La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 8976/2005) ha stabilito che "colui che chiede il risarcimento dei danni derivatigli, quale vittima secondaria, dalla lesione materiale, cagionata alla persona con cui convive dalla condotta illecita del terzo, deve dimostrare l'esistenza e la portata dell'equilibrio affettivo - patrimoniale instaurato con la medesima, e perciò, per poter esser ravvisato il vulnus ingiusto a tale stato di fatto, deve esser dimostrata l'esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale, non essendo sufficiente a tal fine la prova di una relazione amorosa, per quanto possa esser caratterizzata da serietà di impegno e regolarità di frequentazione nel tempo, perché soltanto la prova della assimilabilità della convivenza di fatto a quella stabilita dal legislatore per i coniugi può legittimare la richiesta di analoga tutela giuridica di fronte ai terzi". I Giudici del Palazzaccio hanno infine evidenziato che "comunque il dato comune che emerge dalla legislazione vigente e dalle pronunce giurisprudenziali è che la convivenza assume rilevanza sociale, etica e giuridica in quanto somiglia al rapporto di coniugio, anche nella continuità nel tempo" e che "la prova degli elementi strutturali e qualificativi, concreti e riconoscibili all'esterno, presupposti dell'esistenza della convivenza more uxorio
, può esser fornita con qualsiasi mezzo (articolo 2697 Cc), mentre il certificato anagrafico (Dpr 223/89) può tutt'al più provare la coabitazione, essendo però insufficiente a provare la condivisione di pesi e oneri di assistenza personale e di contribuzione e collaborazione domestica analoga a quella matrimoniale".
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