è sufficiente che la reazione sia determinata dal fatto ingiusto altrui e l'ingiustizia non deve essere valutata con criteri restrittivi
Perché si possa parlare di ingiuria è necessario che si realizzi l'offesa all'onore o al decoro di una persona. Ma è pur vero che l'ingiuria non è punibile se le parole offensive sono pronunciate nello stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui e come immediata reazione.

 
In un caso esaminato dalla Corte di Cassazione (Sentenza 13 novembre 2014, n. 4704) su un uomo convivente della figlia dell'imputato, incombeva un provvedimento del Tribunale dei minori che gli impediva di avere contatti con le figlie della compagna perché il suo atteggiamento turbava la serenità delle piccole.


Nonostante il provvedimento di divieto del Tribunale per i Minorenni l'uomo si era presentato (in compagnia della sua compagna) lì dove si trovavano le bambine che in quel momento erano in compagnia dei nonni e e che al suo arrivo avevano iniziato a piangere. 

L'uomo in realtà, forse proprio per non avere problemi, si fatto accompagnare dai Carabinieri per lasciare effetti personali alle bambine, ma al suo arrivo  si era visto accogliere con parole "poi per te ci penso io, sei una cosa inutile".


L'uomo risentitosi delle offese ricevute presentava querela e dopo una condanna in primo grado veniva assolto in sede di appello, ottenendo il riconoscimento della causa di giustificazione di cui all'art. 599, secondo comma, codice penale dato che sussisteva pur sempre un divieto imposto del Tribunale per i Minorenni che in quel modo era stato violato.


Il caso è poi finito dinanzi alla V Sezione Penale della Cassazione, che ha definitivamente assolto l'imputato perché il fatto non costituisce reato. 

La Corte ha ritenuto corretta l'applicazione dell'esimente di cui al secondo comma dell'art. 599 del codice penale in base al quale non è punibile chi ha commesso i reati di ingiuria e diffamazione nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso.

La peculiarità della sentenza sta nel fatto che secondo la Corte, ai fini dell'applicabilità dell'esimente "è sufficiente che la reazione sia determinata dal fatto ingiusto altrui e l'ingiustizia non deve essere valutata con criteri restrittivi, cioè limitatamente ad un fatto che abbia un'intrinseca illegittimità, ma con criteri più ampi [...] anche cioè quando esso si traduca nell'inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l'ordinaria, civile convivenza". 

Per questo secondo la Corte possono costituire provocazione anche comportamenti "sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati"


La corte ha disatteso l'assunto della persona offesa secondo cui il suo "atteggiamento provocatorio" risulterebbe "escluso, di fatto, per la presenza dei carabinieri, da lui stesso sollecitati nell'accompagnamento e per la mancata interferenza nell'incontro, trovandosi egli a distanza".


Secondo la cassazione infatti l'atteggiamento provocatorio "può ricavarsi anche dalla mera presenza fisica, non accompagnata da azioni particolari, ma che sia in sé idonea a generare un forte turbamento psicologico, connotato da impulsi aggressivi, per le modalità di tempo e di luogo in cui essa risulti avvertita".


Nel caso di specie il fatto di essersi presentato a casa dell'imputato, seppur accompagnato dai carabinieri, è stato avvertito come "fatto ingiusto", perché contrario al provvedimento del Tribunale che gli impediva di avere contatti con le bambine. 

La Cassazione ha insomma allargato i limiti dell'"ingiustizia" del fatto facendovi rientrare anche atti contrari alla civile convivenza o ritenuti dall'uomo comune inappropriati e non solo quelli palesemente sprezzanti.

Per altri dettagli si rimanda al testo integrale della sentenza qui sotto allegato.

Cassazione Penale, testo sentenza 13 novembre 2014, n. 47043

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