La d.i.a. non dovrebbe essere considerata uno strumento di liberalizzazione dell'attività economica, quanto piuttosto una semplificazione procedimentale

di Sara Sergio - Il tema della natura giuridica della d.i.a. suscita da sempre l'interesse della dottrina e della giurisprudenza, incidendo non soltanto sul piano del diritto sostanziale, ma producendo conseguenze anche sul piano processuale, in particolare sulle forme di tutela a disposizione del terzo leso da un'attività realizzata mediante il ricorso alla d.i.a.(1).

In particolare, sulla natura giuridica la giurisprudenza (2) osservava che la d.i.a. non dovrebbe essere considerata uno strumento di liberalizzazione dell'attività economica, quanto piuttosto una semplificazione procedimentale che - per determinate attività edilizie - permette al privato di procedere senza la necessità di ottenere un previo titolo abilitativo.

Gli orientamenti che si contrappongono sul tema della natura giuridica sono due: da un lato, coloro che considerano la d.i.a. come atto privato, dall'altro, coloro, invece, che la considerano avente natura provvedimentale.

La tesi "privatistica"

Il primo orientamento considera la d.i.a. un atto privato: sarebbe, cioè, una dichiarazione del privato - cui la legge, in presenza della condizioni normative, «ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire, ma ciò non autorizza ad includerla nell'ampia categoria dei provvedimenti amministrativi, ancorché taciti, atteso che essa non proviene da una Pubblica amministrazione, che al contrario ne è la destinataria» (3).

In altri termini, la d.i.a. potrebbe essere considerata come una sorta di autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento da parte del privato, su cui l'Amministrazione competente esercita un controllo, anche a carattere inibitorio (4).

Quell'indirizzo prende le mosse dalla ricostruzione del sistema cui dà luogo l'istituto della d.i.a. - in materia edilizia in particolar modo - distinguendo tra due diversi rapporti: segnatamente, quello fra denunciante e p.A. e quello che riguarda invece i controinteressati.

Quei rapporti - seppur riguardando la medesima vicenda sostanziale - sono distinti sul piano processuale, anche in considerazione della diversità del potere di cui è titolare l'Amministrazione.

Riguardo, in particolare, al rapporto che si instaura fra denunciante e p.A., la d.i.a. sarebbe un atto di parte che permette al soggetto privato di iniziare un'attività, decorso inutilmente un determinato lasso di tempo, cui è legato il potere inibitorio dell'Amministrazione (5).

Per quanto attiene, invece, al controinteressato all'intervento, si osserva che al potere inibitorio innanzi richiamato, resterebbe estraneo proprio colui che si oppone all'intervento, in quanto la norma sulla d.i.a. non prenderebbe in considerazione la sua posizione. 

La tesi "provvedimentale"

Secondo altro orientamento - ormai minoritario - la d.i.a. avrebbe natura provvedimentale (6).

In particolare, un argomento a sostegno della valenza provvedimentale dell'istituto in esame si troverebbe nella previsione espressa del potere amministrativo di assumere, una volta decorso il termine per l'esplicazione del potere inibitorio, determinazioni in via di autotutela ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241/1990 (art. 19, comma 3, come mod. dall'art. 3 del D.L. 14 maggio 2005, n. 35, conv. dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 e, poi, dall'art. 9 della legge 18 giugno 2009, n. 69)» (7). 

Il riferimento all'autotutela decisoria di secondo grado - nella ricostruzione effettuata dal Supremo Consesso di giustizia amministrativa nella decisione appena richiamata - sembrerebbe presupporre un provvedimento o un titolo su cui sono destinati ad incidere i provvedimenti di revoca o di annullamento (8).

Quell'orientamento considera come ulteriori elementi a sostegno della natura provvedimentale della d.i.a. gli artt. 22 e 23: rilevante - per la ricostruzione provvedimentale della d.i.a. - sarebbe proprio l'art. 22 del Tue.

