di Licia AlbertazziCorte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 13863 del 18 Giugno 2014. In tema di avanzamento di carriera del lavoratore dipendente, se il contratto collettivo nazionale di riferimento stabilisce che esso è subordinato al possesso di determinati requisiti valutati discrezionalmente dal datore di lavoro, può il giudice sostituirsi alla valutazione di quest'ultimo?

La Suprema Corte ci ha dato la sua risposta occupandosi del caso relativo a una domanda di risarcimento danni proposta dal lavoratore a seguito dell'insorgenza di una patologia presumibilmente legata allo stress da superlavoro. 

Sono diverse le questioni affrontate dalla Corte nella sentenza che qui sotto si allega. Tra queste appare interessante ciò che riguarda la contestazione concernente il mancato avanzamento di carriera del dipendente.

Il principio di diritto enunciato dalla Suprema corte è il seguente: "il diritto soggettivo del lavoratore ad essere promosso ad una categoria, grado o classe superiore presuppone una disciplina collettiva che garantisca l'avanzamento come effetto immediato di determinate condizioni di fatto, delle quali sia accertata l'esistenza prescindendo da ogni indagine valutativa del datore di lavoro; pertanto, nell'ipotesi in cui la disciplina collettiva in tema di promozioni rimetta il giudizio di merito, sulle attitudini e le capacità professionali, esclusivamente al datore di lavoro" - come nel caso di specie, in cui il CCNL fa riferimento alle esigenze organizzative e funzionali d'impresa - "il giudice, nel rispetto della libertà di iniziativa economica garantita dall'articolo 41 della Costituzione, non può sostituirsi al datore medesimo"

Il sindacato del giudice del merito è ammesso soltanto laddove la mancata promozione sia causata da una "deliberata violazione delle regole di buona fede e correttezza che presiedono allo svolgimento del rapporto di lavoro". L'onere della prova è a carico del danneggiato; prova che non è stata fornita né in primo, né in secondo grado.


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