Due figure celebri nella lotta contro le mafie

Avv. Sabrina Vitiello

Nel cammino della Chiesa non sono  mancati personaggi che hanno lottato contro le mafie anche a costo di perdere la loro stessa vita. Celebri sono le figure di Don Peppe Diana e Don Pino Puglisi.

Don Pino Puglisi nasce nel 1937 nella Borgata palermitana di Brancaccio e trascorre i primi anni della sua vita nella zona chiamata "Stati Uniti", la più povera e degradata del quartiere.

Padre Pino Puglisi è un coraggioso testimone del Vangelo, un punto di riferimento, un esempio. Sorride Padre Pino, si mescola con la gente, guarda in faccia la mafia e non abbassa lo sguardo.

Brancaccio è un quartiere difficile, disomogeneo, c'è la mafia, ma c'è anche la difficoltà di riuscire a procurarsi un tozzo di pane ogni giorno. Famiglie poverissime stipate in palazzi enormi fatiscenti, muri che crollano, bambini, figli di nessuno, che si trascinano per le strade sudice.

Dalla strada si impara solo delinquenza, a sopravvivere usando la violenza, rubando quei quattro soldi per non morire di fame, per vedere ancora una volta sorgere il sole. Ma il sole a Brancaccio è un sole malato, un sole freddo che non riscalda. La Mafia detta le regole. Per qualsiasi cosa serve il permesso, anche per rubare un'auto. Se rubi un'auto senza permesso, vieni punito, vieni fatto sparire.

Nel quartiere colpito da anoressia culturale, molti non hanno nemmeno la licenza elementare: analfabeti che non vivono ma sopravvivono. Non ci sono basi morali a Brancaccio, non c'è la concezione di giusto o sbagliato, non c'è il rispetto per gli altri, e, forse, nemmeno per se stessi. La necessità è il motore che spinge a vivere nell'illegalità. Nel quartiere manca la scuola media ma a nessuno è passato mai per la testa di costruirne una, l'ignoranza fa comodo, l'inettitudine consente alla mafia di mantenere il potere e il controllo.

Ma Padre Pino Puglisi è il sole nuovo che mancava a Brancaccio.

Il tessuto sociale è  fortemente devastato ma don Puglisi si arma di ago e filo e lentamente, un punto dietro l'altro, inizia la sua opera di risanamento.

Padre Pino individua gli strappi e dà il via alle sue battaglie quotidiane.

Come prima cosa cerca dei collaboratori affidabili e organizza così corsi di alfabetizzazione e di teologia di base.E' una Chiesa nuova quella di don Puglisi, una Chiesa che ricopre la sua vera essenza, tende la mano ai poveri, non è più solo processioni, feste che sfilano nelle vie principali delle case dei personaggi da rispettare. Puglisi cambia rotta, arriva nei vicoli dimenticati portando il messaggio della Croce ove è più necessario.Padre Puglisi non vuole i soldi della mafia, vuole cambiare tradizione. Il cestino delle offerte non gira più tra i banchi durante la celebrazione della Messa, ma è posto all'entrata perché le offerte devono essere libere e segrete. Puglisi ricomincia da zero, ricomincia dai bambini, crede nella possibilità di toglierli dalle strade per insegnare loro che la mafia non è tutto, non è giusta, non è buona. I giovani vanno educati a vivere nella legalità, va data loro la possibilità di studiare, di trovare un lavoro e di conoscere la morale. Padre Pino non si riempie la bocca di belle parole, non ama le apparenze, il mondo di cristallo dove la Chiesa se ne sta immobile lasciandosi scivolare tutto addosso e limitandosi ad osservare dalla finestra la povertà, il degrado e la miseria che c'è tra le strade. Puglisi è un terremoto che travolge, il suo carisma e il suo coraggio sono implacabili. Molte persone si offrono di tenergli la mano, lo aiutano a racimolare i soldi per costruire una nuova struttura per seguire adolescenti ed anziani. E' un fiore dai petali d'acciaio, non molla, non si piega, dà ai bambini la possibilità di vedere la vita in modo diverso, di conoscere il bene, di avere la stessa dignità. Ai ragazzi serve sentirsi parte di un gruppo, sentirsi accettati da una realtà estranea alla famiglia di origine, perché a Brancaccio le famiglie insegnano che ci si arrangia, chi è più furbo e chi imbroglia ha più consenso. Di mafia bisogna parlare, bisogna conoscerla per combatterla, bisogna fare rumore.