L'articolo in parola individua il confine - non fisso - tra l'ambito di operatività della d.i.a. e quello del permesso di costruire, avendo le Regioni ampio spazio per ridurre o ampliare l'ambito applicativo dei due titoli abilitativi: quanto appena detto porterebbe ad avvalorare la tesi secondo la quale d.i.a. e permesso di costruire sarebbero titoli abilitativi di natura simile (9).

La tesi intermedia

Secondo altro orientamento intermedio, la d.i.a. si inserirebbe in una fattispecie complessa a formazione progressiva che «per effetto del decorso del termine assegnato dalla legge all'amministrazione, si conclude con un atto abilitativo tacito, avente quindi natura provvedimentale, con i conseguenti riflessi anche sul piano della giurisdizione e dell'azione esperibile da parte del denunciante e dei terzi» (10).

La tutela del terzo

La questione della natura giuridica della d.i.a. conduce in maniera inevitabile a soffermare l'attenzione sulle tecniche di tutela attualmente azionabili dal terzo che dichiara di subire pregiudizi dallo svolgimento dell'attività denunciata (11).

Il tema della tutela del terzo di fronte alla d.i.a. costituisce un problema di non facile soluzione, attese, per un verso, la peculiarità della situazione soggettiva facente capo al dichiarante e, per altro verso, la difficoltà di conciliare le opposte esigenze sottese alla fattispecie de qua (12).

La disciplina della d.i.a. evidenzia la difficoltà di individuare tecniche legislative in grado di soddisfare due richieste - apparentemente - opposte: la semplificazione e l'effettività di tutela.

Da un lato, quindi, la semplificazione per rendere efficiente ed efficace l'agire amministrativo (13); dall'altro, la semplificazione non può comportare la lesione delle posizioni giuridiche soggettive dei soggetti pregiudicati dalla realizzazione dell'intervento mediante d.i.a..

Ebbene, la protezione delle situazioni soggettive proprie dei soggetti diversi dal dichiarante si collega alla «circostanza per cui, nella dichiarazione in esame, l'agere pubblicistico non si sostanzia in un provvedimento formale che nella parte motiva dia conto delle ragioni giustificative delle scelte del pubblico potere e che, soprattutto, sia suscettibile di impugnazione in sede giurisdizionale» (14).

Le diverse soluzioni

Il problema della natura giuridica dell'istituto in esame dà luogo a soluzioni diverse per quanto attiene alla tutela del terzo a secondo che alla d.i.a. venga attribuita una natura pubblicistica ovvero privatistica.

Ed invero, coloro che privilegiano una lettura pubblicistica dell'istituto sostengono che tale tutela debba seguire il «canovaccio del giudizio impugnatorio, il che sarebbe anche conforme - si opina - alle esigenze di parità di trattamento rispetto al caso in cui si intenda contestare un provvedimento espresso assentivo di un'analoga attività» (15).

L'orientamento in esame troverebbe fondamento nella nuova formulazione dell'art. 19 della legge sul procedimento amministrativo in relazione con gli artt. 21 quinquies e 21 nonies di quella legge.

Secondo tale teoria la d.i.a. sarebbe una sorta di autorizzazione implicita a realizzare l'attività in virtù di una valutazione legale tipica, con la conseguenza che i terzi potrebbero impugnare direttamente il titolo abilitativo formatosi per silentium (16).

Coloro, invece, che abbracciano la tesi della natura privatistica dell'istituto della d.i.a. sostengono che le esigenze di parità di trattamento sarebbero compromesse, atteso che il terzo dovrebbe in un primo momento sollecitare l'intervento inibitorio da parte della p.A e poi soltanto successivamente sarebbe legittimato ad agire avverso il silenzio (17).

La tutela del terzo, dunque, incontra limiti legati, per un verso, all'assenza di un provvedimento da impugnare e, per altro verso, alla scadenza del termine perentorio previsto per l'esercizio del potere inibitorio da parte della p.A., così come previsto dall'art. 19, c. 3 della legge sul procedimento amministrativo.

