Prof. Luigino Sergio 

  • La nascita della dirigenza negli enti locali

Con il d.p.r. 30 giugno 1972, n. 748, Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo nasce giuridicamente la dirigenza pubblica.

Il summenzionato d.p.r. all'art. 1 prevede che le qualifiche dirigenziali sono articolate in: dirigente generale, dirigente superiore, primo dirigente; mentre i compiti dei dirigenti sono riportati nell'art. 2: «direzione, con connessa potestà decisoria, di ampie ripartizioni delle Amministrazioni centrali, dei più importanti uffici periferici e delle maggiori ripartizioni di quelli con circoscrizione non inferiore alla provincia; studio e ricerca; consulenza, progettazione, programmazione; emanazione, in relazione alle direttive generali impartite dal Ministro, di istruzioni e disposizioni per l'applicazione di leggi e regolamenti; propulsione, coordinamento, vigilanza e controllo, al fine di assicurare la legalità, l'imparzialità, l'economicità, la speditezza e la rispondenza al pubblico interesse dell'attività dei dipendenti uffici; partecipazione ad organi collegiali commissioni o comitati operanti in seno alla Amministrazione; rappresentanza dell'Amministrazione e cura degli interessi della medesima presso gli enti e le società sottoposte alla vigilanza dello Stato, nei casi previsti dalla legge».

Il d.p.r. n. 748/1972 agli artt. 7,8,9, specifica le attribuzioni particolari dei dirigenti generali, le attribuzioni particolari dei dirigenti superiori, le attribuzioni particolari dei primi dirigenti ed è applicabile soltanto alla p.a. statale, restando escluso dal suo raggio d'azione tutto il comparto degli enti locali.

Il d.p.r. 25 giugno 1983, n. 347, Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 29 aprile 1983 per il personale dipendente dagli enti locali, è applicabile a tutto il personale dipendente dei Comuni e Province e loro Consorzi, Comunità montane, Aziende di cura, soggiorno e turismo, Università agrarie ed associazioni agrarie e IPAB.

Con il d.p.r. n. 748/1972, All. A2, vennero introdotte nell'ordinamento degli enti locali, sia la prima qualifica funzionale dirigenziale, sia la seconda qualifica funzionale dirigenziale.

La funzione dirigenziale negli enti locali era rivolta ad attuare i programmi di sviluppo economico e sociale in conformità degli indirizzi politico-amministrativi formulati dai competenti organi istituzionali ed erano ritenuti responsabili dell'espletamento delle funzioni loro attribuite nonché del buon andamento e della imparzialità dell'azione degli uffici o delle attività cui sono preposti.

Era confermata per la dirigenza, la responsabilità penale, civile, amministrativa, contabile e disciplinare prevista per l'impiego pubblico.

Successivamente il d.p.r. 8 maggio 1987, n. 268, Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relativo al comparto del personale degli enti locali, applicabile al comparto del personale delle Regioni e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dei Comuni, delle Province, delle Comunità montane, loro Consorzi o associazioni, si sofferma sulla disciplina della dirigenza al Capo VII, artt. 40-47.

L'accesso alla prima qualifica dirigenziale, ai sensi dell'art. 43, avviene «per concorso pubblico o corso-concorso pubblico aperto ai candidati in possesso del prescritto diploma di laurea ed esperienza di servizio adeguatamente documentata di cinque anni cumulabili nella pubblica amministrazione, enti di diritto pubblico, aziende pubbliche e private, in posizioni di lavoro corrispondenti, per contenuto, alle funzioni della qualifica funzionale immediatamente inferiore al posto messo a concorso, ovvero di cinque anni di comprovato esercizio professionale correlato al titolo di studio richiesto con relativa iscrizione all'albo ove necessaria; mentre in base all'art. 40 «i dirigenti espletano le proprie funzioni secondo i principi generali che regolano i compiti della dirigenza nell'ambito delle pubbliche amministrazioni al fine di garantire la piena concordanza dell'azione dell'apparato con gli obiettivi e le scelte degli organi istituzionali».

