I chiarimenti della Corte di Cassazione nella sentenza n. 18513 del 2015

Il solo fatto che una donna  si trovi in una condizione di ritardo mentale, non basta per affermare che non c'è stato un valido consenso all'atto sessuale.

È quanto afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18513/2015  occupandosi di una la fattispecie in cui si è ipotizzata la sussistenza del reato di violenza sessuale previsto e punito dall'articolo 609 bis comma 2 n. 1 del codice penale.

La Corte chiarisce che quando si tratta di giudicare in materia di atti sessuali commessi con una persona in stato di inferiorità fisica o psichica, occorre accertare innanzitutto se la condizione di inferiorità sussiste anche al momento del fatto; in secondo luogo va verificato se tale condizione di inferiorità abbia viziato il consenso all'atto sessuale.

E non basta. Secondo la Cassazione il vizio della volontà deve essere accertato caso per caso "e non può essere presunto, né desunto esclusivamente dalla condizione patologica in cui si trovi la persona quando non sia di per sé tale da escludere radicalmente, in base ad un accertamento se necessario fondato su basi scientifiche, la capacità stessa di autodeterminarsi".

Infine, come si legge in sentenza, il giudice deve accertare se il consenso è stato frutto dell'induzione e se l'induzione è stata posta in essere al fine di sfruttare ed approfittare della condizione di inferiorità per carpire un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato. Deve inoltre verificare se "l'induzione e la sua natura abusiva non si identifichino con l'atto sessuale, ma lo precedono".

Secondo gli Ermellini il giudice di merito ha focalizzato troppo l'attenzione sull'atto sessuale in sè perdendo di vista quella visione d'insieme necessaria per avere un quadro completo della vicenda e non ha tenuto conto del fatto che la ragazza aveva già in precedenza avuto rapporti sessuali completi.

Insomma, per la Cassazione c'è stata un'errata impostazione metodologica nell'indagine sui fatti. Il tribunale ha finito per sovrapporte la patologia (ritardo mentale della donna) con l'assenza di un valido consenso anche se "non c'è alcuna evidenza il ritardo mentale, sia pur di grado medio, inibisca di per sé un valido consenso all'atto sessuale".

Qui sotto in allegato il testo della sentenza.

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Cassazione Penale, testo sentenza 18513/2015

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