In tema di revocatoria fallimentare la prova della consapevolezza di arrecare pregiudizio può essere data anche con presunzioni e si può desumere dal grado di parentela.

È quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17821/2014.

Nel caso di specie era stata chiesta la revocatoria di un atto di compravendita compiuto nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento quando erano state già presentate istanze fallimentari.

La richiesta veniva fatta ai sensi dell'articolo 67 secondo comma della legge fallimentare .

L'azione veniva proposta evidenziando la malafede degli acquirenti che erano figli del legale rappresentante della società che aveva alienato il bene.

Proprio tale rapporto di parentela doveva far presumere che vi fosse la consapevolezza del pregiudizio che tali atti avrebbero arrecato alle ragioni dei creditori.

Nella parte motiva della sentenza la Corte di Cassazione ricorda anche che per costante giurisprudenza il curatore fallimentare che intende promuovere l'azione revocatoria ordinaria, per dimostrare la sussistenza dell'evento danno deve provare tre circostanze: la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell'atto pregiudizievole; il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto.

Sempre in tema di valutazione delle prove la Cassazione ricorda infine che ai fini della revocatoria, il giudice può "trarre elementi di prova dalla relazione del curatore, la quale, per la finalità assegnatagli dalla legge di fornire ogni più ampio elemento di valutazione su tutto ciò che possa interessare la procedura concorsuale, costituisce una legittima fonte di informazione".

Qui di seguito il testo integrale della sentenza.

Testo sentenza Cassazione 17821/2014

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