In proposito, secondo una ricostruzione giurisprudenziale - che considera la d.i.a. come atto del privato - a fronte del silenzio serbato dalla p.A. nei trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia, il terzo che ritenga di subire pregiudizi, sarebbe tenuto a sollecitare l'esercizio del potere di autotutela amministrativa e nell'ipotesi di inerzia, poi, sarebbe legittimato ad impugnare innanzi al G.a. il silenzio-inadempimento (18).

Precipitato del riconoscimento della natura privatistica dell'istituto della d.i.a. sarebbe quindi l'impossibilità per il terzo di procedere mediante diretta impugnazione dell'atto, poiché esso sarebbe in tal modo privo del carattere provvedimentale (19).

Per i fautori, invece, della tesi della natura provvedimentale della d.i.a., a fronte dell'inerzia della P.A. nei sessanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività (20), il terzo che si fosse ritenuto leso dall'esercizio dell'attività da parte del denunciante avrebbe potuto attivare direttamente il giudizio di cognizione diretto all'accertamento dell'insussistenza dei requisiti e quindi dell'illegittimità del comportamento silente tenuto dall'Amministrazione (21).

L'intervento del Consiglio di Stato

Una risposta - forse definitiva - sul problema della natura giuridica della d.i.a. e sulla conseguente tutela del terzo leso dall'esercizio dell'attività intrapresa a seguito della denuncia di inizio attività è stata fornita dalla, ormai, celebre sentenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, n. 15 del 2011.

I contrastanti orientamenti giurisprudenziali e dottrinari sul tema in questione hanno condotto l'Adunanza plenaria a ritenere che la d.i.a. non sia un provvedimento amministrativo a formazione tacita, bensì «un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge» (22).

L'Adunanza plenaria ha, cioè, paragonato l'inerzia della p.A. - protratta oltre i trenta giorni - ad un provvedimento per silentium con cui l'Amministrazione «riscontra che l'attività è stata dichiarata in presenza dei presupposti di legge e, quindi, decide di non impedire l'inizio o la protrazione dell'attività dichiarata» (23).

Ebbene, i Giudici di Palazzo Spada, nella pronuncia in parola, hanno qualificato quel silenzio come un provvedimento tacito di diniego dell'azione inibitoria e in tal modo la tutela del terzo viene affidata alla proposizione di un'azione impugnatoria ex art. 29 del c.p.a. (24).

Il termine di sessanta giorni decorrerebbe dal giorno in cui la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche proprie dell'opera (25).

Quindi, per i Giudici della Plenaria il terzo potrebbe - già prima del decorso del termine per l'adozione dell'atto inibitorio - esperire un'azione di accertamento atipica tesa alla verifica della sussistenza dei presupposti di legge.

Il percorso logico-giuridico seguito dal Supremo Consesso di giustizia amministrativa nella sentenza in parola ha - in definitiva - condotto a ritenere che la d.i.a. sia un atto di natura privatistica, che permette al privato di intraprendere un'attività mediante l'assunzione di auto responsabilità (26), a prescindere dal consenso della P.A. competente (27).

Nello stesso tempo - qualificandosi il silentium della P.A. nel termine perentorio previsto dalla legge per l'esercizio del potere inibitorio alla stregua di un provvedimento amministrativo (28) - i Giudici di Palazzo Spada hanno «adottato una soluzione rispettosa dei principi di certezza dei rapporti giuridici e di tutela dell'affidamento, attribuendo al terzo una tutela piena, e soprattutto, immediata in omaggio agli artt. 24 e 113 della Costituzione. In tal modo superando, peraltro, le perplessità derivanti dalla soluzione prospettata dalla VI sezione del Consiglio di Stato con la nota sentenza n. 717/2009 che, al fine di tutelare il terzo leso dalla denuncia di inizio attività, aveva riconosciuto l'esperibilità di un'azione di accertamento esercitabile entro lo stesso termine di decadenza (di sessanta giorni) previsto per l'azione di annullamento» (29).

