Il danno psichico, quale danno non patrimoniale e sub specie del danno biologico, è una lesione della salute psichica provocata da un evento traumatico doloso o colposo

Cos'è il danno psichico

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Il danno psichico appartiene alla categoria dei danni non patrimoniali, cioè dei danni che non

interessano il patrimonio del soggetto, ed è una subspecies del danno biologico.

Nel diritto vivente il danno biologico viene definito in senso stretto come lesione dell'integrità psicofisica medicalmente accertabile. In altre parole il danno biologico è un danno alla salute dell'individuo. Quindi qualsiasi lesione, ovvero alterazione patologica, nel corpo o nella mente, costituisce un danno biologico.

La lesione fisica (per. es. la frattura di un osso, la lacerazione di un muscolo, la rottura di un tendine, ecc.) interessa il corpo umano.

La lesione psichica (per es. la depressione, l'agorafobia, la psicosi etc.) interessa la mente umana.

Entrambe costituiscono una lesione alla salute e quindi un danno biologico.

Il danno psichico pertanto può essere definito come una lesione della salute psichica dell'individuo che consiste nell'alterazione patologica dell'integrità psichica e dell'equilibrio di personalità, provocata da un evento traumatico di natura dolosa o colposa, che limita notevolmente ed in maniera durevole l'esplicazione di alcuni aspetti della personalità nel regolare svolgimento della vita quotidiana.

Differenze danno psichico e danno morale ed esistenziale

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Pertanto il danno psichico non va confuso con il danno morale, definito dalla Corte Costituzionale con la famosa sentenza

n. 233/2003 come "il transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima". In buona sostanza il danno morale è anch'esso un danno non patrimoniale, e consiste nel turbamento emotivo subito dalla vittima di un evento dannoso, per il dolore, il disagio e la sofferenza psico-fisica che costituisce l'immediata conseguenza dell'evento lesivo e che ha una natura necessariamente temporanea, perché dura per un breve lasso di tempo senza compromettere la salute dell'individuo e la sua quotidianità.

Si comprende come questo danno si distingua dal danno psichico fondamentalmente perché non è medicalmente accertabile, e quindi non è un danno biologico.

Più complicata è la distinzione tra danno psichico e danno esistenziale, perché il danno psichico spesso può determinare anche un danno esistenziale, ma un danno esistenziale non implica necessariamente, anche la presenza di un danno psichico.

Per consentire di distinguere il danno esistenziale dal danno psichico, si ritiene utilissima la definizione che di danno esistenziale, viene offerta da Pajardi, Macrì, Merzagora Betsos, nella loro "Guida alla valutazione del danno psichico- Giuffrè Editore - 2006". Questi autori definiscono questa voce di danno come "la compromissione della qualità della vita normale del soggetto o uno stato di disagio psichico che non arriva a configurarsi come un quadro clinico patologico".

Il danno esistenziale consiste in un "non poter più fare" in quanto inficia le azioni realizzatrici della persona umana come i rapporti familiari, affettivi, sociali, le attività di svago ed intrattenimento etc. Pertanto il soggetto leso dall'evento traumatico ha subìto una compromissione delle sue normali abitudini di vita, ma non una malattia psichica. Per esempio il caso di chi a seguito di un sinistro stradale rimane talmente spaventato da non voler più guidare un'autovettura.

L'evitamento della guida potrebbe essere il sintomo di un vero e proprio danno psichico che in presenza di tutti i riscontri medico-legali necessari, consentirebbe di provare un vero e proprio danno alla salute, ma se il timore di guidare non è patologico, ma comunque è scaturito dal sinistro ed il soggetto non è più in grado di condurre il tipo di vita che faceva prima, quando guidava ed era quindi in grado di spostarsi con l'autovettura in totale autonomia, in questo caso non c'è un danno psichico, ma c'è comunque un danno esistenziale.

