Amministratore privo dei requisiti. Revoca giudiziaria.

Avv. Paolo Accoti

Per amministrare uno stabile in condominio la normativa (L. 220/2012), entrata in vigore il 18 giugno 2013, prevede determinati requisiti che devono essere posseduti dal candidato sin dall'atto della sua nomina.

In particolare - salvo non si tratti di amministratore (interno) scelto nell'ambito degli stessi condòmini e, in quanto tale, che amministri esclusivamente l'immobile nel quale risulta anche condomino - chi vuole assumere l'anzidetto incarico di gestione, ai sensi dell'art. 71 -bis disp. att. c.c., deve essere in possesso:

a) del godimento dei diritti civili; b) non aver subito condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni; c) non essere sottoposto a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione; d) non essere interdetto o inabilitato; e) non risultare iscritto nell'elenco dei protesti cambiari; f) aver conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado; g) aver frequentato un corso di formazione iniziale e svolgere attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale.

La norma prevede due sole eccezioni.

La prima, quella relativa al caso sopra visto di condomino che assume l'incarico di amministrare il proprio condominio, nel qual caso, fermi restando gli ulteriori requisiti, quelli di cui alle lettere f) e g) non sono necessari.

Si tratta in sostanza degli amministratori non "professionali".

La seconda riguardante coloro i quali hanno svolto attività di amministratore di condominio per almeno un anno - nell'arco dei tre anni precedenti alla data del 18.06.2013 (data di entrata in vigore della L. 220/2012) - per costoro l'attività di amministratore può ritenersi legittimamente espletata anche in mancanza dei requisiti di cui alle lettere f) e g), fermo restando l'obbligo di formazione periodica.

In buona sostanza, il legislatore ha voluto riconoscere una sorta di "merito sul campo" a chi già esercitava detta attività in precedenza, ritenendolo sufficientemente istruito e formato proprio in virtù dell'esperienza acquisita e tale, pertanto, da non necessitare della (sola) formazione iniziale.

Per inciso, la possibilità di esercitare i compiti di amministratore di condominio viene riconosciuta sia alle persone fisiche che alle società, siano esse di persone o di capitali.

Nel caso delle società, tuttavia, i requisiti sopra menzionati devono essere posseduti da tutti i soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condominii a favore dei quali la società presta i servizi.

La norma richiamata prevede inoltre che la perdita dei requisiti di cui alle lettere a), b), c), d) ed e), sopra visti, comporta la cessazione dall'incarico.

In tal caso ciascun condomino può convocare senza formalità l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore.

Da ciò si evince che tutti gli anzidetti requisiti, salve le particolari fattispecie sopra indicate, devono essere posseduti dal candidato sin dall'atto della nomina, anzi, riteniamo sin dall'atto dell'invio della proposta contrattuale (vale a dire nel momento in cui il candidato formula la propria offerta di amministrazione), come comunemente avviene per i bandi pubblici, laddove i requisiti per la partecipazione generalmente devono essere posseduti dal candidato al momento dell'emanazione del bando.

Diversamente opinando, si verificherebbe una inaccettabile differenza di trattamento tra candidati amministratori e una violazione del diritto di concorrenza che, addirittura, potrebbe risultare sleale.

Ciò posto la norma evidentemente disciplina i casi di perdita successiva dei requisiti, prevedendo quale rimedio quello della convocazione dell'assemblea, anche ad opera di un solo condomino, per la nomina del nuovo amministratore.

L'art. 71-bis disp. att. c.c. nulla prevede invece in caso di mancanza originaria dei requisiti relativi al grado di istruzione secondaria e/o nel caso di mancanza di formazione iniziale o successiva.

Ebbene in tali casi la norma di riferimento è quella di cui all'art. 1129 co. 12 c.c., il quale, tra le altre ipotesi contemplate - essenzialmente relative a violazioni e irregolarità gestionali ovvero fiscali (dalla mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale alla confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore) oppure relative alla tenuta dei registri e l'accesso ai documenti - prevede anche l'omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati anagrafici e professionali all'atto della nomina o della conferma.

In questa ultima fattispecie rientrano a pieno titolo gli anzidetti requisiti culturali, vale a dire il requisito minimo del grado di istruzione secondaria, e professionali, relativi alla necessaria formazione iniziale e successiva.

