La pensione di reversibilità è riconosciuta anche ai figli ai sensi dell'art. 13 del RD n. 636/1939, se minori di età, se non ancora autonomi perché impegnati nello studio o perché inabili al lavoro, nei limiti e modalità previste dalla legge

Cos'è la pensione di reversibilità

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La pensione di reversibilità è una prestazione economica che lo Stato riserva a domanda ai familiari di un pensionato defunto.

La Cassazione n. 9377/2021 ricorda che "L'ordinamento configura la pensione di reversibilità come «una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell'interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l'effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, secondo comma, della Costituzione) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, secondo comma, della Costituzione) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, primo comma, della Costituzione)."

Tra i soggetti beneficiari della stessa ci sono anche i figli. Ma a quali condizioni?

A chiarire i dubbi in merito è il RD. n. 636/1939 così come integrato e modificato negli anni, che all'argomento oggetto di trattazione dedica l'art. 13.

Figli titolari della reversibilità

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Innanzitutto il diritto alla pensione di reversibilità spetta ai figli:

  • adottivi e affiliati riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati,

  • non riconoscibili ai sensi degli articoli 279, 580 e 594 del codice civile,

  • nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge,

  • riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati dal coniuge del deceduto,

  • minori regolarmente affidati da organi competenti a norma di legge.

Tali soggetti per poter godere del beneficio devono essere, alla data della morte del pensionato, minori, inabili di qualunque età o studenti entro il 21° anno di età o il 26° se universitari e a carico del defunto.

La reversibilità spetta poi anche ai figli:

  • legittimi o legittimati,

  • adottivi o affiliati,

  • naturali,

  • riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati,

  • nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge.

Requisiti per la pensione di reversibilità ai figli

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Tali soggetti per poter godere del beneficio devono essere, alla data della morte del pensionato, minorenni, inabili, studenti o universitari e a carico del defunto.

I figli che hanno diritto alla pensione di reversibilità sono in particolare:

  • i figli minori di età, ossia che non abbiano ancora compiuto 18 anni di età al momento della morte del genitore (limite di età che sale a 21 anni se al momento della morte non prestano lavoro retribuito ma frequentano una scuola media professionale e per tutta la durata del corso e che sale fino a 26 anni se frequentano l'Università);
  • i figli inabili di qualunque età e a carico del genitore al momento del decesso, in relazione ai quali la Cassazione ha sancito che spetta la pensione dal mese successivo alla morte del genitore e non dal giorno in cui presenta la domanda all'INPS (cfr. Cass. n. 18400/2022).

Nipoti equiparati ai figli

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Il nostro ordinamento equipara ai figli anche i nipoti che alla data di morte del nonno o della nonna erano a loro carico.

Non rileva il fatto che fossero o meno affidati formalmente agli ascendenti.

Chi può essere considerato "a carico"?

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In generale, il requisito che caratterizza la titolarità della pensione di reversibilità in capo a figli (e a nipoti) è rappresentato dall'essere a carico del pensionato al momento della sua morte.

Si rende quindi opportuno chiarire chi può essere considerato a carico.

Con l'ordinanza n. 28812/2017 la Cassazione sul concetto di vivenza a carico ha sancito in particolare che: "se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore ed in tale valutazione occorre prendere in considerazione tutti gli elementi di giudizio acquisiti al processo in base ai quali poter ricostruire la sussistenza o meno di una rilevante dipendenza economica (...)."

Le condizioni che permettono di considerare il superstite a carico del defunto sono la non autosufficienza economica e il mantenimento abituale.

Quest'ultimo può desumersi dal comportamento che il dante causa teneva concretamente nei confronti dell'avente diritto.

Rileva inoltre la convivenza del soggetto superstite con il de cuius, concetto sul quale spesso però sorgono controversie che giungono in Cassazione.

Valeria Zeppilli

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