Invero i confini tra i due concetti sono molto labili, perchè lo stesso concetto di salute mentale è un concetto controverso, se si pensa che da un lato vi è la psichiatria più conservatrice di marca organicistica che considera solo le malattie mentali nosograficamente individuate, e dall'altra vi sono la sociologia, la psicologia e la psichiatria più progressista, che ritengono il danno psichico in termini più ampi, come "la menomazione di una o di più funzioni, intese come capacità di instaurare e mantenere positivi rapporti interpersonali; capacità che è venuta meno, a seguito della difficoltà di gestire la sofferenza mentale riattivata o prodotta dall'evento traumatico" ovvero come "una compromissione durevole ed obiettiva che riguarda la personalità individuale nella sua efficienza, nel suo adattamento, nel suo equilibrio; come un danno, quindi, consistente, non effimero, né puramente soggettivo, che si crea per effetto di cause molteplici e che, anche in assenza di alterazioni documentabili dell'organismo fisico riducono, in qualche misura le capacità, le potenzialità della vita della persona" (Quadrio).

Ad ogni buon conto, seppure nel caso concreto possa sorgere un dubbio sulla natura psichica o esistenziale del danno consistente nel disagio psichico subito dall'individuo a causa dell'evento dannoso, che si consolida durevolmente in un non poter più fare ciò che prima

l'individuo era in grado di fare, la classificazione di entrambi i danni nell'ambito del danno non patrimoniale, consente comunque di superare le limitazioni concettuali e di ottenere in ogni caso un ristoro per il danno subito, quale che sia nel caso concreto la sua qualificazione, purchè naturalmente il danno venga provato nel corso del giudizio, così come la sua derivazione causale dall'evento dannoso.

Risarcibilità danno psichico

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Il danno psichico in quanto danno biologico, ossia lesione della salute psichica dell'individuo, è oramai pacificamente riconosciuto come risarcibile dalla giurisprudenza, ancorché si tratti di una fattispecie risarcitoria che richiede un'attenta ponderazione, tanto per quanto attiene all'accertamento della reale sussistenza di tale danno nel caso concreto, quanto con riferimento alla quantificazione, e quindi alla valutazione in termini monetari del danno stesso.

L'accertamento della reale sussistenza del danno psichico è un attività molto delicata, perché si tratta di individuare quali conseguenze pregiudizievoli ha subito il soggetto che assume di aver riportato un danno psichico e che agisce per ottenerne il risarcimento, riconoscendo i casi di simulazione da quelli reali, e verificando attentamente che il disturbo psichico non sia preesistente all'evento dannoso, ma sia dall'evento dannoso prodotto, e quindi legato ad esso dal nesso di causalità.

Anzitutto occorre premettere che il danno psichico è risarcibile in quanto danno conseguenza, pertanto chi agisce in giudizio per ottenerne il risarcimento ha l'onere di allegare e provare (oltre agli altri requisiti richiesti dall'art. 2043 c.c.) la sussistenza del predetto danno e la sua derivazione causale dall'evento dannoso.

Il soggetto che ha subito un danno psichico dovrà quindi produrre in giudizio la documentazione medica dalla quale si evincono, gli accertamenti, le cure, le diagnosi, le prescrizioni, e quant'altro sia stato necessario eseguire a seguito dell'evento dannoso e delle conseguenze che ne sono derivate. Dovrà altresì produrre una perizia medico-legale che certifichi in base ai criteri medicolegali

oggettivi l'esistenza del danno psichico lamentato e la sua derivazione causale dall'evento dannoso.

Il Giudice che dovrà decidere sulla spettanza e sull'entità del risarcimento danni, non essendo un medico-legale, né uno psichiatra, e quindi non avendo, normalmente, le competenze specialistiche necessarie per valutare, se effettivamente un danno psichico si sia verificato, la gravità dello stesso, e se tale danno sia stato la conseguenza dell'evento lesivo, dovrà necessariamente disporre una Consulenza Tecnica d'Ufficio (CTU), ossia conferire ad un esperto della materia, o meglio ancora, ad un collegio di esperti della materia (essendo spesso necessarie sia conoscenze di medicina legale, che conoscenze in psichiatria e psicologia), il compito di

effettuare le verifiche del caso.