In tali casi il rimedio esperibile risulterebbe senz'altro quello della revoca dell'amministratore.

Per la revoca la procedura da seguire sarebbe quella di convocare l'assemblea, possibilità concessa anche al singolo condomino, avendo cura di inserire all'ordine del giorno appunto la revoca dell'amministratore.

Qualora l'assemblea dei condomini - per le motivazioni più svariate - nonostante l'effettiva mancanza dei requisiti culturali e professionali in capo all'amministratore in carica, non provvedesse alla sua revoca, il condomino o i condomini che hanno assunto l'iniziativa di convocare l'assemblea, ma riteniamo anche quelli assenti, dissenzienti o astenuti (in applicazione analogica del nuovo art. 1137 c.c. in materia di legittimazione all'impugnativa della delibera assembleare), sarebbero legittimati a chiedere la revoca all'autorità giudiziaria.

In tali casi il procedimento da seguire è quello dettato dall'art. 64 disp. att. c.c., per il quale proposto ricorso per la revoca giudiziale dell'amministratore, il Tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l'amministratore in contraddittorio con il ricorrente.

Avverso il provvedimento del Tribunale è ammesso il reclamo alla Corte d'Appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione del decreto, di accoglimento o di rigetto, emesso dal Tribunale in camera di consiglio.

Non è ammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento della Corte d'Appello, se non con riferimento al solo capo relativo alle spese giudiziali.

Appare evidente che dalla terminologia utilizzata dal legislatore nonché dalla giurisprudenza di legittimità formatasi in materia, sia pure nella previgente formulazione dell'art. 64 disp. att. c.c., ci troviamo al cospetto di un procedimento di volontaria giurisdizione, da assumersi dal Tribunale in composizione collegiale, in camera di consiglio, avente natura di giudizio cautelare.

Per inciso, l'anzidetta procedura di volontaria giurisdizione è soggetta al pagamento del Contributo unificato di € 98,00 oltre alla marca da bollo di € 27,00 per diritti forfetizzati per notifica nonché ai costi relativi alla notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, da eseguirsi solo nei confronti del medesimo amministratore, unico legittimato passivamente che, in quanto tale, può e deve costituirsi in cancelleria senza alcuna autorizzazione assembleare né successiva ratifica.

In caso di soccombenza è prevista la rifusione delle spese processuali sopra viste, oltre alla liquidazione delle competenze professionali dell'avvocato difensore della parte vittoriosa.

Dubbi invece sussistono in merito all'obbligatorietà, in siffatta speciale materia, della preventiva mediazione.

Ed invero, come oramai noto, dal 21.09.2013 vige l'obbligo della mediazione anche per quanto concerne le controversie in materia di condominio.

Detta obbligatorietà è desumibile dall'art. 5 co. 1, del D. Lgs. 28/2010, successivamente integrato e modificato dalla L. 98/2013, che indica le materie, tra cui appunto quella condominiale, nelle quali la mediazione è ritenuta oltre che obbligatoria anche inderogabile.

Il termine "condominio", adottato in senso evidentemente omnicomprensivo, farebbe presupporre la necessità della mediazione - indistintamente - in tutte le ipotesi di controversie condominiali.

Tale generale applicazione risulterebbe vieppiù confermata dal disposto (speciale) dell'art. 71 quater disp. att. c.c., il quale prevede testualmente che: Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall'errata applicazione delle disposizioni del libro terzo, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l'attuazione del codice civile.

Tuttavia, il comma 4 dell'anzidetto art. 5 D. Lgs. 28/2010, prevede l'esclusione dalla procedura di mediazione di alcune specifiche fattispecie:

a) i procedimenti di ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) i procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile;

c) i procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite (art. 696-bis del codice di procedura civile);

d) i procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

e) i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;

f) i procedimenti in camera di consiglio;

g) l'azione civile esercitata nel processo penale.

Di talché, rientrando il procedimento in parola tra quelli da trattarsi in camera di consiglio, la mediazione sarebbe da ritenersi esclusa.

