"Il mobbing è una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nell'impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell'umore che possono portare anche a invalidità psicofisiche permanenti di vario genere e percentualizzazione". E' questa la definizione offerta dalla psicologia del lavoro (H. Ege, che nel 1996 introdusse questo concetto nel nostro paese), ripresa dal Tribunale di Forlì nella sentenza
n. 28 del 28 gennaio 2005. Secondo il Tribunale, ferma restando la necessità di una definizione normativa, il concetto di mobbing contiene un valore aggiunto, perché consente di arrivare a qualificare come tale ed a sanzionare anche un complesso di situazioni che, valutate singolarmente, potrebbero anche non contenere elementi di illiceità ma che, considerate unitariamente ed in un contesto "mobbizzante", assumono un particolare valore molesto ed una finalità persecutoria, che non sarebbe stato possibile apprezzare senza il quadro d'insieme che il mobbing
consente di valutare. Ne segue che le condotte che costituiscono il dato materiale nel quale si realizza il mobbing possano essere le più varie, ma è fondamentale che siano plurime. Il Giudice emiliano afferma altresì che, indipendentemente dalla qualificazione di danno-evento o danno-conseguenza, i comportamenti mobbizzanti posti in essere dal datore vengono immancabilmente a ledere l'immagine professionale, la dignità personale e la vita di relazione del lavoratore, provocando un danno allo stesso. A seconda delle circostanze in cui si manifestano i comportamenti del datore ci potrà essere: un danno alla salute ed allora interverrà anche la categoria del danno biologico; un danno patrimoniale, con il conseguente risarcimento; e, nelle ipotesi riconducibili a reato, potrà intervenire anche la categoria del danno morale soggettivo ex art. 185 c.p. Il Giudicante precisa inoltre che tutte queste categorie sono, per altro, soltanto eventuali, ma la lesione dei diritti fondamentali del lavoratore produrrà sempre ed immancabilmente un danno di altra categoria, da definire opportunamente come "esistenziale", in considerazione degli approfondimenti dottrinari e giurisprudenziali che tale concetto ha avuto e che lo rendono riferibile a questa situazione.
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che i danni dei quali la ricorrente chiedeva il riconoscimento fossero riconducibili alla categoria del danno non patrimoniale, così come risultante dalla rilettura critica e costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. effettuata dallla Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale; interpretazione secondo la quale l'art. 2059 c.c. trova applicazione sia nel caso di danno alla salute (art. 32 Cost.) che di danno alla professionalità del lavoratore (artt.2, 35, 41 Cost.). (Si ringrazia il Prof. Paolo Cendon)
Tribunale Forlì, Sentenza 28 febbraio 2005 n° 28

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