La CTU non è quindi un mezzo istruttorio in senso proprio, e non esonera la parte che agisce in giudizio dal fornire la prova di quanto assume, ma rappresenta un indispensabile strumento a disposizione del Giudice, che gli consente di valutare il materiale probatorio acquisito nel corso del processo per verificare l'esistenza (l'an), la sua origine, e la consistenza (il quantum) del lamentato danno psichico, e per trovare la soluzione a specifiche questioni tecniche che richiedono determinate conoscenze che lui non ha.

Sebbene la CTU spesso venga sollecitata dalle parti del processo, le quali possono anche suggerire i quesiti da sottoporre al Consulente, solo il Giudice potrà decidere se disporla oppure no, a chi attribuire l'incarico e quali quesiti porre al Consulente (art. 191 e 193 c.p.c.).

I quesiti in ogni caso devono essere tali da consentire di accertare se il soggetto periziato abbia subito effettivamente un danno psichico come conseguenza del lamentato fatto illecito, quindi il CTU dovrà valutare le alterazioni psichiche presenti nel soggetto, l'eziopatogenesi delle stesse, il loro carattere permanente o temporaneo, l'eventuale preesistenza di tali alterazioni, le conseguenze che da esse sono derivate nel normale svolgimento della vita del periziato.

I quesiti dovranno essere il più possibile dettagliati e circoscritti, così da evitare dubbi interpretativi o che il consulente indaghi aspetti non necessari o comunque non oggetto dell'accertamento, o magari ne trascuri altri invece rilevanti. Il Consulente dovrà rispondere ai

quesiti sottopostigli, motivando le risposte con il ragionamento tecnico-scientifico posto a fondamento delle stesse.

La difficoltà nell'accertamento del danno psichico è legata all'eziologia multifattoriale dello stesso, perché su di esso incidono necessariamente una pluralità di situazioni che attengono alla personalità e al background socio-culturale-affettivo della vittima; in sostanza uno stesso evento traumatico può produrre conseguenze in termini di danno psichico diverse perché influenzate dalla soggettività e dal vissuto della vittima.

Per questa ragione il collegamento tra il danno psichico ed il fatto illecito viene sempre espresso in termini di nesso di con-causalità, in quanto il fatto illecito si inserisce nell'eziologia del danno assieme ad altri fattori che connotano la struttura psichica e le relazioni interne ed esterne al soggetto leso, agendo però da condicio sine qua non, ossia da condizione necessaria, senza la quale la lesione psichica non si verificherebbe.

In altre parole, uno stesso evento dannoso, può provocare in due persone lo stesso danno fisico, ma non necessariamente lo stesso danno psichico. Per esempio un sinistro stradale che provochi una frattura ad una gamba, guaribile in 90 giorni, con postumi invalidanti, sarà valutata più o meno con lo stesso punteggio in termini di invalidità temporanea ed invalidità permanente, e il nesso di causalità verrà individuato agevolmente attraverso i criteri medico-legali in uso. A seguito di quello stesso sinistro il soggetto leso potrebbe anche aver riportato un danno psichico, mentre un altro soggetto che ha subito lo stesso tipo di trauma, potrebbe non aver avuto alcuna

conseguenza di natura psichica. Un sinistro stradale in quanto tale provoca sempre uno sconvolgimento psichico, uno stato di turbamento emotivo e di shock, che finché dura per un breve lasso di tempo, rientra nell'ambito del danno morale (il c.d. transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima"), ma se la vittima, per la sua particolare personalità, per la sua struttura psichica, per il suo vissuto, non è in grado di superare tale stato di turbamento psichico, così da radicarsi nel soggetto leso un vero e proprio disturbo psicopatologico duraturo, in questo caso il sinistro sarà stato il fattore scatenante della patologia psichica e quindi il nesso di causalità non potrà essere escluso.

