di Licia AlbertazziCorte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 14371 del 25 Giugno 2014.

Non sempre è dovuto l'equo premio - ex art. 23 r.d. 1127/1939 - cioè quel corrispettivo volto a retribuire il lavoratore che produce innovazioni all'interno dell'azienda, al dirigente che realizza nuovi prodotti o nuove applicazioni. 

Occorre infatti verificare quale sia l'oggetto principale del contratto di lavoro. Se l'attività d'invenzione costituisce la mansione centrale di tale rapporto e le parti hanno già concordato un compenso preciso, allora la risposta è in senso negativo, poiché si sarà di fronte a un'invenzione di servizio e non a un'invenzione d'azienda. E' quanto ha stabilito la Cassazione nella sentenza in commento.

La domanda del lavoratore viene respinta sia in primo che in secondo grado di giudizio, dunque lo stesso si rivolge alla Cassazione. La Suprema corte, dopo aver premesso che "l'attività di invenzione deve necessariamente risultare in maniera esplicita dal contratto al momento della sua conclusione", tempera tuttavia tale principio richiamando giurisprudenza costante. 

Il giudice, nel valutare il rapporto intercorrente tra le parti, dovrà applicare un criterio ex ante - prima, cioè, che l'invenzione venga posta in essere - che gli permetta di qualificare il tipo di contratto che lega lavoratore e azienda. Il datore di lavoro, nei gradi di merito, ha dimostrato che le mansioni affidate al dirigente sarebbero rientrate nell'attività di invenzione; prospettiva confermata dall'esplicita pattuizione di idoneo compenso, oltre a un superminimo che addirittura raddoppiava lo stesso compenso pattuito. Non ravvisando alcuna illogicità nel ragionamento del giudice d'appello, la Cassazione rigetta il ricorso.


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