Il fatto che un imputato sia incensuato non significa che non sia pericoloso

Il fatto che un imputato sia incensurato non significa che non sia pericoloso dato che la pericolosità può essere desunta dai suoi comportamenti e dagli atti concreti posti in essere che consentono di valutare la personalità di chi ha commesso un reato.

E' quanto afferma la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43130 del 15 ottobre 2014 occupandosi della vicenda di una commercialista nei cui confronti era stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari per aver coperto con le sue attività professionali un cliente accusato di riciclaggio

Per la Suprema Corte è risultata chiara la volontà della professionista di schermare e ripulire il denaro illecito con la sua attività di commercialista, e pur essendo incensurata i domiciliari sono legittimi sia per la gravità indiziaria delle prove acquisite in fase processuale, sia per la possibilità che le prove e i documenti legati al processo venissero inquinati.


La commercialista aveva infatti coperto il riciclaggio di denaro di un suo cliente, monsignor S., simulando delle finte donazioni finanziarie da parte di soggetti terzi e finalizzate all'indebita introduzione di fondi proveniente dai conti IOR del suo cliente e destinati al pagamento di un mutuo riferito a una proprietà immobiliare del prelato. 

Un comportamento perpetuato nel tempo e interrotto solo dal licenziamento della commercialista da parte del nipote del monsignore, giustificato non dal fatto in oggetto, ma dalla possibilità che la donna, insieme al suo compagno, avesse sottratto alcune opere d'arte dalla casa dello zio.


La Corte con la sua sentenza conferma dunque la legittimità della misura cautelare disposta ossia gli arresti domiciliari, con possibilità di comunicare soltanto con i parenti più prossimi: i contatti con l'esterno devono essere proibiti sia per la possibilità di recidiva sia per il possibile tentativo di inquinare prove del processo di riciclaggio di denaro a carico del suo cliente.

Qui sotto il testo della sentenza.

Corte di Cassazione sentenza n. 43130/2014

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