Naturalmente il CTU dovrà utilizzare tutti i criteri che la scienza medico legale offre per accertare il collegamento eziologico dal punto di vista naturale tra l'evento lesivo illecito ed il danno psichico accertato nella vittima.

Accertamento del nesso di causalità

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La dottrina medico-legale ha elaborato una criteriologia dell'accertamento del nesso di causalità, che può essere utilizzata sia in presenza di danni fisici che in presenza di danni psichici, e che può essere così sintetizzata:

  • Il criterio dell'idoneità o efficienza lesiva dell'evento (per es. con riferimento ad un sinistro stradale si può confrontare l'entità del preteso danno fisico e/o psichico subito con la violenza dell'impatto tra le vetture, che a sua volta può essere dedotta da altri elementi probatori, come i danni materiali subiti dalle autovetture, le velocità al momento dell'impatto - qualora sia stato possibile rilevare e successivamente provare le stesse - la dinamica del sinistro ecc.);
  • Il criterio cronologico, che valuta il tempo intercorso tra l'evento dannoso e il lamentato danno fisico e/o psichico (per esempio in un sinistro stradale il danno fisico emerge generalmente nell'immediatezza o dopo un brevissimo lasso di tempo, il danno psichico invece potrebbe anche richiedere un tempo più lungo per manifestarsi, come nel caso del disturbo post-traumatico da stress (DPTS) ad esordio tardivo);
  • Il criterio topografico, che valuta la corrispondenza tra il luogo dove si è verificato il trauma sul corpo del danneggiato e le lesioni accertate (tale criterio è difficilmente applicabile in ipotesi di danno psichico, salvi casi in cui il danno psichico sia stato provocato da un trauma cranio-encefalico);
  • Il criterio di continuità fenomenologica, che verifica se sussiste una successione ininterrotta di segni o sintomi tra l'azione lesiva iniziale e l'evento patologico finale (per esempio a seguito del sinistro il soggetto ha cominciato a non guidare più, ad uscire sempre più raramente, a ridurre tutti i rapporti sociali, ad aumentare le assenze sul luogo di lavoro, fino a sviluppare dei veri e propri attacchi di agorafobia);
  • Il criterio della esclusione delle altre cause, che verifica l'assenza di altre cause che possano aver interrotto il nesso di causalità con l'evento dannoso (nell'esempio di cui al punto 4, se si accerta che il soggetto soffriva già di una patologia psichica che comportava attacchi di agorafobia, oppure che tale patologia sia insorta successivamente a causa di un evento diverso dal sinistro);
  • Il criterio statistico-epidemiologico, che verifica con quale frequenza un determinato effetto scaturisce come causa da una determinato evento traumatico (per esempio con quale frequenza da un sinistro stradale può derivare un disturbo post traumatico da stress, piuttosto che un disturbo depressivo maggiore);
  • Il criterio anatomo-patologico che utilizza strumenti, come il riscontro diagnostico o l'autopsia giudiziaria, per raccogliere informazioni utili ad accertare il nesso causale (per es. l'esame della documentazione medica contenente le diagnosi e le cure eseguite). Il CTU, non dovrà solo accertare l'esistenza del danno psichico come conseguenza del fatto illecito, ma dovrà anche quantificarlo, ossia stimarne la sua gravità.

Quantificazione del danno psichico

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Sussistono diverse metodologie di quantificazione del danno psichico.

Una di queste per esempio utilizza quattro categorie orientative di riferimento:

"1) Intensificazione e permanenza, a distanza di un anno di sintomi nell'ambito delle funzioni cognitive e della vita affettiva: appiattimento dell'affettività, occasionali attacchi di panico, alterazioni dei rapporti interpersonali. Indicazione valutativa proposta: 10-15%.

