La bocciatura della Consulta fa rischiare uno stop operativo alla riforma Madia in attesa dei decreti correttivi

di Lucia Izzo - La riforma Madia è da considerarsi incostituzionale in quanto viola l'autonomia delle Regioni un quattro punti fondamentali, ossia dirigenti, società partecipate, servizi pubblici locali e organizzazione del lavoro. È questa la conclusione a cui è giunta la Corte Costituzionale nella sentenza n. 251/2016 emessa lo scorso 25 novembre.


La bocciatura della Consulta avrà indubbie ripercussioni sulla legge delega, avendo dichiarato illegittimi quattro punti della riforma della P.A. dove si prevede che l'assunzione dei decreti attuativi possa avvenire solo con il parere, e non con l'intesa, della Conferenza stato-regioni o della Conferenza unificata. Il meccanismo dell'intesa sarà dunque imposto nei capitoli che coinvolgono le competenze locali.

La situazione della Riforma

In occasione del Consiglio dei Ministri riunitosi giovedì 24 novembre, era stato approvato in extremis, stante l'imminente scadenza della delega, l'ultimo pacchetto dei decreti previsti dalla riforma della Pubblica Amministrazione varata dal Parlamento nell'estate 2015.  


Tra questi vi rientra, ad esempio, la disciplina della dirigenza della Repubblica: nello specifico, il sistema della dirigenza sarà costituito dal ruolo dei dirigenti statali, dal ruolo dei dirigenti regionali e dal ruolo dei dirigenti locali. Ogni dirigente potrà ricoprire qualsiasi ruolo dirigenziale poichè la qualifica dirigenziale sarà infatti unica. Alla dirigenza si accederà per corso-concorso o per concorso.


Inoltre, via libera sempre in esame definitivo, anche al Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale. Acquisiti i pareri parlamentari e tenutosi conto delle indicazioni del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata, sono stati previsti, tra l'altro, modalità competitive per l'affidamento, costi standard e livelli dimensionali almeno provinciali degli ambiti di erogazione dei servizi.


Via libera anche alle norme in materia di regimi amministrativi delle attività private (SCIA 2): il decreto provvede alla mappatura completa e alla precisa individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso e si introducono le conseguenti disposizioni normative di coordinamento. Inoltre è prevista la semplificazione dei regimi amministrativi in materia edilizia.


Chiudono la lista delle approvazioni il riordino delle funzioni e del finanziamento delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nello speficico prevedendo un piano di razionalizzazione, in un'ottica di efficientamento, di efficacia e di riforma della governance delle Camere di commercio, e anche il decreto per la semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca, nello specifico, per la prima volta gli Enti pubblici di ricerca (Epr) avranno un riferimento normativo comune, che elimina molti dei vincoli gestionali previsti per la PA. 

Quale futuro per la riforma Madia?

Quanto ai capitoli già completati dell'iter, pur rimanendo questi in vigore, saranno esposti al concreto rischio di ricorsi finché non verranno adottati decreti correttivi (tempo 12 mesi dalla scadenza delle deleghe) i quali dovranno ottenere, come indicato dalla Consulta, l'intesa delle autonomie locali.


Ad essere a rischio sono tre su quattro dei decreti delegati incriminati, mentre a salvarsi resta solo il Testo unico del pubblico impiego in quanto non ancora approvato dal Consiglio dei Ministri, diversamente da quelli riguardanti dirigenti, partecipate e servizi pubblici che dovranno essere riscritti.


Sul filo del rasoio viaggiano, in primis,  le norme anti-assenteismoapprovate in via definitiva a metà giugno e in vigore dal 13 luglio: queste prevedono la sospensione immediata, entro 48 ore, e il licenziamento in 30 giorni per i dipendenti pubblici beccati in flagrante a timbrare il cartellino senza poi recarsi in ufficio. Una regola contro la quale ora i diretti interessati avranno un'arma in più per difendersi richiamando la sentenza della Corte Costituzionale.


Situazione analoga anche per la riforma delle partecipate che avrebbe ridotto le società pubbliche da ottomila a mille, in vigore dallo scorso 23 settembre e per il quale sarà necessario ottenere "l'intesa" in sede di Conferenza unificata, in luogo del parere ricevuto ad aprile. Nel frattempo il decreto resta in vigore insieme ai termini imposti a Governo, enti proprietari e società: entro fine anno, le società controllate dalla pubblica amministrazione dovranno provvedere all'adeguamento degli statuti alla riforma, mentre gli enti proprietari avranno fino al 23 marzo 2017 per scrivere i piani di razionalizzazione.


Mentre si tenta di definire il percorso che la riforma Madia dovrà subire per adeguarsi alla pronuncia della Corte Costituzionale, parrebbe perseguibile la strada di intervenire solo sui decreti, così da non dover tornare in Parlamento per correggere la legge principale.


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