MEDIAevo n. 34 una rubrica di Paolo M. Storani - (SECONDA PARTE) Il nostro viaggio nel mistero Pantani è cominciato appena ieri e già soltanto a tornare a parlare dell'inchiesta e dei molti filoni investigativi pare che il Pirata di Cesenatico possa avere in restituzione la dignità che molti gli rubarono, dipingendo una persona tenera e fragile che avrebbe avuto bisogno di aiuto a mo' di criminale dissoluto.

Dissento categoricamente dall'opinione scettica del ciclista che ha appena vinto, iscrivendo il suo nome nell'albo d'oro dopo Felice Gimondi e Marco Pantani, il Tour de France.

Vincenzo Nibali sostiene: "non credo che faccia bene al ciclismo tornare a parlare della morte di Marco" (La Repubblica del 3 agosto 2014, pag. 14).

No, non ci siamo proprio! 

È giusto e doveroso che si faccia pienamente luce, anche a distanza di più di un decennio da quello sciagurato giorno di San Valentino 2004, sulle ultime giornate di vita del campione romagnolo che, pur senza vincere tantissimo, più ha impersonato il ciclismo vero, quello di Bartali, Coppi e Merckx.

L'aedo Gianni Mura su "Tanti amori", edito da Feltrinelli nel maggio 2013, a pag. 126: "le emozioni che dava non sono cancellabili da un giudizio etico, è innegabile che quando faceva i suoi numeri in salita c'era più di mezza Italia - donne comprese -, davanti alla televisione.

Ma per Pantani impazzivano anche i francesi, i belgi, i lussemburghesi, e questo vuol dire che esiste un 'esperanto dello sforzo'.

Rivedendo molti arrivi di Pantani ci si accorge che non dà nessun segno di felicità, ma quasi sempre si stanchezza o di sofferenza.

A volte non ha neanche le mani alzate al traguardo, una cosa che ai ciclisti piace fare.

'Vado forte in salita per abbreviare la mia agonia', diceva, e non è una cosa semplice da dire".

Marco ha fatto innamorare al ciclismo milioni di appassionati sportivi e la dichiarazione di Nibali va annoverata tra le voci prive di significato.

L'inchiesta eseguita dalla polizia in soli 55 giorni, coordinata dal PM Paolo Gengarelli, non può definirsi completa. 

"Non molti sono persuasi del fatto che Pantani sia stato ucciso, ma tutti concordano sul fatto che la prima indagine ...sia stata condotta superficialmente" ha scritto il 3 agosto 2014 sul Fatto Quotidiano, pag. 15), Alessio Schiesari.

E dire che addirittura il Ministro dell'Interno dell'epoca insignì di un elogio scritto la squadra di investigatori che si occupò del caso.

Mistero nel mistero.

L'ordine di scuderia era forse chiudere al più presto il caso?

La Procura della Repubblica di Rimini lo chiarirà.

Gli elementi trascurati sono stati davvero svariati e Philippe Brunel, come abbiamo cominciato ad evidenziare nella prima parte, pubblicata ieri, 11 agosto 2014, li aveva rigorosamente segnalati nel fondamentale libro pubblicato in Francia nel 2007 ed in Italia l'anno successivo.

Ora sarà una giovane Sostituto Procuratore, la Dott.ssa Elisa Milocco, al ritorno dalle ferie, con mente fresca non condizionata dal lugubre ed orrido clima dell'epoca, a far piena luce sui buchi neri che certamente il Collega Antonio De Rensis avrà esposto anche avvalendosi di una consulenza medico legale del Prof. Francesco Maria Avato, che ha parlato di "ferite non autoprodotte, ma inferte da terzi" sul corpo di Marco Pantani.

Se tale versione venisse confermata, lo scenario muterebbe radicalmente: Pantani sarebbe stato assassinato. Si procederebbe quindi per omicidio volontario con alterazione del cadavere e dei luoghi.

Nella prossima puntata ci occuperemo dell'autopsia svolta dal Dott. Giuseppe Fortuni e del particolare davvero insolito e macabro del cuore del Pirata, che - cito testualmente dall'articolo "Marco Pantani, il ragazzo ammazzato due volte" di Andrea Scanzi su Il Fatto Quotidiano del 24 luglio 2014 - "venne trafugato dopo l'autopsia dal medico, che lo portò a casa senza motivo ('Temevo un furto') e lo mise nel frigo senza dirlo inizialmente a nessuno".

Come ricordato nella prima parte, il cronista francese Philippe Brunel ha parlato più volte con il Dott. Fortuni e vedremo domani quel che gli ha dichiarato.

E ricorderemo alcuni fatti proprio per rispetto al PM Paolo Gengarelli: "Io non devo, e non posso che appoggiarmi sui fatti, nient'altro che i fatti, senza lasciarmi trascinare dalle emozioni. E in questa storia mi sono attenuto ai fatti, ai fatti  oggettivi, ai verbali, alle schede telefoniche, alle ricevute dell'autostrada per inquadrare il contesto" ricorda Brunel alle pagine 265 e 266 del suo lavoro "Gli ultimi giorni di Marco Pantani" edito in Italia da RCS.

  (Continua nei prossimi giorni)

FINE DELLA SECONDA PARTE.

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