In seguito, il d.p.r. 3 agosto 1990, n. 333, Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 23 dicembre 1989 concernente il personale del comparto delle Regioni e degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dei Comuni, delle Province, delle Comunità montane, loro Consorzi o associazioni, di cui all'art. 4, d.p.r. 5 marzo 1986, n. 68, disciplina, tra l'altro, la responsabilità per l'esercizio delle funzioni dirigenziali, prevedendo, all'art. 39, comma 1, che «i dirigenti, ferma restando la responsabilità penale, civile, amministrativo-contabile e disciplinare prevista per tutti i dipendenti pubblici, sono responsabili dell'attività svolta dagli uffici cui sono preposti e della gestione delle risorse ad essi demandata» e al comma 2, che «i dirigenti, fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente, sono responsabili, in particolare, dell'osservanza, da parte del personale assegnato dei doveri di ufficio e, in modo specifico, dell'orario di lavoro e degli adempimenti connessi al carico di lavoro a ciascuno assegnato».

  • La figura del dirigente nella legislazione in vigore

La svolta che riguarda una vera e propria centralità della figura dirigenziale nell'ente locale avviene con l'emanazione della L. 8 giugno 1990, n. 142, Ordinamento delle autonomie locali.

La L. n. 142/1990, all'art. 51, assegna ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti e stabilisce un principio fondamentale in base al quale «i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti».

Il "nuovo" dirigente è inserito all'interno di un rinnovato contesto organizzativo orientato alla cosiddetta aziendalizzazione dell'ente locale ovvero alla cultura del risultato più che a quella della procedimentalizzazione dell'attività amministrativa; che tiene in debito conto i principi amministrativi di efficienza, efficacia ed economicità nell'erogazione di servizi offerti ai cittadini e alle imprese.

Ai dirigenti competono «tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall'organo politico», oltre a tutti i doveri previsti dal comma 3, «compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell'ente»; inoltre, come previsto dal comma 4, «i dirigenti sono direttamente responsabili, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa e dell'efficienza della gestione».

Dieci anni dopo l'emanazione della L. n. 142/1990, in seguito modificata dalla L. 15 marzo 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo, viene varato dal Governo il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, che norma la dirigenza e gli incarichi dirigenziali, negli artt. 107-111.

Anche per il d.lgs. n. 267/2000 il dirigente è chiamato ad occupare un ruolo rilevante nell'ente locale di riferimento, ad iniziare da una sorta di riequilibrio del peso del ruolo della politica, possibile proprio in virtù dell'importanza che il legislatore delegato assegna ai dirigenti chiamati ad adottare propri atti di gestione, sulla base degli indirizzi forniti dagli organi di governo dell'ente locale, gravando, altresì sui dirigenti medesimi una specifica responsabilità, in relazione al conseguimento degli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione, oltre ad essere oggetto di apposita valutazione delle prestazioni, relativamente agli obiettivi gestionali conseguiti o meno.

L'ordinamento delinea in questo modo la figura del dirigente-manager, la cui azione è rivolta (lo si ribadisce), più che al rispetto della legittimità (sul presupposto che essa comunque vada rispettata), alla considerazione della cultura del risultato, intimamente connessa al conseguimento degli obiettivi stabiliti dall'ente locale.

Come già previsto dalla L. n. 142/1990, nel d.lgs. n. 267/2000 è confermato un principio cardine della legislazione degli enti locali ovvero quello della separazione delle competenze politico- amministrative (che spettano agli organi di indirizzo, di controllo e di governo dell'ente) da quelle concernenti la gestione amministrativa (che compete ai dirigenti).

Tale dicotomia, indirizzo e controllo da un lato e gestione amministrativa dall'altra, consente il superamento nell'ente locale del cd. modello gerarchico, a tutto vantaggio del modello direzionale, dove il dirigente sceglie il percorso amministrativo ritenuto più idoneo al raggiungimento degli obiettivi che gli sono stati assegnati con il piano esecutivo di gestione, previsto dall'art. 169 TUEL.

Divisioni delle competenze politico amministrative e gestionali, a volte più formali che sostanziali, vista la frequente preminenza della politica sulla gestione; fatto che spesso è fonte di conflitto tra amministratori locali e dirigenti, a tutto detrimento dell'efficacia dell'azione amministrativa nel suo complesso che sovente produce diseconomie e disagi nei confronti del sistema delle imprese e dei cittadini.

