Ripetuti insulti e le vessazioni omofobe possono assumere tutti i connotati richiesti per l'integrazione del reato di atti persecutori

di Valeria Zeppilli - Insultare i vicini gay è un comportamento che ha tutte le carte in regola per essere considerato stalking.

Tanto ad esempio è accaduto ad un uomo torinese che è stato condannato a un anno di reclusione con la sospensiva e al pagamento di una provvisionale di 5mila euro per atti persecutori, proprio per aver rivolto ai suoi vicini di casa, gay, continui insulti e vessazioni.

Il Tribunale di Torino, con una sentenza le cui motivazioni sono state depositate nei giorni scorsi, ha infatti ritenuto che da tale condotta sia derivato un mutamento delle abitudini di vita della coppia e uno stato di ansia e di paura in capo alle vittime idoneo ad integrare il reato di stalking.

Nulla di nuovo, a parte l'importanza di una simile pronuncia per la battaglia che il mondo omosessuale combatte quotidianamente contro le discriminazioni poste in essere nei suoi confronti.

Del resto, si ricorda, ai sensi dell'articolo 612-bis del codice penale il reato di atti persecutori si configura ogni qual volta un soggetto "con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita".

Quanto deciso dal Tribunale torinese, quindi, è un principio che dal caso di specie può essere esteso tranquillamente a tutte le ipotesi simili in cui, senza alcuna ragione diversa dalla propria sessualità, delle persone siano prese di mira in maniera costante, ripetuta e pesante, subendo delle ripercussioni psicologiche che non possono esse trascurate.

Valeria Zeppilli

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