Ai tempi della grande riforma del diritto di famiglia, negli anni '70 del secolo scorso, il Legislatore cercava di mantenersi in equilibrio fra il tradizionale principio della minima intromissione nei rapporti coniugali (accolto dal codice del '42 e ben espresso dal detto popolare "fra moglie e marito non mettere il dito") e le più liberali istanze che emergevano dalla società dell'epoca - come il principio della parità fra i coniugi e lo svincolamento della legge dai valori della morale arcaica e patriarcale, dagli antichi retaggi maschilisti. Ne venne fuori una ri-disciplina ponderata e allo stesso tempo rivoluzionaria dei rapporti matrimoniali, punteggiata (finalmente!) dall'istituto del divorzio


Alla luce di questa premessa, per cui nulla valgono le tradizionali convinzioni sulla "purezza" della sposa, non suona strana la posizione espressa dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 18073/14, che dice No all'addebito della separazione alla moglie che era stata 'vivace' prima del matrimonio. Più precisamente, i Giudici di Legittimità hanno ritenuto infondata la pretesa di Tizio di imputare il deterioramento della relazione coniugale al fatto che la moglie Caia gli avesse taciuto le sue avventure pre-matrimoniali.

A parere della Corte, non può infatti ravvisarsi in tale condotta di Caia alcuna violazione dei doveri di "lealtà, fedeltà e sincerità" che la Legge impone ai coniugi (tutti e due), risalendo i fatti taciuti a un tempo in cui codesti erano entrambi liberi.


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