Il mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati ai dirigenti oppure l' inosservanza delle direttive del Sindaco, della Giunta o dell'assessore di riferimento o la responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro, comporta la revoca dell'incarico dirigenziale che è conferito «a tempo determinato … con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del Sindaco … ».

Negli enti locali i dirigenti sono oggi inquadrati in un ruolo unico, fatto che supera la precedente distinzione delle figure dirigenziali articolate in due livelli e consente una loro più fluida gestione, una maggiore dinamicità nella gestione di tali risorse umane, potendo comunque l'ente locale graduare il peso di ogni funzione dirigenziale a seconda della complessità dell'incarico dirigenziale assegnato.

3 Gli incarichi a contratto nell'art. 110 del TUEL

Il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, all'art. 28, comma 1, prevede che «l'accesso alla qualifica di dirigente nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo e negli enti pubblici non economici avviene per concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione».

Questa è la regola generale per accedere alla qualifica dirigenziale, accanto alla quale si rinviene una metodologia speciale, prevista dall'art. 110 del d.lgs. n. 267/2000, la quale deve essere utilizzata cum grano salis, poiché altera la regola concorsuale e modifica il principio di buon andamento e di imparzialità dell'azione amministrativa, prevista dall'art. 97, comma 2, della Costituzione, il quale prevede che: «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione».

 

Il conferimento di incarichi dirigenziali ex art. 110 Tuel deve avvenire nel pieno rispetto del principio di trasparenza amministrativa, di cui al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, dall'art. 1 intesa come «accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche»; ai sensi dell'art. 15 del suddetto d.lgs. n. 33/2013, le pp.aa. sono soggette agli obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza e debbono pubblicare e aggiornare le informazioni richieste dall'art. 15, relative ai titolari di incarichi amministrativi di vertice e di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, nonché di collaborazione o consulenza, il tutto al fine di prevenire anche fenomeni di corruzione e di illegalità nell'espletamento dell'azione amministrativa, ai sensi della L. 6 novembre 2012, n. 190, Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione.

 

Si aggiunga che il d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190, riguarda, altresì, i casi d'inconferibilità di incarichi dirigenziali nella p.a.; inconferibilità, definita dall'art. 1, comma 2, lett. g), come la «preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli incarichi previsti dal presente decreto a coloro che abbiano riportato condanne penali per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico».

 

Il d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pp.aa., compresi gli enti locali comprende anche gli incarichi dirigenziali esterni e dispone, all'art. 2, comma 2, che, ai fini di tale disciplina, «al conferimento negli enti locali di incarichi dirigenziali è assimilato quello di funzioni dirigenziali a personale non dirigenziale, nonché di tali incarichi a soggetti con contratto a tempo determinato», ai sensi dell'art. 110, comma 2, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

 

L'art. 3, comma 1, lett. e), prevede che ai soggetti che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, non possono essere attribuiti «incarichi dirigenziali, interni e esterni, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale»; mentre il comma 2, dispone che «ove sia stata inflitta una interdizione temporanea, l'inconferibilità ha la stessa durata dell'interdizione. Negli altri casi l'inconferibilità degli incarichi ha la durata di 5 anni».

 

La situazione di inconferibilità cessa di diritto ove venga pronunciata, per il medesimo reato, sentenza anche non definitiva, di proscioglimento; mentre in base al comma 6, è disposto che «nel caso di condanna, anche non definitiva, per uno dei reati di cui ai commi 2 e 3 nei confronti di un soggetto esterno all'amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico cui è stato conferito uno degli incarichi di cui al comma 1, sono sospesi l'incarico e l'efficacia del contratto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, stipulato con l'amministrazione, l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico. Per tutto il periodo della sospensione non spetta alcun trattamento economico. In entrambi i casi la sospensione ha la stessa durata dell'inconferibilità stabilita nei commi 2 e 3. Fatto salvo il termine finale del contratto, all'esito della sospensione l'amministrazione valuta la persistenza dell'interesse all'esecuzione dell'incarico, anche in relazione al tempo trascorso».

 

È del tutto evidente come la disciplina del d.lgs. n. 39/2013 riguardi i dirigenti a contratto degli enti locali, i quali, (lo si ribadisce) anche nel caso di condanna non definitiva per i reati specificatamente previsti dalla legge sono sospesi dall'incarico.

 

Cosa accade, invece, qualora un dirigente sia stato colpito da sentenza di condanna anche non definitiva con pena sospesa e non menzione nel casellario giudiziario?

A tal proposito l'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) con orientamento n. 54/2014 ha precisato che «non rileva ai fini dell'inconferibilità di incarichi in caso di condanna, anche non definitiva, per reati contro la pubblica amministrazione, ex art. 3 del d.lgs. n. 39/2013, la concessione della sospensione condizionale della pena (Corte Cost., 31 marzo 1994, n. 118; Corte Cost., 3 giugno 1999, n. 206)».

 

Nel merito, si rileva che sulla base di specifico quesito rivolto all'ANAC in ordine all'applicazione dell'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 da parte del Comune di Martignano (LE), nel caso di condanna in primo grado per abuso d' ufficio di un dipendente responsabile di servizio (art. 109 TUEL), pena sospesa e non menzione nel casellario giudiziario, ancora senza risposta puntuale, la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (ANC, prot. rif. 5701/2013), nella seduta del 16 ottobre, «ritenendo che la soluzione dei problemi delineati non può prescindere da una interpretazione generale, ai sensi delle modifiche introdotte all'art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 39/2013, ha deciso di trasmettere la nota al Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione, perché valuti l'opportunità di tenere eventualmente conto in sede di adozione delle direttive e delle circolari concernenti l'interpretazione e l'applicazione delle disposizioni del suindicato decreto».

 

Ciò detto, è necessario precisare che l'Orientamento dell'ANAC è privo di valore vincolante, potendo assumere esso un valore meramente consultivo, pur se assai autorevole, ragione per la quale occorre approfondire, al fine della verifica della obbligatorietà o meno di ricorrere alla inconferibilità/revoca dell'incarico dirigenziale, nel caso di condanna non definitiva, ma con sospensione della pena e non menzione nel casellario giudiziario, anche in virtù dell'eliminazione di eventuali contenziosi tra il dirigente interessato e l'ente locale che agisce in applicazione pedissequa dell'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013.

 

A tal proposito l'art. 166, comma 2, c.p., rubricato effetti della sospensione, dispone che «la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa».

 

È di conseguenza da ritenersi che l'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013, in combinato disposto con l'art. 166 c.p. non implichi alcun effetto ostativo al conferimento di incarichi dirigenziali, in caso di condanna anche non definitiva per abuso d'ufficio, ex art. 323 c.p., a pena condizionalmente sospesa, poiché l'art. 166 c.p. fa salvi i casi previsti in maniera specifica dalla legge, tra i quali non rientrano le ipotesi previste dall'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 che non prevede in maniera espressa una deroga all'art. 166 c.p..

 

È del tutto condivisibile quanto asserito dalla dottrina (VIVARELLI M.G. in www.entilocali.leggiditalia.it, parere del 30 luglio 2013): «a tal proposito, infatti, si consideri che quando il Legislatore ha inteso derogare al principio espresso dall'art. 166 codice penale, lo ha fatto espressamente. Così, ad esempio, in materia di effetti ostativi all'elettorato, la Cass. civ. Sez. I, 01-12-2011, n. 25732 ha stabilito che «la pena accessoria della privazione dei diritti elettorali, conseguente alla commissione del delitto di turbativa delle elezioni politiche ed amministrative, rimane efficace anche quando sia stata disposta la sospensione condizionale della pena detentiva inflitta, atteso che il principio dell'estensione del beneficio alla pena accessoria, stabilito in via generale nell'art. 166 codice penale, è stato espressamente derogato, con riferimento ai reati elettorali, dall'art. 2, comma secondo, del d.p.r. 20 marzo 1967, n. 223, come sostituito dall' art. 1 della Legge 16 gennaio 1992, n. 15 ai sensi del quale "la sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini della privazione del diritto di elettorato"».

 

In conclusione si ritiene che possono conferirsi incarichi dirigenziali interni ed esterni,in caso di condanna anche non definitiva per abuso d'ufficio, a pena sospesa in via condizionale.

