La legge n. 269 del 1998 introdusse a suo tempo alcune fattispecie giuridiche volte a tutelare i minori nei casi di prostituzione, pornografia, detenzione di materiale pornografico e turismo sessuale, contemplate ora dagli artt. 600 bis, ter, quater e quinquies del codice penale. Ci occuperemo in particolar modo degli artt. 600 ter e quater c.p. in quanto sono state pronunciate di recente due importanti sentenze che chiariscono alcuni punti - prima oscuri - in relazione alla responsabilità penale dell'host provider e sull'interpretazione dei concetti di distribuzione e detenzione del materiale pedopornografico. In via generale, l'art. 600 ter co. I° c.p. punisce la pornografia minorile intesa come sfruttamento di minori al fine di realizzare esibizioni pornografiche; il co. II° dello stesso articolo sanziona penalmente chi fa commercio di detto materiale; il co. III° è residuale rispetto ai primi due commi e punisce chi distribuisce, divulga o pubblicizza detto materiale (o informazioni volte all'adescamento di minori) anche per via telematica; il co. IV° è ulteriormente residuale rispetto al comma precedente e sanziona la semplice cessione, anche gratuita, del materiale pedopornografico. A ben vedere, i commi III° e IV° si differenziano per la presenza o meno di una pluralità di destinatari. Questo è ciò che ribadisce e precisa il GIP, dott. Paolo Micheli del Tribunale di Perugia, con una sentenza
del 7 luglio 2003, depositata il 30 dicembre 2003. Nel caso di specie, si configurava la presunta violazione dell'art. 600 ter co. III° in quanto l'imputato aveva inviato, tramite il servizio chat di Seat Pagine Gialle, sette immagini pedopornografiche ad un singolo utente (in realtà, il destinatario era un agente del Compartimento Polizia Postale sotto copertura). Nel caso concreto non sussiste la violazione di cui all'art. 600 ter co.
III° c.p., bensì va ravvisata quella residuale di cui al co. IV°. Infatti, non incide l'argomentazione secondo la quale l'operazione è stata effettuata tramite chat (intesa come spazio virtuale potenzialmente aperto ad un numero indeterminato di soggetti), poiché l'invio di files diversi dai messaggi di testo può avvenire anche in connessione riservata tramite una ?finestra? di dialogo tra due soli utenti, il mittente ed il destinatario, dove il secondo è libero di consentire o meno la ricezione del file audio, video o audiovisivo, potendosi trattare peraltro di un unico evento con carattere occasionale. Non si ritiene pertanto sufficiente il mero utilizzo del sistema telematico per integrare il reato di cui al terzo comma. Il GIP precisa che ?perché vi sia divulgazione o distribuzione occorre che l'agente inserisca le foto pedopornografiche in un sito accessibile a tutti o le invii ad un gruppo o lista di discussione o, ancora, le invii ad indirizzi di persone determinate ma in successione, realizzando così una serie di conversazioni private con una pluralità di persone distinte?. Questa sentenza
appare peraltro importante in relazione all'interpretazione del concetto di detenzione previsto dall'art. 600 quater c.p. In linea di massima, questo articolo punisce chi detiene immagini pedopornografiche sul disco fisso del computer. Ma se tali immagini restano conservate nella cartella cd. ?Temporary Internet Files? è necessario provare la consapevolezza dell'utente circa la conservazione dei files. Nel caso di specie, il Tribunale di Perugia ha ritenuto che l'utente medio non è necessariamente in grado di conoscere la funzione di tale cartella, che normalmente conserva traccia del materiale anche soltanto visionato sulla rete. Tale sentenza sottolinea inoltre che è sempre necessario verificare contestualmente in concreto sia la consapevolezza dell'età minore dei soggetti ritratti, sia l'effettiva portata pornografica delle immagini, distinta dalla semplice esibizione di nudità. Ancora più interessante in argomento si pone la sentenza del 25 febbraio 2004 del Tribunale Penale di Milano, V sezione in composizione collegiale, che si è pronunciata in merito alla sussistenza di responsabilità penale del service o access provider nel caso di omissione di controllo sull'operato dei content providers in tema di distribuzione di materiale pedopornografico. A parere di detto tribunale, non si può ravvisare una responsabilità penale per omissione di controllo in capo a detti soggetti per concorso in fatto altrui, in quanto si consentirebbe l'applicazione analogica in malam partem della responsabilità ex artt. 57 e 57 bis c.p. di direttore, editore e stampatore di pubblicazioni cartacee. In effetti, un sito Internet non è equiparabile ad una testata editoriale, in quanto il primo - a differenza del secondo - può contenere un infinito numero di collegamenti ipertestuali e linking ad altri siti e, conseguentemente, il controllo su tutto il materiale rinvenibile tramite uno spazio virtuale è pressoché impossibile. Al fine di configurare un'ipotesi di responsabilità penale del service o access provider, vanno quantomeno dimostrate la conoscibilità da parte degli stessi della presenza di materiale illecito sullo spazio reso disponibile al content provider e l'oggettiva possibilità di impedire la commissione del reato. Il concorso di detti soggetti sarebbe configurabile soltanto nel caso venga ad esistenza una specifica attività illecita commissiva che comporti un quid pluris rispetto all'illecito di base, ad esempio l'organizzazione di una migliore fruibilità per l'utente o l'inserimento di un banner sulla pagina incriminata. Altrimenti si finirebbe per accreditare un'ipotesi di responsabilità oggettiva.
Autore: Alessia Maria Michela Giurdanella

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