Nota alla sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, n. 25767 del 22 dicembre 2015

Avv. Linda Zigarella - La Suprema Corte, con la sentenza n. 25767 del 22 dicembre 2015 ha analizzato la risarcibilità del danno da nascita indesiderata (vedi anche: "Sezioni Unite: non esiste un diritto a non nascere. Nessun risarcimento per la mancata diagnosi della sindrome di down").

Il caso in esame riguarda la responsabilità di un medico che non informava adeguatamente la gestante sulle possibili malformazioni del feto e quindi non le permetteva di valutare l'eventualità di un aborto.

La Cassazione si è soffermata sui seguenti punti fondamentali dell'intera vicenda:

1) Il riparto dell'onere probatorio;

2) La legittimazione del figlio al risarcimento del danno per impossibilità ad un'esistenza sana e dignitosa.

In merito al primo punto oggetto di indagine della Suprema Corte, la stessa inizia la propria disamina dalla legge n. 194/1978 inerente alle "Norme per la tutela sociale della Maternità e sull'interruzione volontaria di gravidanza" che ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità legale di ricorrere all'aborto.

Aborto, ex art. 6 legge 194/1978, ammesso solo quando la gravidanza o il parto comportino grave pericolo per la vita della donna o quando siano accertati processi patologici tali da determinare un grave pericolo per la salute psico-fisica della donna stessa; in caso contrario l'aborto integra un reato.

La Corte di Appello, chiamata a giudicare sul caso, aveva stabilito che l'onere della prova spettasse alla gestante, inclusa la dimostrazione che ella avrebbe, comunque, esercitato l'aborto se fosse stata adeguatamente informata.

Premessa astratta condivisibile, dal momento che i presupposti della fattispecie in esame non possono non essere provati dalla donna ex art. 2697 c.c., ma la Corte di Cassazione precisa che non può non considerarsi manchevole l'analisi della Corte di Appello quando la stessa non considera la possibilità di assolvere il relativo onere in via presuntiva.

Si tratta infatti di una praesumptio hominis che consiste nell'interferenza di un fatto ignoto con un fatto noto, sulla base non solo di elementi statisticamente ricorrenti, ma anche di elementi contingenti desumibili dai dati istruttori raccolti(consulto con il medico, precarie condizioni psico-fisiche, predisposizione all'opzione abortiva etc.). Quindi, esclusa la configurabilità del danno in re ipsa, occorre dimostrare che vi sia stata una situazione di grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna tale da tradursi in un danno effettivo.

Naturalmente solo un'indagine adeguata potrà verificare l'esistenza della responsabilità medica nel caso in esame e se tale responsabilità si possa, inoltre, estendere a tutti i danni conseguenza riconducibili alla responsabilità aquiliana.

In merito al secondo punto oggetto di disamina da parte della Suprema Corte si sofferma su un nodo gordiano.

E' legittimato ad agire chi, al momento della condotta del medico, non era ancora soggetto di diritto, alla luce del principio dell'art. 1 c.c.?

La Corte ha più volte negato che l'esclusione al diritto al risarcimento possa affermarsi sul solo presupposto che il fatto colposo si sia verificato anteriormente alla nascita ed ha concluso che una volta accertata l'esistenza di un rapporto di causalità tra il comportamento colposo e il danno derivato al soggetto sorge e deve essere riconosciuto in capo allo stesso il diritto al risarcimento (Cass. Sez. 3, 22 .11.1993 n. 11503).

Qui la particolarità del caso risiede, però, nel fatto che eventualmente il medico sia l'autore mediato del danno, per la circostanza di aver privato la madre della possibilità di esercitare una facoltà ammessa dalla legge.

E' qui che si rincorre in una contraddizione insuperabile: può essere tutelato il diritto alla non vita - il diritto a non nascere?

Del resto il presupposto stesso del diritto è la vita e la sua centralità è affermata sin dal diritto romano (cum igitur hominum causa omne ius constitutum sit"). Quindi lo stesso diritto a non nascere mette "in scacco" il concetto stesso di danno. L'ordinamento non riconosce il diritto alla non vita e come tale è imparagonabile un confronto tra vita con malattia e non vita.

Concetto ripreso anche dagli ordinamenti stranieri come quello tedesco, americano e francese.

Non può non essere considerato inoltre che la responsabilità eventuale del medico verso il nato aprirebbe la strada ad una responsabilità della madre che nelle circostanze delineate dall'art. 6 della legge n. 194/1978 abbia comunque portato a termine la gravidanza.

Avv. Linda Zigarella - linda.zigarella@gmail.com

Raccolta di articoli e sentenze in materia di risarcimento danni da nascita indesiderata:
» Il danno da nascita indesiderata. Nota all'ordinanza interlocutoria n. 3569 del 23.02.2015 della terza sezione civile della Corte di Cassazione - Avv. Luigi Galluccio - 07/04/15
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