Le novità normative del 2011

Nonostante la puntuale attenzione posta dall'Adunanza plenaria al problema della natura giuridica della d.i.a. e dei rimedi esperibili, il legislatore del 2011 sembra aver completamente ignorato tali questioni.

Si fa, cioè, riferimento al d.l. 13 agosto 2011, n. 138, con cui è stata approvata una norma in virtù della quale «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzata e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2, e 3, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104» (30).

Le novità normative introdotte dal legislatore del 2011 - intervenute dopo la decisione della Plenaria - hanno prodotto conseguenze rilevanti sull'istituto della d.i.a.: si è nuovamente posto il problema relativo alla individuazione della natura giuridica di quell'istituto.

Ciò in quanto con la legge di conversione (31) del d.l. innanzi richiamato, il legislatore, innanzitutto, ha eliminato la qualifica di s.c.i.a. e d.i.a. come attività liberalizzate; in secondo luogo, ha previsto come unico strumento di tutela la proposizione dell'azione avverso il silenzio della p.A. ex art. 31 del c.p.a..

Tale impostazione legislativa porterebbe, però, - ancora una volta - a considerare la d.i.a. avente natura provvedimentale (32), in quanto affinchè vi sia un silenzio inadempimento è necessaria la previsione di un obbligo positivo di agire in capo alla P.A.: pertanto, «l'estraneità dell'amministrazione rispetto all'attività del privato non sembra più sostenibile, data la necessità di una presa di posizione positiva della stessa amministrazione, in mancanza della quale può ricorrersi al rito avverso il silenzio» (33).

Sara Sergio

Avvocato e ricercatore di diritto amministrativo presso Unitelma Sapienza-Roma

(1) In proposito, invero, a seconda che si attribuisca alla d.i.a. natura provvedimentale o di atto privato, le azioni esperibili dal terzo sono diverse: se alla d.i.a. viene attribuita natura provvedimentale la tutela del terzo si declina nelle forme di un'azione di annullamento ordinaria; qualora, invece, venga attribuita alla d.i.a. natura di atto privato, il terzo si tutelerebbe mediante un giudizio avverso il silenzio, mancando in tal caso un provvedimento da impugnare.

(2) In tal senso, Corte Cost., 1 ottobre 1993, n. 303.

(3) R. Garofoli e G. Ferrari, Codice dell'edilizia, Nel Diritto editore, 385.

(4) Così, Cons. Stato, IV, 22 febbraio 2007, n. 948.

In proposito, la Suprema Corte ha affermato che la d.i.a. è un «atto soggettivamente e oggettivamente privato, che ha soltanto il valore di una comunicazione fatta dal privato alla Pubblica amministrazione, circa la propria intenzione di realizzare un'attività direttamente conformata dalla legge e non necessitante di titoli provvedimentali» (Corte Cass. civ., I, 24 luglio 2003, n. 11478).

Ed ancora, a dire dei Giudici di Palazzo Spada «la denuncia non ha valore di provvedimento amministrativo, né lo acquista in virtù del decorso del termine previsto per l'attività di riscontro della pubblica amministrazione» (Cons. Stato, VI, 4 settembre 2002, 4453) e «l'atto di comunicazione dell'avvio dell'attività, a differenza di quanto accade nel caso del c.d. silenzio-assenso, disciplinato dall'articolo 20 della stessa legge n. 241 del 1990, non è una domanda, ma una informativa, cui è subordinato l'esercizio del diritto, che avviene però a rischio e pericolo di chi lo esercita» (Cons. Stato, IV, n. 3498 del 2005).

(5) In altri termini, la teoria privatistica porta a ritenere quell'istituto come una misura di liberalizzazione e l'atto del privato consisterebbe in una comunicazione notiziale alla p.A., finalizzata a consentire l'esercizio del potere di vigilanza sull'attività intrapresa.

