Nello specifico, alcuni coeredi cedevano la loro quota di spettanza (pari a 5/9) di un immobile ad un terzo soggetto

Avv. Gabriele Mercanti 

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 26051 in data 10 dicembre 2014, ha ribadito un principio sufficientemente assodato in tema di efficacia del trasferimento da parte del comunista della propria quota immobiliare indivisa di spettanza sul singolo cespite. (1)

Nello specifico, alcuni coeredi cedevano la loro quota di spettanza (pari a 5/9) di un immobile ad un terzo soggetto, il quale successivamente instaurava contro il proprietario dei restanti 4/9 giudizio volto ad ottenere lo scioglimento della comunione.

Il comproprietario convenuto nel giudizio divisionale eccepiva, tra l'altro, la legittimazione attiva dell'attore, ritenendo che in capo a questi difettasse la qualifica di comproprietario: a detta del convenuto, infatti, l'atto in questione aveva ad oggetto non la quota ereditaria, bensì un singolo bene di una più ampia comunione e - pertanto - non si erano prodotti in capo all'attore gli effetti traslativi della proprietà del singolo cespite. (2)

Dopo la soccombenza in due gradi di giudizio (3), si finiva avanti al S.C. il quale - nell'alveo del generale concetto di cessione di quota - distingueva due distinte fattispecie:

a) Caso in cui, come nella vicenda in esame, la comunione abbia ad oggetto un solo cespite: l'effetto traslativo dal comunista al di lui avente causa è immediato con effetti reali, in quanto il comproprietario/cedente è "proprietario esclusivo della frazione ideale di cui può liberamente disporre", di modo che "l'effetto traslativo non resta subordinato all'assegnazione in sede di divisione della quota all'erede alienante"; ovvero

b) Caso in cui, invece, la comunione abbia ad oggetto una pluralità di beni: l'effetto traslativo dal comunista al di lui avente causa è differito con effetti obbligatori, in quanto fino a che al cedente il bene non sarà assegnato in sede divisionale, detto bene "continua a far parte della comunione" (c.d. vendita dell'esito divisionale).

Sulla base della distinzione di cui sopra e ritenendo gli Ermellini che nel caso in questione si ricadesse nella ipotesi sub a), il ricorrente soccombeva anche in ultimo grado.

Fin qui nulla di eclatante. Tuttavia nelle pieghe della pronuncia in oggetto si annida - a parere di chi scrive - un problema molto insidioso, e per nulla affrontato nella sentenza de quo, inerente all'accertamento della composizione della comunione di cui il bene oggetto di cessione fa parte.

Se è vero, infatti, che nella comunione ordinaria difficilmente può sorgere dubbio in ordine all'unicità o meno del bene oggetto di comproprietà / cessione, è di palmare evidenza come le cose si complichino notevolmente nel caso della comunione ereditaria.

E', infatti, a dir poco arduo - sia da un punto di vista teorico / giuridico (4) sia da un punto di vista concreto / fattuale - stabilire con sufficiente grado di certezza se la comunione sia formata o meno da un singolo bene: anzi, a voler ben vedere, è - da un punto di vista empirico - praticamente impossibile che esista un asse ereditario nel quale unica sua componente sia un solo bene.

Il caso sottoposto al vaglio di legittimità è stato risolto dagli Ermellini sulla base delle risultanze istruttorie dei giudizi di merito: siccome non era stato assolto dal convenuto l'onere probatorio avente ad oggetto l'esistenza di altri beni nell'asse, la comunione doveva intendersi - come affermato dal convenuto - formata da un singolo cespite. (5)

Se da un punto di vista tecnico processuale il rigore del S.C. è ineccepibile, resta comunque all'operatore giuridico un dubbio alquanto angoscioso: basta la presenza di un qualunque altro bene - ancorchè di valore limitato o irrisorio - nella massa ereditaria ad escludere l'unitaria composizione della comunione?

Posto che, come detto sopra, la comunione avente ad oggetto un solo bene è praticamente ipotesi di scuola, si potrebbe - a parere di scrive - applicare in subiecta materia il criterio elaborato dalla Giurisprudenza formatasi sul retratto successorio ex art 732 c.c. che, come noto, sussiste esclusivamente nel caso di alienazione di quota (o parte di essa) e non, invece, ove si abbia alienazione di specifico cespite. Ebbene, secondo Giurisprudenza consolidata in tema di retratto successorio (6), occorre accertare con gli ordinari criteri ermeneutici di interpretazione del contratto se la volontà delle parti era quella di immettere il cessionario nella titolarità della quota (con conseguente applicazione del regime di cui all'art. 732 c.c.) ovvero nella titolarità di uno specifico bene (con conseguente esclusione del regime di cui all'art. 732 c.c.).

Analoghe indagini interpretative, allora, potrebbero essere effettuate in ordine al titolo contrattuale per stabilire se la vendita di quota abbia effetti reali o, invece, meramente obbligatori.

 

Avv. Gabriele Mercanti - Foro di Brescia - avv.gabrielemercanti@gmail.com


(1) Cfr. la Giurisprudenza dalla Corte medesima richiamata: Cass. n. 9.543/2002 e Cass. n. 3.385/2007.

 

(2) In particolare, il convenuto nel giudizio divisionale asseriva che la sussistenza di altri beni della comunione fosse inequivocabilmente dimostrata da una lettera raccomandata inviata dagli originari proprietari dei 5/9 al convenuto medesimo nella quale si dava atto dell'esistenza di "beni mobili e suppellettili" proprio nel cespite in questione.

 

(3) Tribunale di Vallo della Lucania Sentenza del 13.10.2004, Corte d'Appello di Salerno Sentenza del 26.02.2009.

 

(4) Come noto, è tema classico affrontato tanto in dottrina quanto in giurisprudenza quello relativo alla natura giuidica dell'eredità, dato che la Legge non prende espressamente posizione al riguardo.

 

(5) In particolare, secondo la Corte di Cassazione il documento prodotto dal convenuto (e sopra richiamato alla nota 2), facendo generico riferimento a beni mobili e suppellettili "rimasti in comunione", era inidoneo a collegare incontrovertibilmente gli stessi a quella specifica comunione: per i Giudici, infatti, la vaghezza del richiamo alla "comunione" non poteva escludere che si potesse trattare di un'altra comunione.

 

(6) Cfr. su tutte la recente Cass. n. 737/2012.

Cassazione: testo della sentenza 26051/2014

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