2) Presenza di sintomi psicopatologici più gravi: idee di suicidio, frequenti attacchi di panico, anomalie della condotta, alterazioni significative del tono dell'umore. Indicazione valutativa proposta: 20-30%.

3) Diminuzione delle capacità critiche nell'esame della realtà, diminuzione delle funzioni cognitive con deficit significativo delle prestazioni abituali sia nella vita relazionale che lavorativa, episodi di disorientamento temporo-spaziale, alterazioni gravi del comportamento.

Indicazione valutativa proposta: 30-40%.

4) Significativa alterazione della capacità di comunicare nella relazione con gli altri, diminuzione delle capacità critiche e di giudizio, deficit del funzionamento sociale ed occupazionale. Indicazione valutativa proposta: 40-50%".

Un'altra metodologia di valutazione del danno psichico suddivide le menomazioni psichiche in diverse aree di incidenza ed in diversi livelli di gravità. Più precisamente vengono individuati quattro livelli di gravità (lieve, rilevante, grave e molto grave), e sei aree di incidenza del danno psichico (l'area dell'attività lavorativa, l'area delle attività extralavorative, l'area delle relazioni intime, l'area delle relazioni familiari, l'area delle relazioni sociali, l'area delle relazioni intrapsichiche). Nell'ambito di ciascuna area di incidenza del disturbo psichico, vengono elencate le descrizioni dei sintomi e/o i segni che connotano il diverso grado di gravità. A ciascun livello di gravità viene assegnato un valore percentuale.

Questi sono solo alcuni dei metodi di quantificazione del danno psichico, in realtà ne vengono proposti anche altri, come per esempio il metodo di quantificazione proposto dall'Ordine degli Psicologi del Lazio nelle loro "Linee guida per l'accertamento e la valutazione psicologico-giuridica del danno biologico-psichico e del danno da pregiudizio esistenziale. Predisposizione di una specifica tabella del danno psichico e da pregiudizio esistenziale", un interessantissimo lavoro predisposto, verso la fine del 2009, da un team di psicologi - Paolo Capri, Anna Maria Giannini ed Emanuela Torbidone- medici legali - Simona Del Vecchio e Fabrizio Lecher - e avvocati - Gianmarco Cesari e Luigi Viola, che mette in evidenza come talvolta la distinzione tra danno morale, danno esistenziale e danno psichico sia meramente nominale e propone una specifica tabella per la valutazione psicologico-giuridica "del danno biologico psichico e del danno da pregiudizio esistenziale" prendendo in considerazione non solo i casi di vera e propria patologia psichica, ma anche le

ipotesi di "alterazioni della personalità e dell'assetto psicologico, delle alterazioni delle relazioni familiari e affettive e delle attività realizzatrici" e suddividendo il danno in fasce di gravità: danno lieve (6-15%), danno moderato (16-30%) danno medio (31-50%), danno grave (51-75%), danno gravissimo (76-100%).

Come può osservarsi non esiste un criterio prefissato ed oggettivo per l'individuazione e quantificazione del danno psichico, spetta al Giudice ed alla sua professionalità, accertare, sulla scorta degli elementi probatori acquisiti nel processo e chiariti e completati dalle risposte fornite ai quesiti tecnici posti al CTU, se l'evento illecito ha provocato un danno psichico risarcibile e quantificare in termini monetari tale danno.

Come provare il danno psichico

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L'art. 2043 del c.c. sancisce che " Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno", e pertanto se un automobilista cagiona colposamente (o dolosamente) un sinistro stradale che provoca a taluno un danno è tenuto (lui o la sua Compagnia di Assicurazione RCA) a risarcire la vittima interamente per tutti i danni, patrimoniali o non patrimoniali, da questa subiti.

Naturalmente il danno subito a seguito del sinistro - qualunque esso sia - va provato dalla vittima che vuole ottenere il risarcimento (art. 2607 1° c. del c.c. "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento": c.d. onere della prova).

