Disciplina giuridica e caratteri del delitto tentato ex art. 56 del codice penale
di Raffaella Feola - L'articolo 56 del codice penale afferma: "Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica".

Delitto tentato: la pena

Il colpevole di delitto tentato è punito:

- con la reclusione da ventiquattro a trent'anni, se dalla legge è stabilita per il delitto la pena di morte;

- con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l'ergastolo;

- negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.

Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sè un reato diverso.

Se volontariamente impedisce l'evento, soggiace, invece, alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà.

La ratio dell'art. 56 c.p.

Tale articolo assolve alla funzione di punire colui che, volontariamente compie atti prodromici alla commissione di un delitto.

La condotta, però, non giunge alla consumazione a causa di fattori esterni alla volontà del soggetto, quindi, resta incompiuta.

Ma perché il delitto tentato è punito nonostante il reo non sia riuscito nel suo intento?

È possibile individuare 3 orientamenti:

- orientamento soggettivistico

il fondamento della punibilità va cercato nella pericolosità del soggetto;

- orientamento oggettivistico

la punibilità del soggetto è legata alla messa in pericolo del bene giuridico protetto dalla norma;

- orientamento "intermedio"

il tentativo è punibile per l'allarme sociale che suscita la condotta del reo.

Delitto tentato: l'individuazione del tentativo

L'aspetto più spinoso sull'argomento è rappresentato dallo stabilire il momento in cui comincia il tentativo.

Un codice autoritario e repressivo considera tentativo la semplice preparazione del reato, un codice più garantista richiederà aspetti esterni, più vicini al risultato finale.

Nel nostro sistema risponde di delitto tentato "chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto".

L'individuazione del tentativo si incentra su due concetti:

- idoneità degli atti;

- non equivocità degli atti.

Idoneità degli atti

L'idoneità va valutata dal giudice con il criterio della "prognosi postuma", ossia in concreto ed ex ante. Il giudizio di idoneità riguarda l'atto e non il mezzo e va ricondotto al momento della commissione dell'ultimo atto che ha caratterizzato la condotta.

L'idoneità va letta in senso oggettivo, infatti, la dottrina penalistica ritiene idonei quegli atti potenzialmente offensivi che non si verificano a causa di fattori esterni e non per volontà del reo.

Univocità degli atti

Il giudizio di non equivocità si riferisce a tutti gli atti riconducibili al disegno criminoso e non all'ultimo posto in essere.

A riguardo vi sono tre teorie:

- teoria oggettiva

gli atti sono univoci quando sono oggettivamente tali da provocare quel determinato evento;

- teoria soggettiva

gli atti sono univoci quando in sede processuale è raggiunta la prova del proposito criminoso;

- teoria intermedia

l'atto sarà univoco quando è idoneo a provocare l'evento e, quando è raggiunta la prova dell'evento criminoso.

Delitto tentato: occorre il dolo

Il reato tentato è punibile solo a titolo di dolo e non di colpa. Il problema del dolo nel tentativo è se sia ammissibile il dolo eventuale.

Secondo alcuni, la risposta deve essere negativa, poiché non vi è differenza tra i vari tipi di dolo in relazione ai vari tipi di reato. La dottrina prevalente non condivide tale assunto. Se la condotta deve essere univoca, quando c'è il dolo eventuale la condotta non è tale, quindi, come affermato dalla prevalente giurisprudenza, l'ipotesi del tentativo non è compatibile con il dolo eventuale, mentre lo è con quella particolare forma di dolo diretto che è il dolo alternativo (cfr. tra le altre, Cass. n. 14554/2015; n. 14034/2012).


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