il divieto del patto commissorio e l'operatività del patto marciano anche alla luce dei più recenti interventi legislativi
di Iacopo Brotini - Come noto, l'ordinamento giuridico sancisce espressamente il divieto del c.d. patto commissorio ovvero l'accordo concluso tra creditore e debitore in forza del quale, in caso di inadempimento del debito garantito, il primo potrebbe veder soddisfatte le proprie ragioni attraverso il trasferimento in proprio favore della proprietà
del bene dato in pegno dal secondo ovvero dal medesimo ipotecato.

Il divieto del patto commissorio

Il fondamento normativo di suddetto divieto si rinviene anzitutto nella previsione generale di cui all'art. 2744 c.c. (a mente della quale: "E' nullo il patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore") ma altresì da quanto disposto dall'art. 1963 c.c., il quale, contenuto all'interno del Libro VI, Titolo III, Capo XXIV del Codice, dedicato alla disciplina del contratto

di anticresi, ribadisce la nullità di "qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, con cui si conviene che la proprietà dell'immobile passi al creditore nel caso di mancato pagamento del debito".

Patto commissorio: la ratio del divieto

La ratio del divieto in commento si può ragionevolmente individuare da un lato nella necessità di tutela del principio della c.d. par condicio creditorum (infatti il trasferimento in proprietà

esclusiva del bene oggetto di pegno o di ipoteca in favore del creditore garantito finirebbe giocoforza con il danneggiare eventuali altri creditori del medesimo debitore, i quali verrebbero illegittimamente privati del diritto di ottenere la soddisfazione delle proprie ragioni con riferimento al valore del bene che dovesse eventualmente residuare dopo il pagamento del credito assistito da garanzia); dall'altro - ma si tratta di un profilo strettamente connesso con quello appena accennato - l'eventuale legittimità di un siffatto negozio ben potrebbe comportare (facendo leva sullo squilibrio patrimoniale tra le parti assai spesso presente) un indebito arricchimento in favore del creditore nell'ipotesi in cui il bene ipotecato o concesso in pegno dovesse avere un valore anche di molto superiore all'obbligazione garantita.

Due ulteriori considerazioni.

Patto commissorio, la nullità

In primo luogo, come ribadito da costante giurisprudenza (ex multis Cass., Civ. Sez., II, 30/09/2013, n. 22314), la portata del divieto in esame è tale da determinare la radicale nullità non solo della singola e semplice pattuizione intervenuta tra le parti, e con la quale si preveda il mero trasferimento in proprietà del bene al verificarsi dell'inadempimento, bensì anche di qualsiasi altro programma negoziale - più o meno articolato e complesso - con il quale le stesse parti, all'uopo utilizzando schemi contrattuali di per sé pienamente leciti, di fatto intendano perseguire il medesimo scopo (il riferimento è, ad esempio, alla conclusione di una vendita condizionata sospensivamente all'inadempimento, alla conclusione di una vendita condizionata risolutivamente all'adempimento, al perfezionamento di un contratto di sale and lease back posto in essere in funzione di garanzia...).

In secondo luogo è pacifico come la sanzione di nullità sancita dall'art. 2744 c.c. non potrebbe che colpire l'eventuale accordo intervenuto prima della scadenza dell'obbligazione garantita; in altri termini, è pacifico che, una volta verificatosi l'inadempimento, il debitore è certamente libero (a condizione ovviamente che l'altra parte vi acconsenta) di cedere in proprietà al creditore un suo bene al fine di soddisfare il credito rimasto insoluto. Si tratta, a ben vedere, dello schema della c.d. datio in solutum, della cessio bonorum...pienamente valide anche se intervenute in una situazione di squilibrio patrimoniale tra il valore delle reciproche obbligazioni (in merito si veda, da ultimo, Cass., Civ. Sez., II, 21/01/2016, n. 1075).

Il patto marciano

Se il patto commissorio costituisce dunque un negozio vietato, sanzionato addirittura con la nullità, altrettanto non può dirsi con riferimento alla diversa figura del c.d. patto marciano.

In forza di suddetto accordo il creditore insoddisfatto a seguito dell'inadempimento del debitore ottiene egualmente la proprietà del bene ipotecato o fatto oggetto di pegno al fine di vedere soddisfatte le proprie ragioni, tuttavia, a differenza di quanto in precedenza descritto, il valore della res viene previamente stimato da un terzo prima del suo trasferimento, con la conseguenza che, in ipotesi di un suo valore eccedente l'ammontare del credito garantito, il creditore sarà obbligato a restituire al debitore la relativa differenza.

La legittimità e la liceità di una convenzione di tale natura deriva dalla circostanza che, in tal modo, non solo l'eventuale par condicio creditorum non viene inficiata ma altresì dalla constatazione che il creditore non ottiene mai un quid pluris rispetto a quanto effettivamente a lui spettante nell'ipotesi in cui il valore del bene ecceda sensibilmente l'ammontare del debito contratto.

Il patto marciano nella giurisprudenza

A conferma della validità e della utilizzabilità del c.d. patto marciano vi sono non solo numerose pronunce di legittimità (ad esempio Cass., Civ. Sez., II, 09/05/2013, n. 10986, ove espressamente si esclude l'illiceità della causa con riferimento all'accordo in commento) ma altresì la recente introduzione per opera del Legislatore di due specifiche fattispecie che ne ricalcano la struttura.

Il riferimento è al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.lgs 01/09/1993, n. 385) e, in particolare, a quanto disposto dagli artt. 48-bis e 120-quinquiesdecies, inseriti nel corpo del provvedimento, rispettivamente, dal D.l. 03/05/2016, n. 59, convertito con modificazioni dalla L. 30/06/2016, n. 119, e dal D.lgs 21/04/2016, n. 72.

Si tratta di due ipotesi che, a ben vedere, "codificano" in questo segmento di disciplina il patto marciano, prevedendo la possibilità - nel rapporto di finanziamento instauratosi tra una banca (od altro soggetto autorizzato nel rispetto della normativa vigente) e un imprenditore (art. 48-bis) ovvero un consumatore (art. 120-quinquiesdecies) - che il creditore, a seguito dell'avvenuto inadempimento della controparte (i cui presupposti vengono dettagliatamente indicati), possa ottenere la proprietà del bene (solo immobile) il cui valore sia stato preventivamente determinato da un perito, nonché ribadendo l'obbligo per il finanziatore, nell'ipotesi in cui il valore della res ecceda quello del credito garantito, di restituire l'eccedenza.

L'avvenuto inserimento, da parte del legislatore, di due fattispecie come quelle ora menzionate non può che avallare definitivamente la tesi della legittimità e della utilizzabilità della figura del patto marciano nei rapporti tra creditore garantito e debitore.


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