Pregevole la sentenza n.1049 del 02.09.2014, con la quale il Tar Puglia mette in risalto alcuni importanti principi di diritto

Avv. Francesco Pandolfi         Cassazione e Magistrature Superiori

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Pregevole la sentenza n.1049 del 02.09.2014, con la quale il Tar Puglia mette in risalto alcuni importanti principi di diritto

a) la pretesa al riconoscimento economico dell'equo indennizzo, oltre che degli accessori del relativo credito, va qualificata non come impugnazione di un atto amministrativo, ma come pretesa attinente al riconoscimento di un autonomo diritto soggettivo, la cui tutela è affidata alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo mediante un giudizio sul rapporto teso all'accertamento di detto diritto; 

b) nei casi di concessione di equo indennizzo non si fa luogo a rivalutazione monetaria, perché tale istituto non ha natura retributiva ed è già assistito da un autonomo meccanismo di rivalutazione; 

c) sussiste invece il diritto a vedersi riconoscere gli interessi legali per il ritardo nel pagamento dell'equo indennizzo, a far data dal decreto di concessione del medesimo fino alla data dell'avvenuto versamento delle relative somme;

d) l'equo indennizzo da causa di servizio, per presupposti oggettivi, fatti costitutivi, regime probatorio e disciplina complessiva, è istituto da tenersi completamente distinto dal risarcimento del danno.

Vediamo la fattispecie concretamente esaminata dalla Magistratura.

Con ricorso xxx12, -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS- impugnavano dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale in epigrafe il provvedimento meglio indicato in oggetto; esponevano in fatto di essere rispettivamente moglie e figli di -OMISSIS-, già luogotenente in servizio presso il Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza di B.

In data 2xxxx, il predetto presentava istanza al Reparto Tecnico Logistico della GdF tesa ad ottenere: 1) il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di determinate infermità meglio elencate nella relativa domanda; 2) il riconoscimento dell'aggravamento di altre infermità già riconosciute come dipendenti da causa di servizio; 3) il riconoscimento dell'interdipendenza fra le infermità di cui al punto 1) e i relativi aggravamenti già riconosciuti come causa di servizio ai fini dell'attribuzione di un equo indennizzo.

In data 3xxxx all'esito di "carcinoma pancreatico con metastasi multiple e conseguente coma metabolico, arresto cardio circolatorio ed exitus", -OMISSIS- decedeva.

Con istanza del 1xxxx -OMISSIS-, in qualità di vedova del predetto, chiedeva la concessione di un equo indennizzo per la dipendenza da causa di servizio dell'infermità che aveva condotto alla morte il proprio marito.

La Commissione Medica Ospedaliera, 1 Sezione, presso l'Ospedale Militare di Bari a seguito degli accertamenti sanitari svolti, riconosceva la detta dipendenza da causa di servizio di una serie di patologie accusate dal -OMISSIS- altresì riconoscendo l'avvenuto aggravamento di altre patologie già riconosciute come dipendenti da causa di servizio a decorrere dal 2xxxx.

Con ricorso del 1xxxx8, gli eredi del -OMISSIS-impugnavano tali provvedimenti nella parte in cui non avevano riconosciuto l'intero assetto dell'aggravamento delle patologie dipendenti da causa di servizio per come richiesto.

Con sentenza n. 1113/2010, il Tribunale Amministrativo Regionale in epigrafe annullava il provvedimento in questione nella parte in cui configurava un diniego al riconoscimento dell'equo indennizzo sull'aggravamento delle patologie già riconosciute come dipendenti da causa di servizio, in particolare per l'infermità "stato precacchettico da carcinoma gastrico metastatico".

Con il provvedimento impugnato, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, sulla scorta del parere reso dal Comitato di verifica per le cause di servizio, concedeva equo indennizzo, venendo accertata la correlazione e l'interdipendenza fra lo "stato precacchettico da carcinoma gastrico metastatico" e il "carcinoma pancreatico con metastasi multiple e conseguente coma metabolico, arresto cardio circolatorio ed exitus".

Avverso detto provvedimento, i ricorrenti promuovevano impugnazione sollevando plurimi motivi di gravame.

Evidenziavano, in particolare, la violazione di legge, l'eccesso di potere, il vizio di motivazione e la violazione dell'art. 97 Cost. sotto il profilo del giusto provvedimento, nella parte in cui non aveva riconosciuto in favore dei ricorrenti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sull'importo determinato a titolo di equo indennizzo, a far data dal giorno del decesso del dipendente fino al momento del pagamento.

Instavano, altresì, per la condanna dell'Amministrazione resistente al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli eredi, sia iure proprio che iure hereditatis, per violazione degli artt. 24 e 32 Cost. oltre che dell'art. 2087 c.c.

Con atto di costituzione in giudizio pervenuto in Segreteria in data 22 dicembre 2012, si costituivano in giudizio, a mezzo dell'Avvocatura erariale, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Comando Generale della Guardia di Finanza e il Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza.

In particolare veniva depositata in atti nota della GdF recante relazione degli Uffici e documenti inerenti al caso in esame.

Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, può essere accolto nei limiti delle considerazioni che seguono.

In via preliminare, va precisato che la pretesa al riconoscimento economico dell'equo indennizzo, oltre che degli accessori del relativo credito, va qualificata non come impugnazione di un atto amministrativo, ma come pretesa attinente al riconoscimento di un autonomo diritto soggettivo, la cui tutela è affidata alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo mediante un giudizio sul rapporto teso all'accertamento di detto diritto.

