Gli articoli 1175, 1176 e 1218 c.c., dettano, come è noto, principi generali in materia di adempimento delle obbligazioni. L'art. 1175 c.c. stabilisce quanto segue:« Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza». L'art. 1176 c.c., dal suo canto, così recita: «Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata». Da ultimo, l'art. 1218 c.c., dispone che «Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile». Ordunque, le disposizioni suddette contengono un'indubbia portata precettiva, intorno alla quale valga la pena di svolgere una breve indagine giurisprudenziale. Per ciò che concerne l'art. 1175 c.c., l'orientamento della S.C. in tema di correttezza (o buona fede in senso oggettivo) nella fase dell'adempimento delle obbligazioni è condensato nella presente massima: «La buona fede nell'esecuzione del contratto
si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà (derivante soprattutto dall'art. 2 cost.) che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell'interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell'interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico» (Cass., 30 luglio 2004, n. 14605; conf., ex plurimis, Cass., 4 marzo 2003, n. 3185). Ancor più che la violazione del principio di correttezza, la responsabilità in parola si colorerà di tinte ancor più forti se e quando risulti integrata l'infrazione al precetto dell'art. 1176, comma 2, c.c., che, graduando la violazione della diligenza sulla natura dell'attività esercitata, esige dall'operatore professionale un grado di perizia qualificata nell'adempimento delle obbligazioni. Ciò non senza dimenticare che, a proposito della violazione dell'art. 1218 c.c., un recente indirizzo giurisprudenziale, ha alleggerito l'onere probatorio del creditore avente diritto alla prestazione, che deve soltanto allegare l'inadempimento del debitore: «In tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento (come nel caso di specie, n.d.r.) deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento; anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento della obbligazione, ma il suo inesatto inadempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (anche per difformità rispetto al dovuto), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento» (Cass., sez. lav., 9 febbraio 2004, n. 2387; in termini, si veda la fondamentale Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533).
Autore: Giorgio Vanacore

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