L'attività è, invero, esercitata in base alla legge che ascrive un diritto soggettivo all'esercizio di quell'attività e tale diritto è limitato da norme che impongono divieti e obblighi.

(6) Secondo tale orientamento la d.i.a. non priverebbe la p.A. del potere di autorizzare l'attività, ma costituirebbe un modello procedimentale alternativo per esercitare quel potere medesimo. L'effetto ampliativo si produrrebbe, quindi, al decorrere del termine per inibire o conformare l'attività, non al momento della presentazione della dichiarazione completa. L'istituto in parola, sarebbe pertanto un'istanza per il rilascio di un'autorizzazione che mette in moto un procedimento amministrativo che si conclude con un'ipotesi speciale di silenzio-assenso.

Secondo tale corrente di pensiero, quindi, la d.i.a. sarebbe un provvedimento amministrativo, ancorchè tacito, che fornisce il titolo per svolgere l'attività.

E ciò farebbe sì che tale istituto sia da considerare come misura di semplificazione e non di liberalizzazione.

(Il passo innanzi illustrato è di F. Follieri, Segnalazione certificata di inizio attività, in Procedimento amministrativo M. Clarich e G. Fonderico (a cura di), Wolters Kluwer, 2015, 445).

(7) Ad. Plen. Cons. Stato, 29 luglio 2011, n. 15, laddove riprende le varie teorie sulla natura giuridica dell'istituto in esame.

Nella decisione in esame, i Giudici di Palazzo Spada hanno escluso la natura provvedimentale della d.i.a. affermando che la denuncia di inizio attività costituisca un «atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge».

In tal modo, quei Giudici hanno escluso la possibilità che il terzo possa impugnare direttamente la d.i.a. o che possa impugnare l'implicita autorizzazione che si formerebbe a seguito della presentazione della dichiarazione e al mancato esercizio del potere inibitorio: il terzo, quindi, potrebbe soltanto proporre l'azione sul silenzio - che potrebbe essere rivolta sia nei confronti del potere inibitorio che nei confronti del potere sanzionatorio.

(8) Secondo il noto principio del tempus regit actum.

(9) E che si diversificherebbero soltanto per il procedimento da seguire.

(10) R. Garofoli e G. Ferrari, Codice dell'edilizia, cit., 386.

(11) Complessa è, invero, la questione della posizione del terzo e l'analisi dei rimedi che quest'ultimo può utilizzare per contrastare l'attività intrapresa dal denunciante.

(12) C. Addesso, La dichiarazione di inizio di attività e la tutela del terzo: un rapporto difficile tra riforme legislative ed incertezze giurisprudenziali, in Foro Amm. TAR, 1, 2008, 65 ss..

(13) E quindi conforme ai principi dettati dall'art. 1 della legge sul procedimento amministrativo, ai sensi del quale, l'attività amministrativa «persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario».

(14) C. Addesso, La dichiarazione di inizio di attività e la tutela del terzo: un rapporto difficile tra riforme legislative ed incertezze giurisprudenziali, in Foro Amm.TAR, 1, 2008, 65 ss..

(15) A. Auletta, La dubia quaestio della natura giuridica della d.i.a., in Foro Amm. TAR, 2, 2010, 710 ss..

In tal senso, anche Cons. Stato, IV, 25 novembre 2008, n. 5811; Cons. Stato, IV, 29 luglio 2008, n. 3742.

(16) C. Addesso, La dichiarazione di inizio di attività e la tutela del terzo: un rapporto difficile tra riforme legislative ed incertezze giurisprudenziali, cit..

(17) Cons. Stato, V, 9 ottobre 2007, n. 5271; Tar Salerno, II, 24 settembre 2009, n. 5451.

(18) Il terzo, quindi, instaurerebbe un ricorso ex art. 2 della l. n. 241 del 1990 e ex art. 31 del c.p.a..

