Una contribuente non aveva dichiarato 1,50 euro tra i suoi incassi (importo risultante dalla somma di tre ricevute fiscali che recavano un corrispettivo maggiore di 50 centesimi cadauna rispetto a quanto incassato con il Pos) e il fisco le ha fatto chiudere l'attività.

È capitato alla proprietaria di un ristorante di Milano, la quale a seguito dell'accertamento dell'"evasione fiscale" da parte della Guardia di Finanza e del successivo avviso di contestazione emesso dall'Agenzia delle Entrate provvedeva a pagare la sanzione pari ad euro 2.064,00 al fine di evitare un contenzioso tributario.

Sennonché, successivamente, l'Agenzia delle Entrate emetteva la sanzione accessoria di sospensione dell'esercizio dell'attività per la durata di tre giorni consecutivi.

A questo punto la donna si rivolgeva alla giustizia tributaria, proponendo ricorso alla CTP di Milano contestando l'emissione del provvedimento e chiedendo la sospensione dello stesso. La Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso, affermando la carenza di interesse della ricorrente all'annullamento della sanzione di chiusura dell'esercizio in quanto già applicata alla data dell'udienza, ma la contribuente proponeva tempestivo appello.

La Commissione Tributaria Regionale di Milano (sentenza n. 3501 depositata il 30 giugno 2014), cercando di tamponare quella che, di fronte alle stime dell'evasione fiscale in Italia, appare una situazione quanto meno paradossale, ha accolto, invece, l'appello.

Preliminarmente affermando che "la circostanza che la contribuente abbia aderito bonariamente alla definizione della sanzione pecuniaria non può far nascere alcuna presunzione di riconoscimento della costante irregolarità, atteso che l'instaurazione di un contenzioso tributario avrebbe ragionevolmente comportato ben più onerosi costi professionali per poter esercitare il diritto di difesa", la CTR ha annullato, infatti, il provvedimento di sospensione, ritenendo che la sanzione accessoria "irrogata con l'artificio di quadruplicazione dell'unico Pvc" fosse quanto meno "spropositata, afflittiva e vessatoria rispetto all'affermata presunta irregolarità di mancato incasso di complessivi euro 1,50".

I giudici tributari, inoltre, hanno ritenuto sussistenti i presupposti per "l'eccepito danno economico e di immagine lamentato dalla contribuente che può essere rivendicato nella competente sede giurisdizionale civile".


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