Con la sentenza n. 4384/05, il Consiglio di Stato conferma il proprio ius receptum in tema di motivazione del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio previsto dall'art. 91, comma 1, T.U. 10 gennaio 1957 n. 3 nei confronti dell'impiegato sottoposto a procedimento penale: ad avviso di tale consistente indirizzo giurisprudenziale, ?ai fini della sospensione cautelare, il giudizio sulla compatibilità dei fatti sottoposti all'accertamento del giudice penale con la permanenza in servizio dell'imputato non richiede particolari spiegazioni quando sia implicito nella gravità del reato?: le ragioni giustificative della scelta adottata, quindi, in bilico tra motivazione per relationem e motivazione in re ipsa, non devono essere esternate con eccessivo rigore formale. In tal senso, il provvedimento di sospensione cautelare di un pubblico impiegato è da ritenersi adeguatamente motivato anche con il solo riferimento al titolo dei reati contestatigli, quando questi ultimi si riferiscono a fatti specificamente attinenti alla sfera dell'Amministrazione e trovano origine proprio dalle funzioni esercitate dall'impiegato. Indefettibile, quindi, il collegamento funzionale tra il reato ascritto ed il ruolo professionale svolto a prescindere dalla compiuta esternazione formale. Quanto poi all'istanza, eventualmente proposta dal dipendente, di riammissione in servizio, il Consiglio ribadisce la rilevanza, ai fini della preclusione di tale riammissione, della conflittualità determinata dalla decisione dell'Amministrazione di costituirsi parte civile
nel processo penale. (Si ringrazia il Dott.Giuseppe Buffone)
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 23.08.2005 n° 4384

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