Nel merito della questione sottoposta a scrutinio, per il tramite dell'annullamento del provvedimento impugnato, il ricorso introduttivo mira all'accoglimento di tre specifiche domande: 1) riconoscimento in favore dei ricorrenti degli interessi legali sull'importo determinato a titolo di equo indennizzo; 2) riconoscimento in favore dei ricorrenti della rivalutazione monetaria sul medesimo importo; 3) risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli eredi, sia iure proprio che iure hereditatis.

Quanto alla prima e alla seconda domanda, esse possono essere trattate e decise unitariamente, vertendo entrambe su obbligazioni accessorie di un medesimo credito indennitario.

Come correttamente messo in evidenza dall'Amministrazione resistente, il Consiglio di Stato ha fornito una motivata e condivisibile lettura delle problematiche in esame nella decisione n. 1399/2009, laddove ha evidenziato che "nei casi di concessione di equo indennizzo non si fa luogo a rivalutazione monetaria, perché tale istituto non ha natura retributiva ed è già assistito da un autonomo meccanismo di rivalutazione, in quanto nella determinazione del quantum la p.a. tiene conto del trattamento retributivo del dipendente al momento della definizione del procedimento, laddove spettano, invece, gli interessi compensativi dalla data dell'atto concessorio dell'equo indennizzo a quello dell'effettivo pagamento e, dunque, da quando il relativo credito sia divenuto liquido ed esigibile.  

In senso conforme si veda, altresì, Cons. Stato, Sez. III in sede consultiva, Parere n. 397/2001, Pres. Catallozzi, Est. Monticelli.

Malgrado il meccanismo autonomo di rivalutazione dell'equo indennizzo sia venuto meno per effetto dell'art. 1, comma 27, della Legge 2 dicembre 1994, n. 724, la rivalutazione monetaria resta comunque esclusa dal novero delle obbligazioni accessorie che assistono detto credito, in considerazione della natura indennitaria e non risarcitoria del medesimo.

Essa, in altri termini, costituisce l'attribuzione di una utilità autonoma in considerazione della peculiare meritevolezza degli interessi in gioco, non la riparazione di un fatto illecito causativo di un danno civilisticamente risarcibile.

Invece, sia in base ai noti principi civilistici che in base alla citata decisione del Consiglio di Stato del 2009, sussiste in capo ai ricorrenti il diritto a vedersi riconoscere gli interessi legali per il ritardo nel pagamento dell'equo indennizzo, a far data dal decreto di concessione del medesimo (nel caso di specie, 14.3.2012) e fino alla data dell'avvenuto versamento delle relative somme.

Quanto, poi, alla terza domanda svolta in ricorso, in via preliminare, sul punto, deve osservarsi che l'equo indennizzo da causa di servizio, per presupposti oggettivi, fatti costitutivi, regime probatorio e disciplina complessiva, è istituto da tenersi completamente distinto dal risarcimento del danno.

L'equo indennizzo e il risarcimento del danno (sia esso patrimoniale o non patrimoniale) sono tra loro compatibili e cumulabili, senza che l'importo eventualmente liquidato a titolo di equo indennizzo possa essere detratto da quanto spettante a titolo di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale o extracontrattuale del datore di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2011, n. 365; Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2009; Cons. Stato, Ad. Plen., 8 ottobre 2009, n. 5; Cass. Civ., Sez. III, 27 luglio 2001, n. 10291; Cass. Civ., Sez. III, 5 settembre 2005, n. 17764).

Premesso che l'azione esperita dagli odierni ricorrenti va dunque qualificata come azione di risarcimento del danno non patrimoniale nell'ambito di una fattispecie di responsabilità contrattuale, avendo gli stessi sin dall'atto introduttivo del giudizio dedotto la violazione dell'art. 2087 c.c., si osserva che secondo un consolidato orientamento giuslavoristico, condiviso da questo Collegio, la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. ha natura contrattuale e che la citata disposizione codicistica costituisce una tipica norma di chiusura, la quale obbliga il datore di lavoro a tutelare l'integrità psicofisica dei propri dipendenti imponendogli l'adozione di tutte le misure atte, secondo la migliore scienza ed esperienza in materia di tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione del bene della salute nell'ambiente e in costanza di lavoro anche quando faccia difetto la previsione normativa di una specifica misura preventiva o risultino insufficienti o inadeguate le misure già previste dalla normativa speciale.  

Sul piano processuale, la natura contrattuale dell'obbligo in esame comporta che il riparto degli oneri probatori nella domanda di risarcimento dei danni da malattia contratta sul luogo di lavoro si ponga negli stessi termini dell'art. 1218 c.c. circa l'adempimento delle obbligazioni, sicché il lavoratore, il quale agisca per il risarcimento di tali danni, deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno e il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile, ossia da caso fortuito o forza maggiore, e di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno (v. sul punto, per tutte, Cass. Civ., Sez. lav., 3 agosto 2008, n. 21590).

Nel caso di specie manca la prova del nesso di causalità fra mansioni lavorative espletate dal -OMISSIS-nel corso della sua vita lavorativa e l'insorgenza della patologia "carcinoma pancreatico con metastasi multiple e conseguente coma metabolico" che lo condusse a susseguente "exitus".

L'adibizione del predetto dal 1986 presso una Sezione Meccanografica e, successivamente, presso una Sezione Matricola, nel disimpegno di mansioni essenzialmente di concetto, non appare aver potuto costituire di per sé un assetto lavorativo tale da potersi ricollegare, sia pure con nesso di occasionalità necessaria, all'insorgenza della menzionata patologia o ad alcuna altra infermità successivamente accusata dal -OMISSIS-.

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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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