviso dei figli e di diritto di visita, è particolarmente importante chiarire quando si debba parlare di elusione del provvedimento del giudice penalmente rilevante. A ciò ha recentemente provveduto la Corte di cassazione con la sentenza numero 1748/2018 qui sotto allegata.

Il ruolo del genitore affidatario

I giudici, nel dettaglio, hanno precisato che eludere "significa frustrare, rendere vane le legittime pretese altrui" e che, in tal senso, assumono rilevanza anche il semplice rifiuto e la mera omissione del genitore affidatario, che incidono negativamente sul rapporto del figlio con l'altro genitore.

Infatti, la crescita equilibrata del minore è fortemente condizionata dalla presenza sia della madre che del padre, mentre troncare o intralciare i legami tra il figlio e il genitore non collocatario può avere "effetti deleteri sulla formazione della personalità" del piccolo.

Il rifiuto

Assodato che il mero rifiuto assume rilievo per la configurazione del reato di cui al secondo comma dell'articolo 388 c.p., nella valutazione concreta delle condotte poste in essere dal genitore imputato occorre valutare se effettivamente questo rifiuto vi sia stato.

A tal fine, bisogna considerare che il rifiuto "denota una espressa manifestazione, che può assumere una qualsiasi forma, di non compiere ciò che è esplicitamente o implicitamente richiesto".

I rischi della genericità del diritto di visita

Nel caso di specie, la questione era abbastanza complicata perché il giudice della separazione aveva emesso un provvedimento con il quale aveva riconosciuto al padre il diritto di fare visita alla figlia presso l'abitazione materna "quando voleva", di fatto costringendo la madre a restare a disposizione dell'ex marito e così esacerbando i rapporti tra i due.

Si trattava di un provvedimento connotato da una "dannosa genericità", che aveva determinato un abuso da parte del padre.

Rispetto a tale peculiarità, il giudice del merito era giunto alla condanna della donna in maniera "anemica, contraddittoria, manifestamente illogica": dovrà ora tornare sulla questione, motivando in maniera non sbrigativa e verificando se, anche tenendo conto della genericità del provvedimento del Presidente del Tribunale, il comportamento dell'imputato sia effettivamente sussumibile nell'ambito del reato di mancata esecuzione dolosa di un comportamento del giudice.


Corte di cassazione testo sentenza numero 1748/2018
Valeria Zeppilli

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