Travolto da una improvvisa crisi di liquidità l'imprenditore decide di non pagare l'IVA e di pagare i dipendenti

Evade il Fisco per la crisi e la Cassazione annulla la condanna inflittagli dalla Corte d'appello di Catania. 

È quanto è accaduto ad un imprenditore siciliano che, travolto da un improvviso problema di liquidità, determinato dal fallimento del suo unico cliente, preferisce versare gli stipendi di Natale ai dipendenti dell'impresa della quale è rappresentante legale anziché l'Iva all'Erario.

Con la sentenza n° 40394 dello scorso 30 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna per mancato versamento dell'Iva inflitta dalla Corte d'appello di Catania all'amministratore di una cooperativa siciliana che aveva come principale committente "una società fallita proprio nell'imminenza della data di scadenza del pagamento delle imposte" e che non aveva potuto fare altro che insinuarsi al passivo del fallimento.

La Suprema Corte, ricordando che occorre sempre "una prova rigorosa" che la violazione della normativa "sia dipesa da un evento decisivo del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto", ha rilevato che la Corte d'appello del capoluogo etneo aveva del tutto trascurato di valutare la situazione specifica alla base del dissesto finanziario della cooperativa, in quanto se è vero, come sentenziato dai giudici di Catania, che "la carenza di mezzi finanziari da cui sarebbe derivata l'impossibilità di versare il tributo non influisce in alcun modo sulla struttura oggettiva del reato", permane in capo alla magistratura "la doverosità di una verifica puntuale circa le caratteristiche della fattispecie concreta giunta all'attenzione dei giudici".

Con la stessa sentenza i magistrati della Cassazione hanno in ogni caso rimarcato all'amministratore della cooperativa insolvente che tuttavia "non è possibile in linea di principio addurre a propria discolpa l'assenza dell'elemento psicologico del reato quando, in presenza di una situazione economica difficile, si decida di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all'Erario".

Nel ricorso per cassazione l'imprenditore aveva criticato la decisione dei giudici d'appello perché avevano ritenuto sussistere l'elemento psicologico del reato sulla base di una considerazione del tutto formale ossia sul rilievo che l'imputato aveva ammesso di essersi visto costretto ad omettere il versamento dell'imposta. In questo modo la Corte d'Appello ha omesso di considerare le ragioni per le quali ciò è avvenuto.

Nella parte motiva della sentenza la Cassazione richiama anche un proprio precedente del 2013 (sentenza n.5905/2013) per ricordare che il tipo di esimente richiesta dall'imputato "è tradizionalmente identificata come la vis major cui resisti non potest, e consiste in quell'evento proveniente dalla natura o da fatto umano, che costituisce una forza maggiore rispetto a quella che può essere esercitata dall'agente. In tal modo, l'evento viene rescisso in modo assoluto dalla condotta dell'agente stesso".

Naturalmente, ricorda la Corte, per invocare la causa di giustificazione della forza maggiore occorre una prova rigorosa sul fatto che la violazione del precetto penale "è dipesa da un evento del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente".

Secondo la Cassazione la decisione dei giudici di merito è errata laddove viene negata rilevanza alla causa di forza maggiore in modo piuttosto sommario.

Dato che la fattispecie in esame caratterizzata da dolo generico (e non specifico come erroneamente indicato dai giudici dell'appello), sarebbe stato necessario un accertamento più pregnante specialmente perché nel caso in esame non viene negata l'evasione ma dedotta la sopravvenienza di un evento estraneo alla volontà dell'agente.

Qui di seguito il testo della sentenza.

Testo sentenza n. 40394 del 30 settembre 2014 Corte di Cassazione

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