Se i coniugi esercitano insieme un'attività imprenditoriale è legittimo addebitare la separazione a carico di chi, nella gestione dell'impresa familiare, pretende di gestirla da solo.
E' quanto ha statuito la Cassazione nella
sentenza in oggetto, in cui la Corte si è occupata del caso di una
donna che lamentava di essere stata vittima, in ambito lavorativo, di continue vessazioni da parte del marito.
I giudici di merito avevano respinto la richiesta della donna di addebitare al marito la separazione ma la donna si è rivolta alla suprema Corte che invece le ha dato ragione.
Sulla base delle norme che impongono ai coniugi doveri reciproci di collaborazione e di concorde determinazione dell'indirizzo di vita familiare, "se i coniugi esercitano congiuntamente un'attività economica per trarne i mezzi di sostentamento della famiglia essi debbono collaborare in posizione paritaria nell'esercizio e nella gestione dell'attività comune senza che l'uno possa pretendere di gestirla ad esclusione dell'altro".
Il
comportamento dispotico del marito, assunto durante la gestione dell'impresa familiare, è
stato dunque idoneo a ledere, nel tempo, l'
affectio coniugalis, ed è quindi
qualificabile come elemento di addebito della separazione.
La dipendenza psicologica del coniuge più debole (in questo caso, della moglie) non deve dunque comportare una lesione dei diritti e dei doveri matrimoniali previsti dalla legge.
In quest'ottica, attraverso tale comportamento, il marito avrebbe
leso il principio di pari dignità dei coniugi. Il ricorso è accolto e la
sentenza cassata con rinvio. Qui sotto il testo integrale della
sentenza.