Le varie ipotesi proposte che passano anche per l'atto notarile rischiano di burocratizzare le Dat

Prof. Paolo Zatti - Emerito di diritto privato dell'Università di Padova - Quando si discute di Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), circola una preoccupazione, talvolta sincera, talvolta strumentale: quella che riguarda l'"autenticità" di un documento così impegnativo e carico di richieste e decisioni che hanno a che fare con la vita della persona e che debbono essere attuate quando la persona non è in grado di sapere e di esprimersi.

Si leva quindi la richiesta, presentata come garanzia dell'autenticità, di legare la validità di questo tipo di dichiarazione a forti requisiti di forma e a strumenti di deposito e conservazione a carattere più o meno pubblicistico: registri e archivi gestiti da centri autorizzati presso il Comune o le Unità Sanitarie.

Non ci si accontenta dunque di uno scritto, per esempio, consegnato ad un fiduciario o ai familiari, che potrebbe non essere "autentico"; non ci accontenta di uno scritto depositato presso il medico di base, del quale si osserva che non ha compiti e poteri di certificazione dell'autenticità. Non ci si accontenta di uno scritto consegnato in ospedale al medico responsabile della cura.

Non ci si accontenta di un olografo, argomentando che l'attuazione delle dichiarazioni anticipate non consente tempi di verifica dell'autenticità e men che meno impugnazioni.

Neppure ci si accontenta di una scrittura autenticata, perché si vuole anche che il disponente abbia un supporto tecnico alla formulazione delle dichiarazioni.

Sale quindi, nella borsa degli auspici e delle proposte, lo strumento dell'atto notarile, con qualche variazione sul tema, come quella di chi esige una preparazione assistita dal medico e raccolta, ma sì, anche da "un legale".

Si registra, a favore di queste opzioni, una fervente e attiva militanza di notai e avvocati (va detto a onor del vero che non pochi tra questi professionisti prestano già il loro impegno di volontariato in iniziative promosse da associazioni o chiese, come ad esempio la Chiesa Valdese: ma non sono forse gli stessi che si dedicano alla lobby).

Un deciso sostegno alla proposta viene poi da parte di chi contrasta lo strumento delle DAT per ragioni ideali, e che, se deve arrendersi a una qualche disciplina, la vuole restrittiva: non si deve introdurre uno strumento domestico e facile, ma uno strumento eterocontrollato e meno immediatamente accessibile.

E' solidamente fondata questa richiesta di rigore formale?

Di solito si pensa che il rigore abbia casa in Germania. E allora vale la pena di ricordare che proprio la legge tedesca del 2009 sulla Disposizione anticipata del paziente (Patientenverfügung) ha introdotto nel Codice civile tedesco un paragrafo 1901/c che richiede, per la validità della Disposizione, la semplice forma scritta.

Che avventurosi questi tedeschi! Che poco cauti! E che incauti, che eterodossi quei cattolici e vescovi tedeschi che hanno ritenuto la legge soddisfacente, e che attraverso centri gratuiti forniscono moduli e indicazioni in cui raccomandano ai credenti di aggiungere, alle disposizioni, la dichiarazione della loro fede, così che il medico sappia quale idea di vita e quali valori stanno a cuore massimamente al disponente!

Se si conosce la storia di questa legge si sa che questa regola è stata molto soppesata, e che la ratio della scelta fatta dal legislatore è quella di "proibire" (verbieten, nel linguaggio dei commenti alla legge) al medico di trascurare o ignorare dichiarazioni scritte non autenticate, come possono essere lettere ai familiari o, appunto, moduli firmati. La firma per esteso di un modulo è ritenuta una garanzia sufficiente: i centri raccomandano ai cittadini di non limitarsi a sigle, a nomi propri, a firme con soprannomi d'uso familiare o a firme svolazzo non leggibili.

Come mai i precisi tedeschi sono così larghi su una tale questione formale? Perché la legge tedesca ha previsto che la dichiarazione debba contenere la nomina di un fiduciario che ha i poteri dell'amministratore di sostegno: che l'attuazione della dichiarazione sia mediata dall'accordo tra fiduciario e medico sulle modalità con cui rispettare, nella situazione concretamente verificatasi, la volontà del disponente; che in ogni caso di disaccordo, per qualsiasi ragione nato, si faccia ricorso al giudice. Questa modalità mediata e complessa di attuazione, e il ruolo del giudice, sono stati ritenuti garanzia sufficiente anche per il caso in cui possa esserci una incertezza sulla dichiarazione, sia interpretativa, sia di riferibilità al soggetto.

Ora, la figura del fiduciario e il ricorso al giudice sono previsti nel testo unificato in discussione alla Camera; e si giustificherebbe quindi una previsione di forma larga quanto quella della legge tedesca; mentre c'è chi preme, e preme molto, perché si irrigidisca la forma addirittura fino a togliere validità alla semplice scrittura autenticata.

Bene: se si vuole essere più realisti del re, più cauti e severi dei tedeschi, un modo c'è: si preveda l'olografo, se si vuole consegnato dal disponente al medico responsabile della cura, o al medico di base; si ammetta anche qualche forma più attuale e praticabile da chi, per esempio, è in difficoltà a scrivere: si ammetta il video, e si lasci che il cittadino, anche a casa propria, dopo essersi informato come meglio crede, scriva di pugno o detti al video quelle indicazioni che crede giusto dare per la fine della propria vita. Chi ha bisogno di consulenza medica se la procurerà, chi non ne sente il bisogno scriverà quello che umanamente vuole scrivere.

Non si creerà nessuna tragedia: fiduciario e medico leggeranno, concorderanno; se il medico ha un dubbio o una resistenza motivata, ricorrerà al giudice, e altrettanto potrà fare il fiduciario o i familiari; preoccupiamoci piuttosto che ci sia un giudice attrezzato e preparato, e che ogni cura intrapresa in urgenza possa, se contraria alle disposizioni, essere interrotta. 

Paolo Zatti
Professore Emerito di diritto privato
Università di Padova


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