Pertanto se la vittima, per ipotesi, ha riportato delle fratture, a seguito dell'impatto con l'autovettura che ha provocato il sinistro, dimostrerà di averle subite a causa del sinistro stesso, grazie alla documentazione medica a sua disposizione relativa alla diagnosi ed alle cure effettuate, e grazie ad una perizia medico-legale che, attraverso criteri scientifici convalidati, confermi, non solo l'esistenza della lesione fisica, ma anche la derivazione causale della stessa dal sinistro stradale, e proceda altresì alla sua quantificazione, sia in termini di inabilità temporanea (per valutare il periodo di tempo in cui l'infortunato non ha potuto svolgere le sue normali attività della vita a causa della lesione subita) sia in termini di invalidità permanente (per valutare gli eventuali postumi permanenti che siano reliquati a seguito dell'intervenuta guarigione clinica dell'infortunato).

La vittima del sinistro dovrà pertanto provare anche le eventuali lesioni psichiche subite.

Anche in questo caso sarà utile la documentazione medica, che consenta in base ai criteri prima citati di accertare l'esistenza di una patologia psichica, il nesso di causalità con l'evento dannoso e la sua quantificazione in termini di incidenza sull'integrità dell'individuo. E' evidente che per il danno psichico, la prova dell'esistenza della lesione e la sua quantificazione, è molto più difficile della relativa prova nel danno fisico, ma tale difficoltà non può portare ad un esclusione a priori della risarcibilità del predetto danno, che richiede una valutazione da parte del Giudice attenta e calata sul caso concreto.

Per consentire al Giudice di formare il suo convincimento, e di accertare come realmente si siano svolti i fatti, è di fondamentale importanza anche la prova della dinamica del sinistro, che può essere dimostrata, grazie ai rilievi eseguiti dalle autorità intervenute sul luogo dell'incidente, in tempi il più possibile prossimi all'evento, qualora questi rilievi siano dettagliati e puntuali, o in mancanza, dalle fotografie delle auto coinvolte e dei danni riportati dalle stesse, nonché attraverso le testimonianze di chi ha assistito al sinistro e se del caso anche attraverso un eventuale perizia tecnica sulla dinamica.

La prova della dinamica del sinistro è importante non solo per provare la responsabilità nell'occorso, ma anche per consentire al Giudice, e prima ancora al Medico-Legale, di accertare la derivazione causale del danno biologico subito dalla vittima.

Per esempio, un sinistro consistente in un tamponamento lievissimo, che non lascia neppure tracce evidenti sulle vetture, difficilmente consentirà di provare la derivazione causale da esso di un danno fisico, come per esempio la classica distorsione del rachide cervicale, anche se il soggetto è stato portato al pronto soccorso subito dopo il sinistro, e ancor meno consentirà di provare l'esistenza di un danno psichico, come per esempio il trauma da stress post traumatico. Diverso è invece se la dinamica del sinistro è ben più rocambolesca e le auto risultano molto danneggiate, in questo caso una patologia psichica dell'infortunato come conseguenza del sinistro potrebbe ben essere credibile, se suffragata naturalmente da tutti gli altri elementi probatori citati.

Ma ogni caso è un caso a sé, proprio per l'unicità della mente umana e l'estrema soggettività del danno psichico.

Così per esempio il Tribunale di Camerino nella sentenza 15/03/2006 ha, in applicazione dell'art. 2043 c.c. e 139 del Codice delle Assicurazioni, dichiarato subito la necessità di adattare la liquidazione del danno biologico al caso concreto, "tenuto conto delle particolari

condizioni soggettive del danneggiato". Nel corso dell'istruttoria era emerso dalle testimonianze che la vittima, era una giovane ragazza che a causa dell'incidente stradale in cui era rimasta coinvolta, aveva riportato non solo un trauma cranico molto lieve e una frattura

costale, ma anche una frattura condilare trattata chirurgicamente, che l'aveva costretta per 40 giorni ad un blocco intermascellare, con postumi invalidanti lievi. Tuttavia il blocco intermascellare aveva costretto la ragazza ad assumere una dieta liquida, oltre a cagionarle

una rilevante deflessione dell'umore. Il giudice, piuttosto che enfatizzare le difficoltà incontrate nella vita quotidiana dalla vittima per tutto il periodo in cui è stata costretta al blocco intermascellare, aveva preso in considerazione il sia pur lievissimo disturbo post

traumatico da stress che l'aveva colpita, inglobandolo nel risarcimento del danno biologico subito dalla vittima.