 

Il TUEL, di cui al d.lgs. n. 267/2000, disciplina gli incarichi a contratto all'art. 110 che prevede tre possibilità di ricorrere ad incarichi ad esterni:

  • comma 1, incarichi a termine per la copertura di posti di funzione dirigenziale previsti in dotazione organica;

  • comma 2, incarichi di funzioni dirigenziali o di alta specializzazione al di fuori della dotazione organica;

  • comma 6, incarichi di collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità.

a) Per ciò che riguarda gli incarichi a termine per la copertura di posti di funzione dirigenziale previsti in dotazione organica l'art. 110, comma 1, del TUEL annuncia la possibilità che lo statuto dell'ente contenga la previsione che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato; dunque contratto a tempo, con previsione di un limite temporale minimo e di uno massimo.

 

È demandata al regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi la definizione, per i posti di qualifica dirigenziale o di alta specializzazione, della quota degli stessi attribuibile mediante contratti a tempo determinato che non potrà essere superiore al trenta per cento dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e inferiore ad una unità.

 

In passato, la L. n. 142/1990, all'art. 51, comma 6, prevedeva che «lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire».

 

Ciò stava a significare che la stipulazione di un contratto di diritto pubblico implicasse l'applicazione delle norme di diritto pubblico tanto per le modalità di reclutamento del dirigente, quanto per la disciplina del rapporto di lavoro.

Se il rapporto di lavoro fosse di diritto privato, ciò stava a significare che il rapporto di lavoro dovesse essere disciplinato esclusivamente dal codice civile e dal contratto individuale.

Nel caso di assunzione con contratto di diritto pubblico, essa doveva avvenire soltanto per concorso pubblico; mentre gli enti locali qualora avessero inteso assumere un dirigente con contratto di diritto privato, l'ente locale avrebbe potuto forme di reclutamento diverse, all'interno della propria capacità negoziale di diritto privato.

Secondo parte della giurisprudenza contabile, la differenza tra contratti di diritto pubblico e di diritto privato sussisterebbe ancora.

Ad avviso della Corte dei Conti (deliberazione sezione regionale di controllo della Toscana, 20 dicembre 2011, n. 519) i limiti percentuali discendenti dall'articolo 19, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 non si riferirebbero al caso dell'assunzione di dirigenti a contratto assunti con «contratto di diritto pubblico». Pertanto i giudici contabili ritengono che «nell'ambito della normativa locale possa essere regolata la disciplina del conferimento di incarichi dirigenziali mediante contratto di diritto pubblico, rispettando i limiti sanciti dal citato art. 110 TUEL e delle altre spese che impongono limitazioni agli enti locali in tema di personale».

Di conseguenza, a parere della Corte dei Conti, i limiti percentuali riguardano solo i contratti di diritto privato; mentre qualora il rapporto di lavoro ex art. 110 TUEL non derivi da contratti di diritto privato, bensì pubblico si potrebbe ipotizzare la non applicazione dell'articolo 19, comma 6, e dei suoi tetti agli incarichi a contratto.

A ben vedere si è in presenza di una tesi infondata, in quanto l'articolo 2, comma 2, primo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, prevede che «i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni delcapo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo» e il primo periodo del successivo comma 3 del medesimo articolo: «i rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2, sono regolati contrattualmente».

Così come previsto dall'art. 3 del testo unico sul pubblico impiego e con la sola eccezione di alcuni rapporti di lavoro, tutti gli altri sono regolati da un contratto e sono, pertanto, tutti contratti «di diritto privato», in quanto la loro fonte di costituzione e di regolazione è privatistica e non pubblicistica.

Ora tale dicotomia (contratti di diritto pubblico e contratti di diritto privato) è superata dal nuovo art. 110 del d.lgs. n. 267/2000 che, anche in relazione alla sostanziale privatizzazione del rapporto di lavoro negli enti locali, non fa più alcun riferimento al contratto di diritto pubblico, prevedendo, al comma 1, solo che « … la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato … ».

Per poter coprire i posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione occorre una previsione statutaria assieme all'ulteriore vincolo del regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi nel quale, per i posti di qualifica dirigenziale, va definita «la quota degli stessi attribuibile mediante contratti a tempo determinato, comunque in misura non superiore al 30 per cento dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno una unità».

Il soggetto da incaricare attraverso contratto come dirigente deve essere in possesso dei requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire e va individuato ricorrendo a selezione pubblica, «volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell'incarico».

b) L'ente locale in cui è prevista la dirigenza, può stipulare contratti a tempo determinato, al di fuori della dotazione organica, per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, i cui limiti, criteri e modalità con cui i contratti possono essere stipulati debbono essere stabiliti dal regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi.

Il comma 2 prevede un contingentamento della stipula di contratti ex art 110 TUEL che non possono essere superiori al 5 per cento del totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva e comunque per almeno un'unità.

Negli enti locali ove non è prevista la dirigenza, il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell'area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, ma «solo in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno dell'ente».

Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento della dotazione organica dell'ente locale interessato, arrotondando il prodotto all'unità superiore o ad una unità negli enti con una dotazione organica inferiore alle 20 unità.

Il comma 3 dispone in merito alla durata dei contratti ex art. 110 TUEL, prevedendo che essi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del Sindaco.

In caso di prematura cessazione del mandato sindacale (ad es. per sfiducia ex art. 52 TUEL o per dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza o decesso del Sindaco ex art. 53 TUEL) si discute in merito alla cessazione o meno dall'incarico dirigenziale ex art. 110 TUEL; se cioè il contratto cessi automaticamente qualora si verifichino le fattispecie giuridiche previste dagli art.. 52 e 53 del TUEL oppure esso possa continuare ad espletare i suoi effetti, interpretando il disposto dell'art. 3 del TUEL «i contratti ex art. 110 TUEL … non possono avere durata superiore al mandato elettivo del Sindaco», come se il termine finale possa fare riferimento alla scadenza naturale della mandato sindacale.

È da condividere l'interpretazione restrittiva e cioè che la durata dell'incarico dirigenziale ex art. 110 TUEL faccia riferimento non tanto alla scadenza naturale, quanto al termine sostanziale e concreto del mandato del Sindaco che può essere anticipato rispetto a quello naturale.

Tale evenienza della cessazione anticipata della funzione sindacale può essere tenuta in debita considerazione in sede di sottoscrizione del contratto dirigenziale, il cui contenuto può prevedere forme di indennizzo finanziario in favore del dirigente de quo.

Il trattamento economico da corrispondere al dirigente, inoltre, può essere integrato, con provvedimento motivato della Giunta, da una indennità ad personam, commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale, tenuto conto della temporaneità del rapporto e delle competenze professionali.

Il contratto a tempo determinato è risolto di diritto nel caso in cui l'ente locale dichiari il dissesto o venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie; mentre per il periodo di durata degli incarichi di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 110 TUEL, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio.

c) Per obiettivi determinati e con Convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità, così come previsto dal comma 6.

 

Secondo la giurisprudenza contabile (Corte dei Conti regione Toscana, 3 ottobre 2011, n. 363) qualora per accedere a una qualifica o ad una funzione siano richiesti requisiti di altaprofessionalità o di elevato livello culturale che presuppongano il possesso del diploma di laurea, l'assenza di tale titolo comporta l'illegittimità della nomina ed è causa di danno erariale, in quanto si determina uno squilibrio tra gli emolumenti erogati all'interessato e la minore capacità professionale messa a disposizione dell'amministrazione (nella specie, il direttore generale di un Comune, equiparato, quanto al possesso del diploma di laurea, alla dirigenza statale, era stato nominato malgrado non fosse laureato e non disponesse dell'esperienza richiesta, avendo svolto in precedenza soltanto incarichi di natura politica).

4 Il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni ex art. 19 del d.lgs. n. 165/2001 e il rapporto con l'art. 110 del TUEL

Sino alla riforma Brunetta, di cui al d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, l'ordinamento faceva pacificamente convivere l'art. 110 TUEL e l'art. 19 del d.lgs. n. 165/2001.

Con l'emanazione del decreto delegato Brunetta, l'art. 74 del d.lgs. n. 150/2009, ha previsto che una serie di articoli del suddetto decreto «costituiscono principi generali dell'ordinamento ai quali si adeguano le Regioni e gli enti locali, anche con riferimento agli enti del Servizio sanitario nazionale, negli ambiti di rispettiva competenza».

Ciò apre una questione interpretativa sulla sopravvivenza o meno nell'ordinamento dell'art. 110 del TUEL, visto che tanto l'art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, quanto l'art. 110 del TUEL, riguardano gli incarichi di funzioni dirigenziali.

L'art. 19 prevede che ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si debba tenere conto «delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all'estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell'incarico»; stabilisce, inoltre, i limiti percentuali d'assunzione in base alla dotazione organica; prevede che tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.

Le fonti normative in corso di esame (art. 110 TUEL e art. 19 d.lgs. n. 165/2001) sono di pari rango e tra le stesse è problematico individuare un rapporto di specialità; semmai le due norme impongono un rapporto d'integrazione.

La Giurisprudenza contabile ha escluso che la normativa sul pubblico impiego, possa aver abrogato l'autonomia statutaria e regolamentare degli enti locali, anche con riguardo al conferimento di incarichi dirigenziali ed era pervenuta alla conclusione che le disposizioni contenute nell'art. 19, commi 6 e 6-bis del d.lgs. n. 165/2001 fossero direttamente applicabili agli enti locali territoriali; ma contemporaneamente, l'art. 110, comma 1, TUEL, per ciò che attiene al conferimento degli incarichi dirigenziali a contratto, salvava l'autonomia statutaria e organizzativa riconosciuta agli enti locali territoriali.

Con l'abrogazione espressa del comma 6-quater del d.lgs. n. 165/2001 e contestuale modifica del primo comma dell'art. 110 TUEL, ai fini dell'individuazione della capacità di assunzioni dell'ente locale che intende instaurare un rapporto di lavoro dirigenziale a tempo determinato, trovano diretta applicazione i limiti percentuali previsti dall'art. 110, primo comma come novellato dal dl n. 90/2014.

Se però l'art. 110, comma 1, del TUEL supera la questione interpretativa concernente l'individuazione del limite alla capacità d'assunzione dell'ente locale in rapporto alla dotazione organica dirigenziale, esso non supera l'ulteriore questione, inerente la corretta individuazione del rapporto tra i limiti delle assunzioni fissati in relazione alla dotazione organica e i vincoli di finanza pubblica stabiliti per gli enti locali in materia di assunzioni.



È inoltre necessario operare una precisazione e in relazione alla livelli di spesa per contratti, ai sensi dell'art. 110, comma 1, TUEL fra incarichi «dirigenziali», di «responsabile degli uffici e dei servizi» e di «alta specializzazione», specificando che solo i primi, ovvero gli incarichi di dirigente conferiti ai sensi dell'art. 110, comma 1, TUEL, sono esclusi dal limite, di carattere finanziario, stabilito dall'art.9, comma 28, del d.l. n. 78/2010; mentre, di converso, agli incarichi di responsabili dei servizi e degli uffici e a quelli di alta specializzazione, eventualmente conferiti sempre ai sensi dell'art. 110, comma 1 del TUEL si applica anche la disciplina restrittiva di carattere finanziario, per le assunzioni a tempo determinato.

A pare della Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale, delibera, del 4 febbraio 2014, n. 35, «bisogna distinguere, ai fini della spesa per contratti ex art. 110, comma 1, TUEL fra incarichi "dirigenziali", di "responsabile degli uffici e dei servizi" e di "alta specializzazione".

Infatti, i soli incarichi dirigenziali, conferiti ai sensi dell'art. 110, comma 1, TUEL (e dell'art. 19, comma 6 quater, del d.lgs. n. 165/2001, sono esclusi dal limite, di carattere finanziario, posto dall'art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010 (e assoggettati al rispetto dei contingenti numerici previsti dalle specifiche norme legittimanti il conferimento), mentre agli incarichi di responsabili dei servizi e degli uffici ed a quelli di alta specializzazione (conferibili anch'essi in virtù del comma 1 TUEL) si applica anche la disciplina limitativa, di carattere finanziario, posta, dal 2012, per le assunzioni a tempo determinato.

Medesimo ragionamento deve farsi per gli incarichi extra dotazione organica, conferibili ai sensi dell'art. 110, comma 2, del TUEL, non oggetto di disciplina nell'art. 19, comma 6 quater, del d.lgs. n. 165/2001 (né nella citata deliberazione della Sezione delle Autonomie). In tale direzione muovono le deliberazioni della Sezione per il Veneto n. 581/2012/PAR e n. 582/2012/PAR».

 

Il d.l. 24 giugno 2014 n. 90, Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, intende operare nel senso del ricambio generazionale della p.a. e di conseguenza, all'art. 6 fa divieto di conferire a soggetti in quiescenza, «incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101. Incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione».

 

 

5 La durata degli incarichi ai sensi dell'art. 110 TUEL secondo la Corte di Cassazione

Per ciò che attiene la categoria della durata del rapporto di lavoro concernente i dirigenti, occorre ribadire che quando il contratto dirigenziale a tempo determinato è stipulato con un ente locale, rileva tanto l'art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, il quale dispone che «la durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 [gli incarichi di Segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente] e 4 [gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale] il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni, quanto l'art. 110, comma 3, del TUEL il quale dispone che «i contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del Sindaco …».

Ciò detto, qualora si prediliga l'orientamento per la prevalenza della norma contenuta nel d.lgs. n. 165/2001, si deve pervenire alla conclusione che, la durata dell'incarico dirigenziale negli enti locali non possa comunque essere inferiore a tre anni, né essere superiore al termine di cinque anni; se, al contrario, si ritiene che prevalga la disciplina contenuta nell'ordinamento degli enti locali si deve pervenire alla conclusione che il rapporto di lavoro cessi con la scadenza del mandato elettivo del Sindaco.

La Suprema Corte, nella sua funzione nomofilattica, ovvero di uniforme interpretazione della legge, ha aderito al primo orientamento e con la sentenza 13 gennaio 2014, n. 478 che poneva fine ad un contenzioso tra un dirigente amministrativo e il Comune di Oristano, ha formulato il seguente principio di diritto: «in tema di affidamento, negli enti locali, di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all'amministrazione si applica l'art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo modificato dall'art. 14 sexies d.l. n. 155 del 2005, convertito con modificazioni nella L. n. 168 del 2005, secondo cui la durata di tali incarichi non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque, e non già l'art. 110, comma 3, d.lgs. n. 267 del 2000 (T.U. enti locali), il quale stabilisce che gli incarichi a contratto non possono avere durata superiore al mandato elettivo del Sindaco in carica. La disciplina statale integra quella degli enti locali: la prima, con la predeterminazione della durata minima dell'incarico, è volta ad evitare il conferimento di incarichi troppo brevi ed a consentire al dirigente di esercitare il mandato per un tempo sufficiente ad esprimere le sue capacità ed a conseguire i risultati per i quali l'incarico gli è stato affidato; la seconda ha la funzione di fornire al Sindaco uno strumento per affidare incarichi di rilievo sulla base dell'intuitus personae, anche al di fuori di un rapporto di dipendenza stabile e oltre le dotazioni organiche, e di garantire la collaborazione del funzionario incaricato per tutto il periodo del mandato del Sindaco, fermo restando il rispetto del suddetto termine minimo nell'ipotesi di cessazione di tale mandato».

La Corte di Cassazione rileva, altresì, che «il carattere fiduciario che connota il suddetto rapporto non si pone in contrasto con la previsione di un termine minimo di durata, in quanto proprio perché è rimessa alla discrezionalità del capo dell'Amministrazione la scelta del soggetto cui affidare le rilevanti funzioni dirigenziali, si vuole garantire la collaborazione del funzionario incaricato per tutto il periodo di mandato del sindaco, fermo restando il rispetto del suddetto termine minimo nell'ipotesi di cessazione di tale mandato» e che il soggetto incaricato ha diritto ad essere reintegrato, al fine del completamento del termine minimo di durata (tre anni) anche qualora in cui vi sia stato rinnovo dell'organo politico.

I giudici della Corte di Cassazione motivano la propria decisione anche, in base alla considerazione che essa è aderente ai principi enunciati dal giudice delle leggi con la sentenza n. 324/2010 laddove, la Corte Costituzionale, ha stabilito che l'art. 19, d.lgs. n. 165/2001 è applicabile agli enti locali, in base all'art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 150/2009 e di conseguenza è applicabile anche il comma 6-ter che definisce la durata degli incarichi.

Lecce 31 agosto 2014 Prof. Luigino SERGIO (già Direttore Generale della Provincia di Lecce)


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