Padre Pino Puglisi non piace alla mafia, è una figura scomoda che sta distruggendo la roccaforte mafiosa, mattone dopo mattone. Si sta impicciando in affari che non lo competono, sta suonando una, dieci, cento, mille campane per risvegliare un quartiere dal torpore, e questo alla mafia non va bene.

Puglisi va rimesso al proprio posto, le sue battaglie vanno fermate, la Chiesa deve tornare nelle sacrestie, i bambini per strada. Va ripristinato il fardello dell'ignoranza. Un colpo alla nuca uccide Padre Pino Puglisi la sera del 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno. Se lo aspettava 3P, come amava farsi chiamare, sapeva di essersi addentrato in un campo minato, di aver iniziato una partita contro un avversario crudele, un avversario spietato che non conosce altro linguaggio oltre a quello della violenza.  Il fiore d'acciaio si è spezzato, ma non si è mai piegato ai voleri della mafia, non ha mai confuso la figura del vero Dio con quella del Dio dei mafiosi. Puglisi ha sempre sostenuto la malvagità della mafia e l'assoluta incompatibilità di questa con il messaggio evangelico.

Come Don Pino Puglisi anche Don Peppe Diana è andato alla ricerca di un'altra Chiesa, di una Chiesa aperta. La vita di Don Peppe è stata un granellino di incenso sull'altare del bene, della giustizia e della conoscenza. Don Peppe ha intrecciato nella conoscenza fede e ragione come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità. Non ha dunque motivo di esistere competitività tra ragione e fede: l'una è nell'altra e ciascuna ha il proprio spazio di realizzazione (Fides et Ratio). L'essenza della vita è racchiusa in un principio estremamente esigente, ma fecondo per l'umanità: il potere dell'Amore per la vittoria della Giustizia. Per don Peppe la Giustizia conta più di ogni altra cosa. Non serve inventare ma imparare a vedere lo stato di cose esistenti; lo smarrimento di alcuni principi nella vita pubblica è allarmante e sconcertante, le dignità colpite sono diffuse. Ci vuole meno solidarietà e più giustizia affinchè un domani tutti possano godere di eguali diritti, senza il ricorso ad opere caritatevoli.

Alla società civile responsabile, alle Chiese, alla persone per bene Don Diana dice di imparare l'amore nella reciprocità e di avere il coraggio di sentirsi inadeguati.

Che serve impegnarsi nella lotta alla camorra e dimenticare i motivi per i quali si è scesi in piazza?

 Don Diana invita a fare comunità, ad essere comunità al plurale, ad avere l'umiltà autentica nel camminare insieme.

Dobbiamo assumerci la responsabilità di un ribaltamento.

La vita di don Peppe è stata un cammino nel solco di cosa è l'educazione ed esiste un forte nesso tra educazione, cittadinanza e partecipazione.

Don Peppe ha spostato l'altare nella strada facendo incontrare il volto umano di Gesù, "il Dio sociale" di Guccini, il "Gesù profondamente umano" di De Andrè, "E ti vengo a cercare" di Battiato.

Ha aiutato gli uomini a comprendere il senso della vita, ha dialogato con culture differenti. Non è importante, infatti, come si declama Dio, ma come Lo si pensa o Lo si vive.

Avv. Sabrina Vitiello

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sabrina vitielloAvv. Sabrina Vitiello (Criminologa) - Profilo e articoli
Contatti: svitiello84@vodafone.it
Sito internet: www.ilvolto.it

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