Se non è completo il cambio di sesso non può essere registrato allo stato civile. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma con sentenza n. 34525 del 18 luglio scorso, rigettando il ricorso di un uomo il quale, manifestando sin dall'infanzia, una natura psicologica e comportamentale tipicamente femminile che l'aveva portato ad adeguare il suo aspetto fisico alla figura muliebre con svariate terapie ormonali e intervento chirurgico di mammoplastica additiva, chiedeva, ai sensi degli artt. 2 e 3 l. n. 164/1982, la rettifica degli atti dello stato civile in relazione al sesso da maschile a femminile e il cambio del nome.

Secondo la Corte romana, né il mero disturbo d'identità di genere diagnosticato in capo al soggetto, nè la terapia ormonale e il trattamento di mammoplastica, infatti, sono sufficienti a ritenere perfezionato dal punto di vista fisico l'adeguamento dei caratteri sessuali del ricorrente.

Per il Tribunale di Roma, infatti, la norma è chiara. Anche se non è più necessaria, a seguito della disposta abrogazione dell'art. 3 della l. n. 164/1982 per effetto dell'entrata in vigore del d. lgs. n. 150/2011, la preventiva autorizzazione da parte del Tribunale dell'intervento medico chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali da un genere all'altro, in ogni caso immutata è rimasta la previsione contenuta nell'art. 1 della stessa legge secondo la quale "la rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali".

Pertanto, dalla lettura della disposizione non può dubitarsi che l'intervenuto adeguamento dei caratteri sessuali, con o senza la previa autorizzazione giudiziale, costituisca il presupposto applicativo della rettifica dell'identità sessuale figurante negli atti dello stato civile. E poiché, si legge nella sentenza "l'identità sessuale è necessariamente collegata imprescindibilmente all'astratta capacità riproduttiva di genere, è evidente che è soltanto per effetto dell'avvenuta modificazione della struttura anatomica del soggetto con l'eliminazione quanto meno degli organi riproduttivi che può ritenersi verificata la richiesta condizione dell'azione".

In altri termini, sebbene non sia necessaria la ricostruzione degli organi genitali femminili, che assolve di per sé a mere finalità estetiche e non funzionali, nell'ipotesi di trasformazione da uomo a donna, per la Corte, "non può tuttavia prescindersi dall'intervenuta asportazione degli organi riproduttivi che per una persona di sesso maschile, quand'anche si possa prescindere dalla completa asportazione o trasformazione del pene in vagina, comporta in ogni caso la rimozione dei testicoli o almeno l'interruzione delle vie riproduttive (ovverosia dei cd. "dotti deferenti" veicolanti gli spermatozoi) attraverso l'intervento di vasectomia".

Laddove, invece, nulla di tutto ciò sia stato effettuato, come nel caso di specie, considerato che il soggetto si è limitato ad un intervento di tipo additivo, per l'acquisizione di una caratteristica femminile come il seno, ha concluso la Corte, non può ritenersi verificato l'adeguamento dei caratteri sessuali richiesto dalla norma, "finalizzata a consentire, con il dovuto bilanciamento dell'identità anatomica, anagrafica e psichica, la compiuta realizzazione della personalità del richiedente". 


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