Tale orientamento è stato enunciato dai Giudici di Palazzo Spada con la sentenza 22 febbraio 2007, n. 948.

Più precisamente, quella pronuncia ha rilevato che la d.i.a. non ha natura provvedimentale, né tantomeno l'acquisisce in virtù del decorso del termine previsto per l'attività inibitoria della p.A..

(19) C. Addesso, La dichiarazione di inizio di attività e la tutela del terzo: un rapporto difficile tra riforme legislative ed incertezze giurisprudenziali, cit..

Il terzo comunque non sarebbe privo di tutela, in quanto come già accennato supra avrebbe la possibilità di sollecitare l'esercizio del potere repressivo o di autotutela mediante il giudizio avverso il silenzio.

(20) Ai sensi del comma 3 dell'art. 19 della l. n. 241 del 1990.

(21) A tale orientamento aveva aderito il Consiglio di Stato: «nel caso della d.i.a., con il decorso del temine si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l'ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall'avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all'intervento oggetto di d.i.a. […] un sostegno a favore della diretta impugnazione della d.i.a. è stato fornito dal legislatore, che ha modificato l'art. 19 della legge n. 241/90 (con l'art. 3 del d.l. 14 maggio 2005, n. 35, convertito dalla l. 14 maggio 2005, n. 80), prevedendo in relazione alla d.i.a. il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies» (Cons. Stato, VI, 5 aprile 2007, n. 1550).

In altri termini, secondo tale interpretazione, l'ammissione dell'annullamento d'ufficio comportava l'ammissione dell'azione di annullamento davanti al G.a..

In termini, anche, Cons. Stato, IV, 25 novembre 2008, n. 5811; Tar Brescia, I, 10 gennaio 2009, n. 15.

(22) Cons. Stato, Ad. plen. 29 luglio 2011, n. 15, cit..

(23) Cons. Stato, Ad. plen. 29 luglio 2011, n. 15, cit..

(24) Azione da esercitarsi entro l'ordinario termine di sessanta giorni.

(25) In tal senso, Cons. Stato, VI, 5 gennaio 2011, n. 18.

(26) Il principio di autoresponsabilità è attenuato dal perdurare del potere amministrativo di verifica della sussistenza dei presupposti normativi per lo svolgimento dell'attività da realizzare mediante d.i.a..

(27) Si legge, infatti, nella pronuncia in esame che il privato è «titolare di una posizione soggettiva originaria, che trova il suo fondamento diretto ed immediato nella legge, sempre che ricorrano i presupposti normativi per l'esercizio dell'attività e purché la mancanza di tali presupposti non venga rilevata dall'amministrazione con il potere di divieto da esercitare nei termini di legge previsti, trascorsi i quali si esaurisce il potere inibitorio vincolato di controllo e subentra il potere discrezionale di autotutela» (Cons. Stato, Ad. plen. 29 luglio 2011, n. 15, cit.).

(28) Impugnabile nell'ordinario termine decadenziale.

(29) G. Taglianetti, G. Taglianetti, La segnalazione certificata di inizio attività: la tutela giurisdizionale dell'interesse qualificato e differenziato del terzo alla luce dell'art. 6 del d.l. n. 138/2011, in Riv. giur. Edilizia, 2, 2012, 409 ss..

(30) Successivamente, con la legge di conversione del d.l. in parola - l. 14 settembre 2011, n. 148 - il legislatore, per un verso, ha cancellato l'espressione si riferiscono ad attività liberalizzata e, per altro verso, ha chiarito che può essere esperita esclusivamente l'azione avverso il silenzio.

(31) Legge 14 settembre 2011 n. 148, in G:U., 16 settembre, n. 216, rubricata Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari.

(32) Ciononostante, sarebbe ancora da preferire l'interpretazione fornita dall'Adunanza plenaria.

(33) F. Colaleo, Denuncia di inizio attività e tutela del terzo, in Giust. Civ., 5, 2012, 1371 ss.


Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: