Può il farmacista obiettore negare la pillola del giorno dopo?

di Angelo Casella - La recente decisione del Tribunale di Gorizia di mandare assolta la farmacista che si è rifiutata di consegnare alla richiedente la pillola "del giorno dopo", suggerisce qualche riflessione.

Non conosciamo le motivazioni e pertanto ci limitiamo a considerazioni di carattere generale.

1.- Si dovrebbe ritenere che l'assoluzione faccia riferimento alla l. 22.5.78 n. 194 che ammette l'obiezione di coscienza all'interruzione di gravidanza (per il legislatore è obiettore colui che, nei casi previsti, non tiene il comportamento previsto dalle norme).

a.- La prima osservazione concerne il gesto specifico della farmacista: esso non è inquadrabile come atto di interruzione di gravidanza.

Si tratta, in effetti, di fattispecie diverse e non assimilabili. La negata consegna è un atto separato e diverso dalla fattispecie prevista dalla l. 194, e nessuno sforzo interpretativo può renderla configurabile come un momento di quella.

Una esemplificazione facilita il concetto: per vietare la vendita delle armi occorre una disposizione di legge specifica ad hoc. Non è consentito cercare di raggiungere lo stesso risultato ricorrendo ad una interpretazione estensiva delle norme che sanzionano omicidi e lesioni.

E' indubbiamente una forzatura affermare che la vendita della pillola integra la fattispecie oggetto della legge 194.

Eventualmente, si potrebbe parlare di un caso di impedimento indiretto alla gravidanza. Non previsto però dall'ordinamento giuridico.

b. - Anche in tal caso - comunque - si dovrebbe specificare che si tratta di semplici ipotesi, poiché neppure la diretta interessata sa con certezza in quelle poche ore dal rapporto, se è incinta, cioè se l'ovulo è stato fecondato.

c. - La condotta della farmacista appare dunque priva di riferimenti obbiettivi e fondata solo su delle congetture.

d. - Se si può in teoria ammettere che il mondo delle eventualità venga posto a criterio assoluto del proprio agire (ma dovremmo in tal caso suggerire alla farmacista di non uscire di casa e, sopratutto, di non comprare il monopattino al figlio), si dovrebbe senz'altro escludere che esso venga posto a base di una decisione della Magistratura.

2.- Ma rileva osservare, in ogni caso, che l'atto di consegnare il farmaco non è - di per sé - contrario alla credenza tutelata dalla legge nell'ambito di una generale tutela del libero arbitrio espressione della innata libertà del volere umano.

Infatti, se la medicina in questione ha per sua funzione specifica quella di evitare una pregnanza, è ovvio che, se evita la gravidanza, non la interrompe. In altri termini, l'assunzione del medicamento ha scopo solo preventivo e precauzionale .

Pertanto, l'atto in questione non ha per effetto causale conseguente l'inibizione, in modo certo e diretto, della fecondazione: la fattispecie non è in alcun modo assimilabile a quella prevista dalla legge 194, che riguarda il ben diverso caso del sanitario che deve agire - in modo diretto e specifico - per interrompere una gravidanza in atto.

3.- a.- Il comportamento negativo della farmacista appartiene all'atteggiamento di chi ritiene, con una posizione sostanzialmente asociale, che le proprie personali credenze debbano avere una valenza assoluta, universale e coattiva.

Quando peraltro dall'ideologia astratta si passa al gesto concreto di rifiutare un farmaco (previsto dalla legge e quindi, idealmente, approvato dalla maggioranza dei cittadini) si coarta la volontà altrui nell'esercizio proprio di quella libertà di coscienza, (giustamente tutelata anche dalla Costituzione), e sotto la quale si pretende di agire.

La (presunta...) libertà di coscienza della farmacista vale di più di quella della richiedente?

Negando la consegna della pillola, poi, la farmacista ha violato il diritto della cittadina alla propria libertà di regolarsi in funzione dei suoi propri valori.

Se l'ordinamento giuridico consente che un cittadino, per motivi di confessione, fede, religione od altro, possa evitare di adempiere ad un obbligo legale, non per questo gli consente di impunemente privare un qualsiasi altro membro della società del proprio diritto a credere, pensare e - sopratutto - agire, diversamente.

b.- Il Magistrato che non ha ritenuto di sanzionare questo gesto illegale, pascola impropriamente nel rapporto di fondo tra religione e Stato, proiettando il Paese verso una dominanza ideologica di matrice fideistica analoga a quella di nazioni confessionali nelle quali il preteso messaggio divino, nella dimensione di un criterio supremo di assunta moralità, prevale sulla libertà di autodeterminazione individuale, inducendo forzature assolutistiche potenzialmente molto insidiose, come purtroppo di recente capita di verificare.

c.- Sotto altro profilo, se si ammette che il sistema delle farmacie, costruito come servizio di supporto essenziale alla salute pubblica, non è in grado (a seguito della legge 194) di garantire il servizio sociale cui è deputato, si provveda a disporre di percorsi alternativi che assicurino al cittadino il diritto di accedere alle medicine che ritiene opportuno assumere.

d.- Non si può da ultimo non rilevare come questo ed altri casi analoghi mettano in evidenza delle inaccettabili dissonanze nella legge 194, emanata evidentemente sotto indebite pressioni confessionali e non sufficientemente meditata.

Infatti, la l. 156.12.72 n. 772, che ammette l'obiezione di coscienza per il servizio militare (ora non più obbligatorio, come sappiamo) prevede una omissione comportamentale che non ha alcuna ricaduta sui diritti e facoltà degli altri membri della società. Così non è invece per la 194 (presentata come naturale estensione della precedente), che viene di fatto a limitare fortemente uno dei diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino: la libertà di autodeterminazione, immettendo nel corpo sociale fattori di frizione e contrasto del tutto inopportuni ed impropri.

Una responsabile ed oculata revisione della legge appare auspicabile in tempi brevi.

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