Avv. Silvia Covolo 

avvsilviacovolo@gmail.com

Mentre i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, nonché i docenti universitari a tempo definito ed altre categorie di dipendenti pubblici a cui è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali possono esercitare attività extra officio che non siano incompatibili con i doveri inerenti alla posizione rivestita all'interno della P.A., a norma del combinato disposto del sesto e settimo comma dell'art. 53, d.lgs. 165/2001 tutti gli altri dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o autorizzati dall'Amministrazione di appartenenza, pur sempre previa verifica dell'insussistenza di situazioni di incompatibilità.

In caso di inosservanza del divieto, il compenso dovuto per le prestazioni svolte deve essere versato, a cura dell'erogante, o, in mancanza, del percettore, all'Amministrazione di appartenenza per l'incremento del fondo produttività o altro fondo analogo.

Restano esclusi dal particolare regime autorizzatorio così delineato la collaborazione con giornali o riviste; lo sfruttamento di opere dell'ingegno; la partecipazione a convegni o seminari; lo svolgimento di incarichi per cui è previsto il rimborso delle spese documentate o per i quali il dipendente sia collocato fuori ruolo o in aspettativa, ovvero lo svolgimento di incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali.

Così come il dipendente deve essere preventivamente autorizzato dall'Amministrazione di appartenenza, in base all'art. 53, c. 9, d.lgs. 165/2001, lo stesso privato che conferisca incarichi retribuiti al lavoratore pubblico è tenuto a chiedere apposita autorizzazione all'ente datore di lavoro, che si esprime sull'istanza entro trenta giorni, ai sensi del successivo comma 10.

L'autorizzazione può essere chiesta, in alternativa, anche dal dipendente pubblico interessato.

L'art. 53, c. 11 del Testo Unico sul Pubblico Impiego prevede poi che, entro quindici giorni dall'erogazione del compenso, il fruitore della prestazione comunichi all'Amministrazione cui appartiene il dipendente pubblico l'ammontare delle somme erogate.

In caso di inosservanza di tali disposizioni, si applica una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti al pubblico dipendente, a norma dell'art. 6, c. 1, D.L. 79/1997, convertito dalla L. 140/1997.

Il provvedimento che irroga tale sanzione è impugnabile dinanzi al Giudice di Pace competente per territorio, ai sensi della L. 689/1981.

Proprio l'art. 3, c. 1, della legge sopra citata, prevede che si perfezioni la fattispecie sanzionatoria a carico del privato soltanto quando ricorrano i seguenti presupposti:

-          Sotto il profilo oggettivo: l'affidamento dell'incarico professionale ad un dipendente pubblico a tempo pieno, conosciuto come tale e comunque autorizzato dall'amministrazione di appartenenza allo svolgimento di attività extra lavorative;

-          Sotto il profilo soggettivo: l'omessa acquisizione, cosciente e volontaria, dell'autorizzazione amministrativa ad avvalersi delle prestazioni professionali del lavoratore pubblico.

La punibilità è prevista sia in caso di dolo che di colpa.

L'art. 3, c. 2, L. 689/1981 prevede, tuttavia, l'esimente della buona fede qualora la violazione sia dipesa da errore sul fatto non determinato da colpa dell'agente.

Il Giudice di Pace di Bassano del Grappa,  facendo leva proprio su tale principio, con tre diverse pronunce ha annullato le ordinanze-ingiunzione emesse dall'Agenzia delle Entrate avverso altrettanti contribuenti, ritenuti responsabili di essersi rivolti ad un soggetto conosciuto da tutti come un "commercialista", sebbene fosse in realtà un dipendente pubblico a tempo pieno presso la locale U.L.S.S. da diversi anni.

In presenza di circostanze tali da far presumere a chiunque che il pubblico dipendente in questione fosse a tutti  gli effetti un libero professionista (come l'utilizzo di carta intestata dello studio di tributarista, il numero di partita iva nelle fatture, l'iscrizione negli elenchi della C.C.I.A.A.),  il Giudice di Pace bassanese ha concluso come fosse sufficientemente dimostrata l'esimente della buona fede, valevole quale causa di esclusione della responsabilità amministrativa (sentenza n. 313/2013, causa R.G. 1496/2012; nello stesso senso: sentenza n. 491/2013, causa R.G. 1621/2013).

In altra vertenza, il Giudice di Pace di Bassano ha riconosciuto come fosse "francamente inverosimile e per certi versi risibile" supporre che un soggetto, esercente l'attività di meccanico all'interno della propria autofficina, potesse essere a conoscenza della qualifica di pubblico dipendente del suo commercialista, quando neppure l'U.L.S.S. di appartenenza si era avveduta dell'attività fuori ufficio che questi prestava.

Così, è stata riconosciuta la mancanza dell'elemento soggettivo dell'illecito amministrativo, sulla scia della sentenza della Cassazione Civile, II Sezione, 6.04.2011, n. 7885, per la presenza di elementi soggettivi idonei ad ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della bontà della propria condotta (sentenza n. 646/2013, causa R.G. 1408/2012).

Alla luce della sopra richiamata giurisprudenza occorrerà che il cittadino vigili, prima del conferimento di qualsivoglia incarico professionale, sullo status effettivo del prestatore d'opera intellettuale prescelto, verificando preventivamente che non si tratti di un pubblico dipendente a tempo pieno; in quest'ultimo caso, sarà necessaria la preliminare acquisizione di apposita autorizzazione da parte dell'ente datore di lavoro e, a seguire, la dichiarazione dei compensi erogati alla P.A. di appartenenza del lavoratore de quo.

In mancanza, il contribuente potrebbe essere costretto a sopportare l'onere di un procedimento di opposizione all'ordinanza-ingiunzione irrogatrice della sanzione amministrativa pecuniaria, in cui dimostrare l'assenza dell'elemento soggettivo del supposto illecito amministrativo.

Avv. Silvia Covolo del Foro di Vicenza

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