Tuttavia, essendo in diritto tutto, o quasi, opinabile, il Tribunale ordinario di Padova, con ordinanza assunta in camera di consiglio in data 24.12.2014, depositata il 24.02.2015, ha ritenuto che per il combinato disposto dagli artt. 71 quater e 64 disp. att. c.c., la controversia rientra tra quelle soggette all'obbligo della mediazione ai sensi del D.Lgs. n. 28/2010.

La decisione suscita invero non poche perplessità, e presta il fianco a diverse osservazioni critiche, nonostante la pure dedotta specialità dell'art. 71 quater disp. att. c.c. in materia di mediazione condominiale, rispetto ai principi generali portati dal D.Lgs. 28/2010.

In primo luogo perché la revoca giudiziale dell'amministratore di condominio, risultando pacificamente un procedimento in camera di consiglio, rimarrebbe esclusa dall'obbligo della mediazione in virtù dell'art. 5 co. 4, lett. f) D.Lgs. 28/2010.

In secondo luogo perché avendo natura tipicamente cautelare e, quindi, connotata dal carattere della sommarietà, provvisorietà e, soprattutto, da quello dell'urgenza, mal si concilierebbe con il procedimento di mediazione.

Ed invero, così come accade comunemente per gli altri procedimenti cautelari (ingiunzione, sfratto, d'urgenza, possessori, ecc.), nei quali appunto vi è la necessità di ottenere un provvedimento giudiziale urgente e indifferibile, sottoporre gli stessi al previo tentativo obbligatorio di mediazione, con la conseguente inevitabile dilatazione dei tempi, rappresenterebbe una evidente contraddizione in termini, tanto che il legislatore, per siffatti procedimenti, ha espressamente escluso l'obbligatorietà della mediazione.

Infine, perché le fattispecie che legittimano la richiesta di revoca giudiziale dell'amministratore di condominio, mal si combinano con l'istituto della mediazione.

La mediazione, infatti, ha quale scopo essenziale quello di conciliare l'insorta controversia, in altri termini, tende al raggiungimento di un accordo tra le parti che, generalmente, avviene quando ognuna di esse rinuncia a parte della propria pretesa iniziale.

Ciò posto, risultando le fattispecie abilitanti la revoca dell'amministratore assolutamente tipizzate, si pensi al caso in oggetto, quale appunto la mancanza in capo all'amministratore del requisito professionale della formazione iniziale o culturale, non vi è chi non veda come in proposito non ci sarebbe nulla da mediare.

I requisiti necessari (discendenti direttamente dalla norma di legge) per amministrare o sono posseduti oppure no, pertanto, in proposito non potrebbe esistere alcun accordo conciliativo concernente i titoli obbligatori dell'amministratore che, semmai raggiunto, comporterebbe certamente una violazione del dettato normativo.

Si rimanda a tal proposito all'art. 1344 c.c. intitolato contratto in frode alla legge, il quale stabilisce che la causa si reputa illecita quando il contratto (accordo di mediazione) costituisce il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa.

Di talché appare preferibile, per tutte le motivazioni sopra esposte, che il giudizio di revoca giudiziale dell'amministratore di condominio venisse debitamente escluso dall'obbligatorietà della mediazione.

Ad ogni buon conto l'instaurazione del giudizio senza il preventivo esperimento della mediazione obbligatoria (qualora ritenuta necessaria), fortunatamente non comporta conseguenze irreversibili, atteso che il Tribunale è tenuto a sospendere il giudizio e a fissare un termine per l'avvio del procedimento di mediazione che, in caso di esito negativo, consentirebbe il prosieguo del giudizio.

Solo successivamente e qualora la parte onerata non ottemperasse all'ordine giudiziale impartito, nel termine alla stessa assegnato, il giudizio diverrebbe improcedibile.

Ferma restando la possibilità di riproposizione dello stesso ex novo.

Da ricordare, infine, che l'amministratore revocato giudizialmente non può essere rinominato dall'assemblea che dovrebbe, pertanto, affidarsi a diversa persona (fisica o giuridica).

Inoltre, stante l'istituzione del registro di nomina e revoca dell'amministratore (sul quale evidentemente si annotano i dati anagrafici e le date di nomina e revoca dell'amministratore), sullo stesso andranno annotati anche gli estremi del provvedimento giudiziale di revoca.

Avv. Paolo Accoti

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