Da quanto esposto è evidente che chi subisce un sinistro stradale deve essere accorto e non perdere l'opportunità di raccogliere tutti gli elementi che successivamente gli consentiranno, se da quel sinistro avrà subito un danno, di poterlo provare in giudizio e poter così ottenere il risarcimento. E' importante nell'immediatezza dei fatti chiamare subito le autorità e pretendere che queste effettuino tutti i riscontri ed i rilievi del caso, elevando anche eventuali contravvenzioni laddove vi sia stata violazione alle regole della strada (se si è rimasti feriti, meglio chiamare qualcuno di fiducia che vi possa assistere, e che possa effettuare fotografie, e raccogliere testimonianze). Inoltre non sottovalutate tutti i malesseri che sopraggiungono dopo il sinistro; non solo le lesioni fisiche evidenti, che magari rendono persino opportuno un immediato accesso al Pronto Soccorso, ma anche quelle lesioni più silenti, che magari si manifestano nei giorni successivi al sinistro con disturbi del sonno, incubi, stati d'ansia eccessivi, evitamento di situazioni che possano rievocare il sinistro, flashback improvvisi, fino a giungere ad una vera è propria patologia psichica in grado di limitare la quotidianità dell'infortunato. In questi casi è bene sempre rivolgersi tempestivamente ad uno psichiatra che possa accertare e curare la lesione psichica subita, e successivamente certificare la patologia riscontrata. Sarà poi il medico legale ad accertarne la derivazione causale ed a valutarne l'incidenza in termini di danno biologico risarcibile.

Inoltre è bene rivolgersi al più presto ad un legale, affinchè possa assistervi in tutti gli adempimenti necessari per ottenere un risarcimento integrale di tutti i danni subiti, trattando la definizione del sinistro dapprima stragiudizialmente e poi, se necessario davanti ad un Giudice.

BIBLIOGRAFIA

1 Pajardi, Macrì, Merzagora Betsos "Guida alla valutazione del danno psichico" - Giuffrè Editore - 2006; 11

2 Renato Voltolin Sociologo, psicologo, psicoanalista, consulente civile e penale del Tribunale di Milano, direttore della Scuola di Psicologia giuridica di Milano in "Il danno psichico (nuova edizione rinnovata e aggiornata).

3 Massimo Di Giannantonio, direttore della Scuola di specializzazione in Psichiatria della Facoltà di Medicina dell'Università degli Studi di Chieti, in "Il Danno Psichico e la prova nel processo. Profili sostanziali e processuali dell'accertamento - il punto di vista dello psichiatra -" di Francesca Toppetti - Maggioli Editore.

4 per un maggiore approfondimento sull'argomento mi sia consentito citare il testo di Francesca Toppetti "Il danno psichico e la prova nel processo. Profili sostanziali e processuali dell'accertamento" della Maggioli Editore, e la trattazione degli autori: D'Angiò Giovanni - Recco

Arianna - Ottobre Paola "Danno Psichico: diagnosi e nesso causale" pubblicata in Diritto civile e commerciale il 26/03/2009.

5 Trib. Camerino, 15 marzo 2006, in Corti marchigiane, 2006, 612, citata dal Prof. Francesco Bilotta docente di diritto privato presso l'Università di Udine ed Avvocato in Trieste, in "Il risarcimento del danno alla persona nei sinistri stradali".

Avvocato Gabriella Patteri

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