di Paolo M. Storani - Patrocinata dalla cara, bravissima Avv. Alessandra Gracis, la causa civile partita dal Tribunale di Treviso, transitata dalla Corte d'Appello veneziana, che ha originato la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III, 11 luglio 2014, n. 15909, merita un'attenta riflessione da parte dei visitatori di LIA Law In Action.

La Corte distrettuale, con pronuncia del 2 agosto 2007, antecedente, quindi, alle famose quattro gemelle n. 26972 e seguenti dell'11 novembre 2008, respinse la domanda mirante al riconoscimento dell'esistenza di un danno da lucro cessante per la morte di un bimbo di neppure tre anni a seguito di un tristissimo caso di malasanità ospedaliera addebitabile ad una pediatra appartenente all'USL di Treviso, ambedue coinvolte nell'azione insieme alle varie Compagnie assicurative, Ras, Fondiaria ed Assitalia S.p.A.

Il bimbo patí una prolungata carenza di ossigeno.

La giovanissima età del bambino, l'assenza di una qualsiasi possibilità di conoscere le sue inclinazioni lavorative ed il suo carattere rendeva, secondo la Corte veneziana, impossibile affermare, anche in via presuntiva, che egli, una volta cresciuto, avrebbe contribuito alla vita familiare, sicché non era possibile determinare l'effettiva sussistenza di un pregiudizio di tipo patrimoniale.

Adìta con ricorso per cassazione la Suprema Corte riteneva la pronuncia resistente alle critiche dei congiunti del piccino, genitori e sorella.

Questo è quanto si legge al punto 1.1. della sentenza redatta dal Cons. Francesco Maria Cirillo sotto la presidenza di Angelo Spirito, con il Dott. Marco Rossetti componente del Collegio unitamente a Paolo D'Amico e Danilo Sestini:

"La giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni affermato che i genitori di un minore che sia morto in conseguenza di un fatto illecito sono potenzialmente titolari di un diritto al risarcimento del danno che deriva dalla lesione di un'aspettativa alla produzione di un reddito futuro; ciò in quanto può ritenersi, ragionando in astratto, che il minore, una volta divenuto maggiorenne, avrebbe in qualche misura contribuito ai redditi della famiglia.

Trattandosi, però, di un diritto non automatico, si è detto che i genitori, per dare prova della frustrazione di quell'aspettativa, hanno l'onere di ALLEGARE e DIMOSTRARE che il figlio deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia.

A tal fine la previsione va operata sulla base di criteri ragionevolmente probabilistici, non già in via astrattamente ipotetica, ma alla luce delle circostanze del caso concreto, conferendo rilievo alla condizione economica dei genitori sopravvissuti, alla età loro e del defunto, alla prevedibile entità del reddito di costui, dovendosi escludere che sia sufficiente la sola circostanza che il figlio deceduto avrebbe goduto di un reddito proprio (sentenze 3 maggio 2004, n. 8333, 28 agosto 2007, n. 18177, 27 aprile 2010, n. 10074, 11 maggio 2012, n. 7272); la relativa prova può essere data anche tramite presunzioni (sentenza 14 febbraio 2007, n. 3260).

Nel caso specifico la Corte d'Appello, con una valutazione di merito correttamente argomentata e priva di vizi logici, ha ritenuto che, in considerazione della giovanissima età della vittima (tre anni), non fosse possibile compiere alcuna valutazione presuntiva che non corresse il rischio di essere arbitraria.

Ha motivato tale decisione, ricordando che non era possibile prevedere né quali sarebbero state le inclinazioni del figlio, né la sua disponibilità ad aiutare i genitori, né, tantomeno, quale sarebbe stata la valutazione squisitamente di merito sulla quale questa Corte non ha motivo di intervenire, trattandosi, appunto, di decisione argomentata correttamente".

Ricorda ancora la S.C. nella chiusa del punto 1. che:

"È vero che i genitori hanno sempre dichiarato di svolgere un'attività di ristorazione (pizzeria), sostenendo che ciò poteva da solo essere sufficiente a dimostrare che il piccolo, una volta divenuto adulto, avrebbe aiutato tale attività, collaborando al menage domestico.

Ma ciò non può essere sufficiente, perché la valutazione prognostica che si chiede al giudice rischierebbe davvero di diventare, in una simile ipotesi, piuttosto una profezia che non una ragionevole previsione; né si può dire che il figlio di un ristoratore sarà, per ciò stesso, ristoratore anch'egli".

Ho voluto estrapolare un filamento di questa pronuncia, ma la discussione potrebbe proseguire su altri aspetti.

Per il momento mi farebbe piacere se i nostri lettori esprimessero le loro considerazioni in ordine al tema qui trattato.

Altri articoli di Paolo Storani | Law In Action | Diritti e Parole | MEDIAevo | Posta e risposta

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: